
di Leonardo Sapienza
È proprio vero che l’indifferenza è la più grave malattia dell’anima» (Fénelon). Si legge sempre più spesso nelle cronache di persone che muoiono nella completa indifferenza dei passanti o dei vicini. Anzi, qualcuno si ferma, ma solo per riprendere la tragedia con il cellulare e poi diffondere le immagini.
«La diffusione virale aumenta la nostra consuetudine con l’atrocità, rendendo familiare l’orribile, quasi inevitabile. Assuefazione alla tragedia, questo è il vero dramma cui andiamo incontro» (Aldo Grasso).
L’indifferenza può colpire anche noi, che passiamo accanto a tanti feriti dalla vita, e ci giriamo dall’altra parte. O facciamo come il dottore della Legge che chiede con distacco a Gesù: «Chi è il mio prossimo?». E Gesù rilancia: «Chi di questi tre è stato prossimo di quel malcapitato?».
Non perdiamo tempo a chiedere chi è, e dove sta il nostro prossimo. Non parole astratte ed evasive, ma risposte concrete, impegno generoso: io mi faccio prossimo, mi avvicino, mi piego, tocco, pago di tasca mia...
Un Rapporto del Censis certificava che il 75% degli italiani non si fida degli altri. Solo nel 14% della popolazione è rimasta un po’ di speranza. Questa fotografia della realtà può aggiungere pessimismo a pessimismo. Ma noi dobbiamo reagire da cristiani.
Il comandamento dell’amore — ci ricorda la prima lettura — non è qualcosa di impossibile, di irraggiungibile, «è nel tuo cuore, perché tu lo metta in pratica».
E Gesù nel Vangelo ci ripete: «Va’, e anche tu fa' lo stesso». L’unica ricchezza che dura oltre questa vita è l’amore verso gli altri, l’amore con cui avremo avvolto ogni cosa, ogni realtà della nostra esistenza.
Il Vangelo in tasca
Domenica 13 luglio
XV del Tempo ordinario
Prima lettura: Dt 30, 10-14;
Salmo: 18;
Seconda lettura: Col 1, 15-20;
Vangelo: Lc 10, 25-37.