L’Onu e la Nasa: il 70% degli edifici risulta distrutto o danneggiato

Gaza è un cumulo di macerie e detriti

 Gaza è un cumulo di macerie e detriti  QUO-171
25 luglio 2025

di Roberto Paglialonga

Non solo un enorme cimitero di vite spezzate (i dati delle autorità sanitarie locali affiliate ad Hamas, ma ritenuti attendibili dall’Onu, parlano ad oggi di oltre 59.000 morti). Gaza è anche un’immensa distesa di macerie che, per l’effetto devastante delle bombe, dei raid e dei combattimenti, avrebbe inghiottito il 70% degli edifici della Striscia. A dirlo sono dati forniti dall’Onu e dalla Nasa, che l’agenzia Afp ha potuto analizzare.

Dopo 22 mesi di guerra, scatenatasi in seguito al brutale attacco terroristico di Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023 (1.219 le persone uccise dagli islamisti, dicono fonti ufficiali israeliane), secondo il Servizio di analisi satellitare delle Nazioni Unite (Unosat), al 4 aprile 2025 l’Idf aveva danneggiato o distrutto 174.500 edifici in zone densamente popolate. La distruzione ha generato 53,5 milioni di tonnellate di macerie, che corrisponderebbero a 10 volte il peso della Grande Piramide di Cheope a Giza, in Egitto. Sabbia, polvere, sassi e mattoni, che equivarrebbero a circa 146 chilogrammi di macerie per metro quadrato. I detriti generati dall'ottobre 2023 risultano 18 volte più grandi di tutti i detriti degli edifici distrutti da Israele nelle sue operazioni militari dei 15 anni precedenti.

La salute della popolazione, già provata dai bombardamenti e dalle restrizioni nella distribuzione degli aiuti (il blocco in teoria è caduto intorno alla metà di maggio, ma i camion che trasportano beni salvavita e medicine entrano col contagocce nella Striscia), anche in questo caso non è esente da rischi. Una pubblicazione del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep) di inizio luglio spiega che questi detriti potrebbero causare malattie e produrre disturbi anche gravi: si stima infatti che la quantità di amianto proveniente da vecchi edifici sia di 3,7 tonnellate e che la quantità di rifiuti tossici presenti nelle strutture industriali ormai polverizzate sia di 2,6 tonnellate. Nelle immediate vicinanze di “detriti potenzialmente contaminati dall'amianto” si trovano diversi campi profughi, come quelli di Jabalya (a nord), Nuseirat e al-Maghazi (al centro), Khan Yunis e Rafah (a sud), dove vivono in tende e alloggi di fortuna decine di migliaia di sfollati.

Tra gli edifici maggiormente danneggiati ci sono gli ospedali, ora ormai al collasso, ripetutamente colpiti dall’Idf con la giustificazione che negli stessi si nasconderebbero miliziani islamisti che li utilizzano come rifugi o basi militari di lancio. Tra questi, per esempio, l’Al-Shifa di Gaza City, ritenuto oggi dall’Oms "un guscio vuoto con tombe". Al 30 giugno, solo 18 dei 36 nosocomi (quindi appena il 50%) erano “parzialmente” operativi, secondo l’Onu. Delle 163 strutture sanitarie, meno del 40% (63 in totale) era in grado di fornire assistenza.

In macerie, o fortemente danneggiato, anche il 90% delle scuole, usate in questi quasi due anni come rifugi per gli sfollati, in particolare quelli che espongono la bandiera blu delle Nazioni Unite. L’esercito di Israele accusa Hamas di usarli per nascondere i combattenti. Al 4 aprile, l’Unicef, il fondo Onu per l’infanzia, contava 501 scuole pesantemente colpite su 564 istituti censiti, ovvero quasi 9 scuole su 10. Di queste, 95 erano state danneggiate potenzialmente in modo grave, mentre 406 risultavano aver subito almeno un attacco.

Più volte in questi 22 mesi è stata evidenziata da testimoni e analisti la carenza di forniture elettriche, con impatti devastanti soprattutto sul funzionamento delle strutture ospedaliere. Prima del conflitto, la Striscia riceveva energia in media 12 ore al giorno, secondo i dati dell'Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha). Ma già nel 2024 la rete elettrica non era più disponibile a nessun orario. A causa della mancanza di carburante, l'unica centrale elettrica di tutta l’enclave palestinese ha smesso di funzionare nei primi giorni del conflitto e le linee elettriche provenienti da Israele sono state interrotte. Queste due fonti combinate hanno soddisfatto il 43% del fabbisogno elettrico di Gaza nel 2022; il resto è rimasto insoddisfatto.

Di notte, di fatto, il piccolo territorio di 365 chilometri quadrati rimane nell’oscurità. I dati, ripresi da Afp, del progetto Black Marble della Nasa, che misura la radianza (ovvero la potenza della radiazione luminosa) sulla superficie terrestre, hanno certificato che in media, da gennaio a maggio 2025, la luminosità notturna nella Striscia si è ridotta di un fattore pari a sette volte rispetto ai cinque mesi precedenti l'inizio del conflitto (maggio-settembre 2023). Solo un’area avrebbe conservato una luminosità paragonabile a quella di prima della guerra: il “corridoio Filadelfia”, un lembo di terra che separa la Striscia di Gaza dal confine egiziano ed è controllato dall’esercito israeliano.