
Cuore, Parola di Dio, Azione: i termini chiave
di Tiziana Campisi
I tratti della spiritualità agostiniana e alcune tematiche legate all’esperienza di vita di sant’Agostino sono abbondantemente emersi nei discorsi, nelle omelie, nei messaggi e nelle catechesi che Papa Leone XIV ha pronunciato nei primi due mesi di pontificato. In queste parole, condivise con la Chiesa e il mondo, si ritrovano l’interiorità, l’introspezione, la profonda riflessione e analisi intima che ha contraddistinto il cammino esistenziale del vescovo di Ippona.
Quella capacità di guardarsi dentro, di esaminare i propri sentimenti, le proprie emozioni, i movimenti del cuore, ansie e angosce, gioie e sogni, aneliti e affanni, traspare negli scritti del grande padre della Chiesa e fornisce ai suoi lettori gli strumenti per intraprendere un viaggio dentro di sé che conduce a Dio. Perché, dopo avere cercato tra i manichei la Sapienza — come gliela aveva proposta Cicerone nell’Ortensio —, essere poi approdato nello scetticismo dei filosofi accademici, superato — grazie all’ascolto delle prediche di Ambrogio — con la lettura dei neoplatonici che lo aiutano a “tornare” in sé stesso, ad entrare “nell’intimo” del suo “cuore”, a scoprire la capacità di elevarsi a Dio, a comprendere la dottrina del Verbo, Agostino, con l’aiuto delle Lettere di san Paolo, giunge alla conclusione che Cristo è via, verità e vita. È il mediatore tra l’uomo e Dio, è la Sapienza fattasi carne, è l’umile redentore dell’umanità, che si è spogliato della sua uguaglianza con Dio divenendo simile agli uomini per salvarli.
Tutto il percorso del filosofo di Tagaste — dai 19 ai 33 anni, ossia da quando si era votato alla filosofia per trovare la sapienza in un’ascesi verso la felicità fino alla totale adesione a Cristo — insegna che l’uomo, per conoscere Dio, deve prima conoscere sé stesso, trascendere la propria esteriorità per giungere alla propria interiorità, dove alberga la luce di Dio ed è impressa la sua immagine. Ecco perché nel De vera religione (39,72) Agostino scrive: «Non andare fuori di te, ritorna in te stesso, la verità abita nell’uomo interiore». E nelle Confessioni esorta a cercare «nel nostro cuore Colui che cercavamo fuori» (V, 2) e ancora nel Commento al Vangelo di Giovanni a rientrare nel proprio cuore e lì esaminare «quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l’immagine di Dio; nell’interiorità dell’uomo abita Cristo» (18, 10). Per Agostino la meta è Dio, l’uomo è proteso verso il suo Creatore, e tutta la sua esistenza è una continua inquieta ricerca. Non a caso Leone XIV, nella messa per l’inizio del suo ministero petrino, il 18 maggio scorso, apre l’omelia con il celebre incipit delle “Confessioni”: «Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in Te». Sollecita, così, ad approfondire la relazione uomo-Dio, a conoscere Gesù.
Nei discorsi e nelle riflessioni del Pontefice, ricorre spesso il richiamo all’interiorità, l’esortazione a ripartire da sé stessi, per «un quotidiano cammino di conversione», come dice all’indomani della sua elezione, nella celebrazione con i cardinali nella Cappella Sistina, avvertendo che oggi ci sono «contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto». Per questo parte dal basso, spiegando che bisogna iniziare da sé stessi e interrogarsi sul proprio rapporto con Dio, dal modo in cui ci si relaziona a Cristo.
Costantemente con lo sguardo rivolto all’epoca contemporanea, Leone XIV fa notare, nel Messaggio, datato 28 maggio, per i partecipanti al Seminario “Evangelizzare con le famiglie di oggi e di domani. Sfide ecclesiologiche e pastorali”, che «il nostro è un tempo caratterizzato da una crescente ricerca di spiritualità, riscontrabile soprattutto nei giovani, desiderosi di relazioni autentiche e di maestri di vita». E nel videomessaggio ai giovani di Chicago e del mondo intero (14 giugno) invita «a guardare nel proprio cuore, a riconoscere che Dio è presente e che, forse in molti modi diversi» ci cerca, ci chiama e ci invita «a conoscere suo Figlio Gesù Cristo, attraverso le Scritture, a scoprire quanto è importante per ognuno di noi prestare attenzione alla presenza di Dio nel nostro cuore, a quel desiderio di amore nella nostra vita, per cercare, per cercare veramente, e per trovare i modi in cui possiamo fare qualcosa con la nostra vita per servire gli altri». L’esempio lo offre sant’Agostino, che di fronte alle domande esistenziali, cercando di capire il senso della vita, da dove viene il male, qual è l’origine dell’universo, affrontando un profondo cammino interiore, trova, poi, tutte le risposte in Dio. Il lavoro introspettivo è chiaro già in una delle sue prime opere, i Soliloqui, dove il filosofo di Tagaste rivolge domande a sé stesso — «quasi che io e la mia ragione fossimo due realtà distinte, mentre ero presente io solo», chiarirà nelle Ritrattazioni (1, 4,1) —, individuando i propri obiettivi: «Che cosa dunque vuoi sapere? Tutte queste cose che ho chiesto nella preghiera. Riassumile in poche parole. Desidero avere scienza di Dio e dell’anima? E nulla di più? Proprio nulla. Allora comincia ad investigare» (1, 2,7). Il Papa sembra prendere spunto da questa analisi interiore quando, ancora ai giovani di Chicago, fa notare: «Tutti viviamo con tante domande nel nostro cuore. «Sant’Agostino parla così spesso del nostro