Colloquio con l’arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo

«Pacificare la memoria: difficile ma necessario»

Bosnian Muslims gather amid grave stones of victims killed during the Srebrenica genocide, at the ...
11 luglio 2025

di Federico Piana

Il suo sentimento non è mai cambiato, è rimasto identico al giorno in cui apprese del terribile massacro di Srebrenica. «Da una parte, c’è l’incredulità e lo sconcerto davanti all’impotenza della comunità internazionale di impedire una tragedia orrenda come quella, e dall’altra c’è la preghiera per i morti e la solidarietà umana e cristiana con i sofferenti». Moti profondi del cuore che monsignor Tomo Vukšić, arcivescovo di Vrhbosna, Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina, condivide anche con tutta la Chiesa locale: «E questi nostri sentimenti si rinnovano anche di fronte alle tragedie belliche che fino ai nostri giorni continuano a ripetersi. Come se il mondo non avesse imparato niente dalle tragedie precedenti».

E che la vicenda di Srebrenica abbia insegnato poco alla comunità internazionale e alla stessa Europa, il presule, che è anche presidente del Consiglio interreligioso di Bosnia ed Erzegovina, lo mette nero su bianco: «È difficile — ammette in una conversazione con «L’Osservatore Romano» — riflettere su quanto abbia imparato l’Europa e la comunità internazionale anche perché bisogna tenere conto che l’Europa è una realtà complessa: essa non è solo l’Unione europea. Però, a partire dai conflitti che devastano il mondo certamente si può affermare che Srebrenica non abbia insegnato molto, come tra l’altro il conflitto in Rwanda e le guerre in altre nazioni».

A trent’anni da quel eccidio del quale l’intera umanità porta ancora profonde cicatrici, monsignor Vukšić si sofferma sulla dimensione della pacificazione della memoria che resta ancora un’impresa necessaria ma difficile. «È un processo lungo e richiede molta pazienza e perseveranza. Allo stesso tempo, è il presupposto del perdono e della riconciliazione che, insieme alla giustizia, sono le fondamenta della pace giusta e duratura. Qualche risultato lo abbiamo raggiunto ma c’è ancora molto da fare. E la dottrina sociale della Chiesa in questo senso può essere molto d’aiuto».

La completa riconciliazione in Bosnia ed Erzegovina si potrà ottenere solo continuando a promuovere il dialogo, anche quello interreligioso. Cosa che la Chiesa locale sta facendo da molto tempo senza perdersi d’animo davanti alle difficoltà che inevitabilmente si incontrano, assicura l’arcivescovo: «Per esempio, nella nostra Facoltà di teologia da anni è stato organizzato un master dove studiano persone di diverse fedi ed insegnano anche professori ortodossi e musulmani. Inoltre, nelle nostre scuole cattoliche, frequentate da ragazzi di fedi diverse, oltre alla religione cattolica vengono insegnate quella ortodossa e quella musulmana. Uno sforzo che si associa al lavoro del Consiglio interreligioso di cui faccio parte come presidente».

La cura delle ferite, soprattutto quelle psicologiche, non può prescindere dalla comprensione profonda dell’essenza sociale della nazione che «si compone – aggiunge — di tre gruppi religiosi: dai musulmani che etnicamente sono bosniaci; dagli ortodossi che etnicamente sono serbi e dai cattolici che etnicamente sono croati. Ognuna di queste comunità ha sofferto molto durante la guerra e vi sono state vittime da tutte le parti. Ed ogni vittima non va dimenticata».

Il dovere della memoria diventa ancora di più necessario ed attuale oggi, quando la situazione politica nella regione, da qualche anno, è segnata da troppe polemiche politiche, spesso anche minacciose: «Noi vescovi, in un comunicato, abbiamo espresso la nostra preoccupazione a causa di comportamenti imprudenti e dichiarazioni sconsiderate di alcuni rappresentanti politici i quali, con le loro azioni, provocano un sentimento di insicurezza e paura nelle persone. Inoltre, ci aspettiamo che anche i rappresentati della comunità internazionale forniscano il loro aiuto per trovare un sistema elettorale equo ma anche per contribuire ad attuare la necessaria riforma costituzionale e giuridica».

Per evitare che si ripetano gli errori e le tragedie del passato, la Conferenza episcopale sta continuando a sostenere che il dialogo è l’unico modo moralmente accettabile che i rappresentanti eletti devono seguire per raggiungere una soluzione equa, necessaria per la sicurezza di tutta la popolazione. E il massacro di Srebrenica sta ancora oggi qui a testimoniarlo: come allora, l’assenza di confronto e di comprensione potrebbe generare nuovi mostri. «Davanti a tante morti e tanto dolore — spiega l’arcivescovo — l’uomo onesto deve cercare di fare quanto gli è possibile per esprimere solidarietà alle vittime, pregare in silenzio e lasciare alle istituzioni e alle leggi il compito di fare giustizia».