I più piccoli al centro dei progetti di Cbm Italia in Uganda

Prima di tutto bambini
e poi pazienti

 Prima di tutto bambini  e poi pazienti  QUO-153
04 luglio 2025

di Giada Aquilino

Passi avanti verso una realtà in cui tutti possano ricevere cure necessarie, godere dei propri diritti ed esprimere appieno il potenziale di cui dispongono. E insieme emozioni, incontri, nuove idee. È la missione che Cbm Italia (Christian blind mission) ha appena compiuto in Uganda: nel Paese africano, l’organizzazione internazionale — che promuove salute, educazione, lavoro e diritti delle persone con disabilità — porta avanti diversi progetti, tra cui quello al Ruharo mission hospital di Mbarara, nella parte occidentale dell’Uganda, dove vengono curati i bambini con retinoblastoma, una forma tumorale maligna degli occhi che può manifestarsi in età pediatrica e che, se non diagnosticata in tempo, porta alla perdita della vista. Nei casi più gravi, anche alla morte. A visitare la struttura a fine maggio sono stati il direttore di Cbm Italia, Massimo Maggio, alcuni colleghi e l’ambasciatrice della fondazione, Filippa Lagerbäck. Ne hanno parlato ieri a Roma, a palazzo Valentini, all’incontro «Racconti di viaggio dall’Uganda a Roma».

In Uganda, come in altre realtà africane, «il retinoblastoma è difficilmente diagnosticabile», spiega Massimo Maggio in una conversazione con i media vaticani. «Le persone nei villaggi non riescono ancora a capire che, se un bambino ha una macchia bianca sull’occhio, può avere questo problema. Se in Italia il tasso di mortalità è ormai a zero, in Africa è attorno al 40%. Vuol dire che quattro bambini su dieci purtroppo non ce la fanno, proprio perché non c’è una prevenzione, che poi permette di intervenire. Quindi — riferisce — operiamo, interveniamo con la chemioterapia, la crioterapia e al contempo cerchiamo di fare un lavoro di sensibilizzazione».

L’approccio «è quello della “localizzazione”: lavoriamo — chiarisce il direttore di Cbm Italia — con partner locali, dando modo a loro di crescere, ma anche alla comunità, alla società locale, alla nazione. Consiste anche nel fare molta formazione a tanti medici che poi restano a prestare servizio nel loro Paese».

All’incontro a palazzo Valentini, introdotto da Mariano Angelucci, presidente della commissione capitolina che si occupa delle relazioni internazionali, e Lea Barzani, responsabile delle relazioni esterne di Cbm Italia, scorrono le immagini del viaggio nelle strutture al centro dei progetti di Cbm Italia: la sofferenza nei volti e nei racconti di piccoli pazienti e genitori, s’intreccia con la vivacità dei colori, dei sorrisi, dei canti. Al Ruharo mission hospital è stata inaugurata una nuova area giochi dedicata ai bambini ricoverati, nata con l’obiettivo di alleviare la degenza. Il direttore dell’organizzazione racconta come in una precedente visita si fosse reso conto che «i bambini, costretti a rimanere in ospedale anche per 7-8 mesi assieme ai loro genitori — i quali dormono per terra, accanto alle culle, perché non ci sono letti a disposizione per gli adulti — non avevano uno spazio coperto dove poter stare, magari in caso di pioggia». Eppure «quei piccoli sono prima di tutto bambini e poi pazienti! Abbiamo quindi lanciato l’idea con un amico, un diacono di Milano, Umberto Castelli, che purtroppo nell’arco di pochissimi mesi ci ha lasciato per una terribile malattia. In sua memoria, i parenti, gli amici, le persone a lui vicine si sono unite e hanno raccolto fondi per realizzare l’area giochi, che ora è dedicata a Umberto».

In un Paese teatro negli anni di diversi conflitti e fortemente provato dalla «tempesta», così la definisce Maggio, del covid-19, come pure da tante epidemie, prima tra tutte l’ebola, la missione di Cbm Italia ha toccato anche altre zone dell’Uganda. Alla periferia della capitale Kampala, sorge il Corsu hospital di Entebbe. «L’abbiamo fondato 15 anni fa e ora è l’ospedale ortopedico pediatrico di riferimento non solo per l’Uganda ma per tutta l’Africa subsahariana. È nato col “sogno” di creare una clinica per la riabilitazione fisica, soprattutto dei bambini che si ammalano di osteomielite, un’infezione delle ossa. Ecco, noi interveniamo, cercando di ridare un futuro a questi bambini e, insieme, alle loro famiglie».

A circa 9 ore di macchina, si trova un altro centro, quello di Rwamwanja, dove sorge un grande campo profughi, per oltre 100.000 persone. All’interno di tale realtà si è creata un’ulteriore comunità, quella degli albini, affetti dalla rara malattia genetica che comporta la mancanza di pigmentazione della melanina nei capelli, nella pelle e negli occhi: sono spesso oggetto di credenze e superstizioni che ne favoriscono l’emarginazione sociale e provocano stigmatizzazioni e violenze. «Sono prigionieri della loro pelle», ha testimoniato in videocollegamento Filippa Lagerbäck. Ma a loro fianco, in collaborazione con l’associazione Albinism Umbrella, c’è appunto Cbm Italia, che lì promuove la difesa dei diritti e l’inclusione sociale delle persone albine, anche attraverso l’apertura di un laboratorio per la produzione di creme solari.

Dell’impegno di Cbm Italia, che non è «”solo” quello di fornire cure ma anche dare accoglienza e speranza», ci tiene a precisare il direttore, danno testimonianza proprio i destinatari della missione dell’organizzazione. I ragazzi come Tahiah, che ha 16 anni e ha perso entrambi gli occhi: dopo un lungo percorso, adesso può studiare. «Vuole diventare avvocato e difendere principalmente i diritti delle persone», riporta Chiara Rho, referente per le grandi donazioni di Cbm Italia. O come Hope, una bambina che a Massimo Maggio aveva confidato il suo più grande desiderio, quello di poter vedere. Oggi «ci è riuscita».