La presentazione dell’ultimo libro di padre Giulio Albanese

Impariamo ad ascoltare
il grido di giustizia
delle Afriche

 Impariamo ad ascoltare  il grido di giustizia delle Afriche  QUO-158
10 luglio 2025

di Guglielmo Gallone

«Non dobbiamo considerare il continente africano un attore privo di soggettività storica»: è questo l’assunto da cui è partito ieri Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica Limes e presidente della fondazione Besso, per presentare l’ultimo libro di padre Giulio Albanese, Afriche, inferno e paradiso (Libreria Editrice Vaticana, 2025, 25 euro). Insieme a Caracciolo, alla presentazione del volume, svoltasi nella storica sede romana della fondazione, hanno dialogato Filomeno Lopes, giornalista presso Radio Vaticana, e l’autore del libro.

Afriche, dunque, e non Africa perché l’obiettivo del libro è «ascoltare le storie di dentro, dare voce agli africani, quindi affrontare meglio le differenze che esistono tra le varie Afriche, inclusi scontri e conflitti, per capire come e quanto questo continente ci guarda e ci riguarda», ha aggiunto Caracciolo, evidenziando soprattutto alcuni temi affrontati da Albanese: «C’è la questione geopolitica, ossia la differenza fra la realtà descritta dagli atlanti e quella sul terreno, caratterizzata da conflitti cronici, che raramente si risolvono ma di cui non interessa niente a nessuno. Poi, c’è l’aspetto delle migrazioni. Viste come un destino da noi occidentali, in base al ragionamento secondo cui l’Europa è piccola e vecchia e l’Africa è grande e giovane, in realtà la maggior parte delle migrazioni avviene a livello interno, in modo difficile perché un continente così sterminato non si attraversa a piedi. Soprattutto, questo libro presenta aspetti culturali, sociali e dunque identitari dei Paesi africani: il ruolo degli anziani, le delusioni dei giovani, intrappolati in realtà complesse, la centralità della famiglia».

Ed è sul fattore umano che si è poi concentrato Filomeno Lopes, secondo cui «il problema fondamentale del nostro continente è attuare un cambio di paradigma. Finché continueremo a pensare a passato, presente e futuro come farebbero gli europei, non riusciremo mai a trovare la vera libertà. La vera povertà dell’Africa non è quella economica, bensì l’incapacità di pensare con la propria testa e perciò di sognare. Il cuore del problema sta nel rapporto degli africani con la propria storia. Il male peggiore del colonialismo risiede nei suoi atti più invisibili: esso ha trasformato la cultura in folclore, le lingue in dialetti, le religioni in superstizioni. Il colonialismo ci ha estirpato le radici. Noi siamo l’unico popolo che è stato sottoposto a un dubbio sul suo statuto antropologico e da qui, oggi, dobbiamo ripartire: dobbiamo capire come parlare a noi stessi». Affinché ciò avvenga, ha proseguito Lopes, «dobbiamo promuovere una riconquista intellettuale e narrativa delle Afriche» perché «solo la conoscenza della storia rende liberi». Uno stimolo che, secondo il giornalista di Radio Vaticana originario della Guinea-Bissau, va ricercato anche nel rapporto col cristianesimo: «Stupisce notare come la Lettera Apostolica di Papa Paolo VI, Africae terrarum, faccia fatica a entrare nei manuali della Chiesa. Eppure, lì un pontefice ha messo per iscritto che “africani, siete voi i vostri missionari”, sottolineando così come il cattolicesimo africano, con i padri del deserto, sia nato ben prima del XV secolo, quando arrivarono i missionari europei».

Entro questa direzione si muove il libro di padre Giulio Albanese che, peraltro, prende il via dalla rubrica Hic Sunt Leones pubblicata ogni venerdì su L’Osservatore Romano, trattandosi di una raccolta degli articoli pubblicati sul quotidiano vaticano. «Le Afriche fanno parte integrante della mia vita — ha detto l’autore del volume — questo continente ci interpella, ma noi non lo stiamo capendo. Stentiamo a capire l’insoddisfazione trasversale che attraversa le giovani generazioni, specie in Kenya, nel Sahel o nel Kivu, così come siamo incapaci di leggerne i dati, quelli demografici o quelli occupazionali, e di capire che questo continente sta crescendo a ritmi enormi». Il paradiso, ha concluso Albanese richiamando il titolo del volume, «è qui, nella consapevolezza che gli africani non sono debitori bensì creditori, che l’Africa non è povera ma impoverita, che dobbiamo smetterla con l’atteggiamento paternalistico. E, invece, dobbiamo imparare ad ascoltare il grido di un continente che, seppur nelle sue declinazioni, invoca anzitutto e soprattutto giustizia».