Il grido del vescovo di El Paso che racconta le preoccupazioni di tutta la Chiesa statunitense

«Migranti trattati
senza dignità e rispetto»

 «Migranti trattati  senza dignità e rispetto»  QUO-153
04 luglio 2025

di Federico Piana

Il suo dolore è immenso, incontenibile. Lo si capisce subito dal tenore delle sue risposte che trasudano preoccupazione ad ogni sillaba. Ogni frase che monsignor Mark Joseph Seitz pronuncia, a colloquio con i media vaticani, è un violento colpo all’anima. Provoca uno scossone alla coscienza sentire il vescovo della diocesi di El Paso, in Texas, e presidente della Commissione per i servizi ai migranti e ai rifugiati della Conferenza episcopale degli Stati Uniti descrivere il duro atteggiamento dell’amministrazione americana nei confronti di migliaia di persone che hanno abbandonato il proprio Paese per sfuggire a povertà, guerre e soprusi. Il presule denuncia la sospensione e il mancato rispetto dei diritti fondamentali che gli Usa, fin dalla loro fondazione, hanno considerato inalienabili: «Nel trattamento che ora si sta riservando agli immigrati, il rispetto fondamentale della dignità data da Dio e la preoccupazione per il benessere delle persone e delle loro famiglie vengono messi da parte. I nostri principi fondamentali vengono ignorati quando interi gruppi di persone diventano oggetto di una profilazione razziale». E brucia ancora di più sentirlo parlare di palesi violazioni delle tutele sancite dalla gloriosa costituzione a stelle e strisce nel momento in cui apre il capitolo delle deportazioni di massa che sono state pianificate e che ora stanno iniziando ad essere attuate senza alcun tentennamento. «Queste deportazioni — dice — comportano anche la violazione della Carta dei diritti: il diritto a un giusto processo e quello che prevede la difesa da perquisizioni e sequestri irragionevoli. La legge e l’ordine che erano stati promessi sono stati sostituiti da un approccio caotico e casuale all’applicazione delle norme sull’immigrazione che sembra essere stato concepito per sopraffare, creando un clima di paura e intimidazione».

I vescovi americani sono spaventati anche dal fatto che la narrazione sugli immigrati sta assumendo toni pericolosi, esplosivi. E monsignor Seitz si fa portavoce degli incubi dei suoi confratelli: «Molti gruppi etnici vengono costantemente descritti come criminali, stupratori, clandestini. Un modo atroce per disumanizzarli. Più in generale, c’è un grande disprezzo per il benessere dei poveri. Si stanno tagliando i servizi sociali e gli aiuti che sono un’ àncora di salvezza per gli affamati e i malati mentre si propongono tagli fiscali che andranno a beneficio principalmente dei più ricchi».

Nelle strade di molte città si sono moltiplicati i fermi, i controlli a tappeto, gli arresti considerati arbitrari e talvolta illegittimi: c’è anche chi è stato ammanettato mentre era intento a varcare la soglia di una chiesa per partecipare alla messa domenicale. Una tendenza autoritaria considerata dal vescovo come «l’attuale approccio adottato dai funzionari dell’immigrazione in tutto il Paese. L’amministrazione ha ripetutamente sottolineato che sta dando la caccia ai criminali violenti ma la realtà è ben diversa: vengono presi di mira gli immigrati che non hanno commesso alcun reato e molti di essi sono legali. Abbiamo persino avuto notizie di persone nate negli Stati Uniti che sono state coinvolte in queste azioni di contrasto di ampia portata».

La reazione della Chiesa locale non si è fatta attendere: non sono mancate dichiarazioni pubbliche di condanna mentre molte diocesi hanno coordinato raduni di massa, marce pacifiche e veglie silenziose. Vescovi, sacerdoti, suore e laici hanno espresso il loro dissenso recandosi nei tribunali e nei luoghi dove i migranti sono presi di mira per garantire il massimo rispetto delle procedure legali.

