Mentre ancora si attendono sviluppi dai negoziati in Qatar non si ferma l’orribile sequenza di uccisioni tra i più deboli e indifesi

Gaza
La strage dei bambini

Palestinian mother Samah Al-Nouri, whose daughter Sama was killed in an Israeli strike on Thursday ...
11 luglio 2025

di Roberto Paglialonga

La domanda che non ci si può non fare è: perché? Perché così tante vite spezzate quando ancora non sono nemmeno in procinto di sbocciare all’età adulta? Ieri a Gaza si è consumata l’ennesima strage di bambini. Colpiti quando indifesi, nel momento forse di massima fragilità: in nove sono stati uccisi mentre si trovavano in fila per ricevere cibo e aiuti a Deir el-Balah. Si parla di alimenti terapeutici, nutrizionali, quindi “salvavita” e doppiamente essenziali. Ma sarebbero circa 20.000 i piccoli morti dall’inizio della guerra.

Alla domanda — retorica — allora non c’è risposta plausibile. Come evidente. Rimangono solo la rabbia e lo sdegno. Semplicemente è qualcosa che «è inconcepibile», ha dichiarato in serata la direttrice generale di Unicef, Catherine Russell. Nella folla, assieme a loro, c’erano madri che speravano in «un’ancora di salvezza per i loro figli dopo mesi di fame e disperazione». E che, invece, sono state costrette — le superstiti non cadute sotto il fuoco delle armi — a piangerli in un letto di ospedale. Questa è «la crudele realtà che molti a Gaza si trovano ad affrontare oggi»: prima affamati per la mancanza di «aiuti non sufficienti ammessi ad entrare nel territorio», ora uccisi in un conflitto dove non si rispettano «le responsabilità basilari per proteggere i civili». Ma i bambini così «rischiano di morire di fame, mentre cresce il rischio di carestia», ha concluso.

È lo scandalo «dell’uso iniquo della fame come arma di guerra», contro cui ha manifestato il suo — e il nostro — sgomento Papa Leone XIV in un messaggio alla Fao pochi giorni fa. Uccidere i bambini significa cancellare il futuro, e così la speranza di una vera pacificazione per Gaza e la Palestina. Col rischio che i pochi che sopravviveranno crescano abbeverandosi al fanatismo e all’odio che pure si vogliono sradicare.

Intanto, per la prima volta dopo 130 giorni, l’Onu è riuscito a fare entrare carburante, che tuttavia, fa sapere il portavoce delle Nazioni Unite, «non è sufficiente a coprire nemmeno un giorno di fabbisogno energetico». E dai negoziati ancora nessuna notizia definitiva: i colloqui proseguono a Doha, mentre il premier israeliano, Benjamin Netahyanu, ha lasciato Washington.

Ma quanto ancora si dovrà attendere perché si ponga fine «all’abisso dell’abiezione»?