«Pause tattiche»

Tel Aviv, 28. Sotto la spinta di una pressione e di un’indignazione internazionale sempre più intense di fronte alla catastrofe umanitaria provocata dalla fame a Gaza, Israele ha decretato «pause tattiche» di 10 ore al giorno delle proprie operazioni militari in alcune parti della Striscia, insieme all’apertura di «percorsi sicuri» per l’arrivo degli aiuti alla popolazione ormai ridotta allo stremo. L’esercito israeliano (Idf) ha ripreso il lancio dal cielo di pacchi contenenti farina, zucchero e cibo in scatola e al contempo Giordania ed Emirati Arabi Uniti hanno paracadutato nell’enclave palestinese almeno 25 tonnellate di beni con i loro aerei. Dopo 150 giorni, anche dal valico di Rafah al confine con l’Egitto sono entrati 120 camion con cibo e forniture mediche dell’Onu, della Mezzaluna Rossa egiziana e degli Emirati.
Di fatto, però, la crisi continua a uccidere ogni giorno nella Striscia: nelle ultime ore sei persone sono decedute per la fame e, riferisce Al Jazeera, un altro neonato è morto all’ospedale Al-Shifa di Gaza City a causa della malnutrizione dovuta alla carenza di latte in polvere. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la città è stata la più colpita, con quasi un bambino su 5 sotto i 5 anni che soffre di malnutrizione acuta.
Ma per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, citato da «The Times of Israel», «non c’è fame a Gaza». Intervenendo a una conferenza a Gerusalemme, il premier — il quale già ieri aveva affermato che dopo l’apertura da parte dell’esercito di percorsi sicuri per il passaggio degli aiuti a Gaza le Nazioni Unite non avrebbero avuto «più scuse» per incolpare il suo governo della mancanza di cibo nella Striscia — ha dichiarato che Israele «ha consentito gli aiuti umanitari per tutta la durata della guerra, altrimenti non ci sarebbero più abitanti a Gaza».
Ma sul terreno, nonostante la sospensione delle attività militari dalle ore 10 alle 20 locali ad Al-Mawasi, Deir al-Balah e a Gaza City e l’istituzione dalle 6 alle 23 di percorsi designati per consentire il passaggio dei convogli dell’Onu e delle organizzazioni umanitarie, la guerra prosegue. I raid israeliani secondo l’agenzia palestinese Wafa hanno provocato ancora 13 vittime, dalla zona di al Mawasi a Khan Younis, nel sud, fino alla tendopoli di Maghazi, nel centro di Gaza. Fonti sanitarie della Striscia, citate dall’emittente Sky News, riferiscono che sono state quasi 100 le persone uccise ieri mentre erano in cerca di aiuti umanitari, la maggior parte nel nord di Gaza. E l’esercito israeliano ha fatto sapere intanto che «le operazioni offensive» contro Hamas continuano.
Sul piano interno, però, Netanyahu deve fare i conti con le critiche dell’ala più estrema dell’esecutivo capitanata dal ministro Itamar Ben-Gvir, secondo cui la decisione sugli aiuti rappresenta una «capitolazione» ad Hamas. Da parte sua, quest’ultimo ha sottolineato come le pause nelle operazioni militari non avranno «alcun significato» se non si trasformeranno «in una reale opportunità per salvare vite umane».
L’Onu, con il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi di emergenza, Tom Fletcher, ha accolto con favore la decisione sulla sospensione umanitaria delle attività militari, sottolineando che i team sul campo «faranno tutto il possibile per raggiungere quante più persone affamate» nella finestra temporale stabilita da Israele. Al contempo, restano le critiche al lancio aereo degli aiuti, giudicato inefficiente e pericoloso da diverse organizzazioni umanitarie, secondo cui l’ultima mossa di Israele rappresenterebbe solo una goccia nel mare di necessità dei civili di Gaza. In tale direzione vanno anche le parole del ministro degli Esteri britannico, David Lammy: la pausa tattica, ha detto, è «essenziale ma in ritardo» e risulta insufficiente «ad alleviare i bisogni di coloro che soffrono». Il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, in una telefonata con Netanyahu, ha poi esortato a «fare tutto il possibile per ottenere un cessate-il-fuoco immediato».