Con i corposi tagli ai finanziamenti destinati alle politiche per migrati e rifugiati s’è messo in crisi un sistema di collaborazione tra governo e Conferenza episcopale che durava da più di 40 anni: quello che consisteva nell’accogliere persone in fuga da guerre, carestie e persecuzioni, anche quelle religiose. Tutto questo è stato interrotto e monsignor Seitz non ci sta: «Centinaia di dipendenti che si dedicavano a questo lavoro hanno perso il posto. Catholic relief services, una delle più grandi agenzie che si occupa dei poveri e degli affamati al di fuori del nostro Paese, ha perso un terzo del budget. Questo crea una situazione in cui ancora più persone potrebbero essere costrette ad abbandonare le proprie nazioni, il che è contrario all'obiettivo di ridurre la migrazione irregolare negli Usa».

Nella sua diocesi di El Paso, città di confine con il Messico dal quale provengono ogni anno migliaia di uomini, donne e bambini a caccia del sogno americano, Seitz ha creato un fondo di assistenza per i rifugiati che servirà per aiutare chi viene espulso perché, spiega, chi dovrà tornare nel proprio Paese potrebbe trovarsi ad affrontare minacce e povertà maggiori di quelle da cui era fuggito: «Tutto ciò che desiderano gli immigrati che sono qui è poter lavorare e vivere in pace nelle proprie comunità. Molti di loro sono persone di grande fede e desiderose di esprimere gratitudine a Dio per le benedizioni ricevute, indipendentemente dalle difficoltà che devono affrontare. Purtroppo, in tanti ora hanno paura di andare a messa per timore di essere arrestati mentre si recano in chiesa o, Dio non voglia, durante la liturgia».

La maggior parte degli americani non conosce la realtà vissuta dai migranti né la complessità delle regole del sistema di gestione del fenomeno migratorio eppure molti sono preoccupati per tutto quello che sta accadendo. «A riprova di questo — aggiunge il presidente della Commissione immigrazione della Conferenza episcopale statunitense — si stima che il 14 giugno scorso almeno 5 milioni di persone abbiano manifestato contro queste politiche riversandosi nelle strade di numerose città di tutta la nazione. Inoltre, i sondaggi mostrano costantemente che un’ampia maggioranza di americani di tutto lo spettro politico è favorevole alla creazione di un percorso verso lo status legale permanente per i residenti di lunga data, cosa che i vescovi statunitensi sostengono da tempo».

Alla domanda che mirava a comprendere in che modo la Conferenza episcopale locale stesse dialogando con l’amministrazione per ottenere modifiche ai provvedimenti sull’immigrazione, Seitz riserva una risposta laconica: «La nostra Conferenza episcopale è costantemente impegnata a comunicare con questa e con ogni amministrazione. Cerchiamo di fornire un contributo morale basato sugli insegnamenti di Cristo in merito alle questioni e alle leggi in discussione». Un invito alla collaborazione per cercare di sanare le ferite.

La questione delle politiche dell’amministrazione statunitense sui migranti e rifugiati era stata affrontata con fermezza già nella lettera ai vescovi degli Stati Uniti, inviata a febbraio scorso da Papa Francesco. Nella missiva, il Pontefice sottolineava l’importanza di tutelare il rispetto dei migranti, invitando a un approccio accogliente e rispettoso delle loro esigenze. Stigmatizzando le politiche di deportazione di massa, il Pontefice affermava che queste ledono la dignità umana di molti uomini, donne e di intere famiglie, e che uno Stato di diritto deve proteggere tutti i cittadini, compresi i migranti. Allo stesso tempo, Papa Bergoglio riconosceva «il diritto di una nazione a difendersi e a proteggere le comunità da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel Paese o prima dell’arrivo». La lettera invitava i fedeli e gli uomini di buona volontà a non cedere a narrazioni discriminatorie che «causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati» e a promuovere l’accoglienza, la protezione, la promozione e l’integrazione dei migranti. Parole che, in questo momento, sembrano assumere ancora più urgenza.