cuore “che non ha posa”... Questa inquietudine non è una cosa negativa, e noi non dovremmo cercare modi per estinguere il fuoco, per eliminare o addirittura anestetizzarci alle tensioni che sentiamo, alle difficoltà che sperimentiamo. Dovremmo piuttosto entrare in contatto con il nostro cuore e riconoscere che Dio può operare nella nostra vita, mediante la nostra vita e, attraverso di noi, raggiungere altre persone». Si rivolge pure alle nuove generazioni nell’omelia pronunciata nella basilica di San Paolo fuori le Mura, il 20 maggio, in occasione della visita al sepolcro dell’Apostolo delle genti. Riprende le parole di Benedetto XVI alla XXVI Giornata mondiale della gioventù di Madrid (20 agosto 2011) e afferma: «“All’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio”», e la fede ci porta ad “aprire il nostro cuore a questo mistero di amore e a vivere come persone che si riconoscono amate da Dio”». Per il Pontefice agostiniano «è qui la radice, semplice e unica, di ogni missione». Ai seminaristi, in occasione del loro Giubileo, (24 giugno), rimarca che «è importante rivolgere l’attenzione sul centro, sul “motore” di tutto il vostro cammino: il cuore», e che «bisogna lavorare sulla propria interiorità, dove Dio fa sentire la sua voce e da dove partono le decisioni più profonde; ma che è anche luogo di tensioni e di lotte, da convertire perché tutta la vostra umanità profumi di Vangelo. Il primo lavoro dunque va fatto sull’interiorità» insiste, ripetendo, ancora una volta «l’invito di sant’Agostino a ritornare al cuore, perché lì ritroviamo le tracce di Dio». «È nell’anima umana, razionale ed intelligente, che bisogna trovare l’immagine del Creatore» si legge ne La Trinità (14, 4,6), dove il santo vescovo di Ippona chiarisce che l’immagine di Dio è nella «parte più nobile dello spirito umano, parte con la quale esso conosce o può conoscere Dio», e seppure «lo spirito umano non sia della stessa natura di Dio, tuttavia l’immagine di quella natura che è superiore ad ogni altra deve essere cercata e trovata presso di noi, in ciò che la nostra natura ha di migliore», e questo anche quando lo spirito «è degradato e deforme per la perdita della partecipazione a Dio» perché «resta tuttavia immagine di Dio» e lo è «in quanto è capace di Dio e può essere partecipe di lui» (14, 8,11).
Il Pontefice accompagna, con le sue parole, questa analisi interiore: «scendere nel cuore a volte può farci paura, perché in esso ci sono anche delle ferite». E incoraggia: «Non abbiate paura di prendervene cura, lasciatevi aiutare», avvertendo che «senza la vita interiore non è possibile neanche la vita spirituale, perché Dio ci parla proprio lì, nel cuore» e «dobbiamo saperlo ascoltare». E dà ulteriori indicazioni specificando che «di questo lavoro interiore fa parte anche l’allenamento per imparare a riconoscere i movimenti del cuore: non solo le emozioni rapide e immediate che caratterizzano l’animo dei giovani, ma soprattutto i vostri sentimenti, che vi aiutano a scoprire la direzione della vita». Poi precisa come «la strada privilegiata che ci conduce nell’interiorità» sia la preghiera, perché «senza l’incontro con Lui, non riusciamo neanche a conoscere veramente noi stessi»; per questo occorre «invocare frequentemente lo Spirito Santo», affinché possa plasmare «un cuore docile, capace di cogliere la presenza di Dio, anche ascoltando le voci della natura e dell’arte, della poesia, della letteratura e della musica, come delle scienze umane». Ne La città di Dio (19, 19) scrive infatti Agostino che «l’amore della verità cerca la quiete della contemplazione», e nelle Esposizioni sui Salmi approfondisce l’esperienza della preghiera, che è dialogo con il Signore: «È Dio che parla con te; quando preghi, sei tu che parli con Dio» (85, 7,5).
In svariate occasioni, inoltre, Leone XIV raccomanda l’ascolto: «Penso che sia importante che tutti noi impariamo sempre di più ad ascoltare, per entrare in dialogo» (Omelia della Messa nella cripta della Basilica di San Pietro, 11 maggio scorso). Guardando, poi, al mondo contemporaneo, il Papa, nell’udienza agli insegnanti delle scuole cattoliche in Irlanda, Inghilterra, Galles e Scozia e ai giovani della diocesi di Copenaghen (5 luglio), riconosce che «oggi, molto spesso, perdiamo la capacità di ascoltare, di ascoltare davvero. Ascoltiamo la musica, le nostre orecchie sono costantemente inondate da ogni genere di input digitale, ma a volte dimentichiamo di ascoltare il nostro cuore» e ribadisce che «è nel nostro cuore che Dio ci parla, che Dio ci chiama e ci invita a conoscerlo meglio e a vivere nel suo amore»; infatti, «attraverso questo ascolto», continua il Pontefice, ci si può aprire «per consentire alla grazia di Dio di rafforzare» la propria «fede in Gesù, così da poter più facilmente condividere tale dono con gli altri».
Cuore, Parola di Dio, azione, ecco le parole chiave degli insegnamenti di Leone XIV riguardo all’interiorità: coltivare «nel proprio cuore il seme del Vangelo per poi portarlo nella vita quotidiana, in famiglia, nei luoghi di lavoro e di studio, nei vari ambienti sociali e a chi si trova nel bisogno», e mettere al primo posto «la relazione col Signore, coltivare il dialogo con Lui. Allora Egli ci renderà suoi operai e ci invierà nel campo del mondo come testimoni del suo Regno» (Angelus 6 luglio).