Documento delle Chiese di Africa, Asia e America Latina sulla giustizia climatica

Promuovere conversione ecologica e paradigmi economici solidali

 Promuovere conversione ecologica  e paradigmi economici solidali  QUO-150
01 luglio 2025

di Roberto Paglialonga

La crisi climatica «non è solo un problema tecnico», ma «una realtà urgente, una questione esistenziale di giustizia, dignità e cura della casa comune». Per tentare di far fronte a questa crisi, sono da rifiutare le false soluzioni come il capitalismo “verde”, la tecnocrazia, la mercificazione della natura e l’estrattivismo, che perpetuano lo sfruttamento e l’ingiustizia». È necessaria invece «una profonda conversione ecologica», un cambiamento strutturale, che non può non comprendere anche un vero cambio di paradigma del sistema economico, «sostituendo la logica del profitto illimitato con l’ecologia integrale». È, questa, la convinzione espressa nel documento Un llamado por la justicia climática y la casa común: conversión ecológica, transformación y resistencia a las falsas soluciones, presentato stamattina presso la Sala stampa della Santa Sede dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc) e dal Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), coordinati dalla Pontificia Commissione per l’America Latina (Pcal). Vi hanno preso parte, con la moderazione della vicedirettrice della Sala stampa, Cristiane Murray, la segretaria della Pcal, Emilce Cuda, e i cardinali Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre (Brasile), presidente del Celam e della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb); Filipe Neri Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão, in India, presidente della Fabc; Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, e presidente del Secam.

Un appello congiunto delle Chiese del sud del mondo, hanno spiegato i relatori, che si inserisce nella prospettiva della prossima Cop30, in programma a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025, per chiedere «equità, giustizia, protezione» in difesa di popolazioni indigene, ecosistemi, comunità impoverite, persone vulnerabili, come giovani, donne e anziani. E ispirato alla Laudato si’ di Papa Francesco, e all’invito di Papa Leone XIV ad affrontare «le ferite causate dall’odio, dalla violenza, dal pregiudizio, dalla paura della differenza e da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri». Il documento, che i relatori hanno presentato al Pontefice prima dell’incontro con la stampa, illustra gli impegni che la Chiesa potrà mettere in campo: la difesa dei più deboli nelle decisioni su clima a natura; la promozione di sistemi basati sulla solidarietà, la «sobrietà felice» e i principi della saggezza ancestrale; il rafforzamento di un’alleanza intercontinentale tra i Paesi del sud del mondo; ma anche la costituzione di uno speciale “Osservatorio sulla giustizia climatica” per monitorare i risultati delle Cop. Importante poi l’accento posto sulla questione educativa, decisiva per contrastare «la posizione apertamente negazionista e apatica adottata dai segmenti super-ricchi della società, le cosiddette élite del potere», sottolinea il documento, riprendendo anche l’esortazione apostolica di Papa Francesco Laudate Deum (n.38).

Ma il rapporto si rivolge anche a tutti gli attori globali con richieste specifiche: «Rispettare gli accordi di Parigi», mettendo «il bene comune al sopra del profitto»; trasformare il sistema economico in senso più sostenibile per il pianeta; «promuovere i diritti umani».

«Cerchiamo di raggiungere i cuori di credenti e non credenti», ha detto Emilce Cuda. Le Chiese particolari del Sud globale intendono «costruire ponti tra di loro come espressione della cattolicità», e ponti con chi sta al di fuori della Chiesa. Il documento così è «espressione concreta della capacità di superare divisioni e ideologie» perché «o ci uniamo o anneghiamo».

«Il messaggio è chiaro: non c’è giustizia climatica senza conversione ecologica, e non c’è conversione senza resistenza a false soluzioni», le ha fatto eco il cardinale Jaime Spengler. Tra queste la finanziarizzazione e la mercificazione della natura, il capitalismo “verde”, l’estrazione mineraria e le monoculture energetiche, che sacrificano comunità ed ecosistemi. «Ci sono interessi economici che si nascondono dietro queste false soluzioni: e allora, è ancora possibile che la questione climatica sia un affare per pochi?», è la denuncia del porporato. La conversione ha un prezzo da pagare: «O abbiamo il coraggio di decisioni oppure metteremo in pericolo il futuro delle prossime generazioni».

L’ispirazione può venire da una transizione equa, comunitaria, con al centro giovani e donne. Ma perché questa si realizzi effettivamente — oltre a difesa della sovranità dei popoli indigeni e delle comunità tradizionali sui territori, eliminazione dei combustibili fossili (il tetto dell’innalzamento massimo delle temperature all’1,5°C è già stato superato nell’arco temporale 2015-2024), promozione di meccanismi di solidarietà e rispetto delle culture locali — è necessario un cambiamento nel paradigma economico. «I Paesi ricchi — dice il documento — riconoscano e si assumano il loro debito sociale ed ecologico come i principali attori storici responsabili dell’estrazione delle risorse naturali e dell’emissione di gas serra; si impegnino a favore di una finanza accessibile ed efficace per il clima che non generi più debito»; lavorino a un’alleanza con i Paesi del sud globale per l’etica e la giustizia; creino «meccanismi di governance del clima con la partecipazione attiva delle comunità»: si attivino «politiche di riduzione della domanda e dei consumi, obiettivi di decrescita e transizione verso modelli economici più circolari, solidali e ricostituenti».

In questo senso, «l’Africa è un esempio significativo», ha evidenziato il cardinale Fridolin Ambongo Besungu. «È una terra ricca, depauperata da secoli di estrattivismo e sfruttamento». E oggi «il continente che inquina meno più caro paga il costo dell’inquinamento globale. È dunque contraddittorio utilizzare i profitti dell’estrazione petrolifera per finanziare la transizione».

Fondamentali — ha spiegato anche il cardinale Filipe Neri Ferrão — saranno i meccanismi di compensazione, ancora non sufficienti, e che i Paesi sviluppati «si assumano il loro debito ecologico, che raggiungerà 192 trilioni di dollari entro il 2050». La Cop30 in Brasile, dunque, rappresenta una chiamata storica, e cade in un momento decisivo per l’umanità afflitta anche dalla guerra: «Vogliamo che non sia solo un altro evento, ma una svolta morale», hanno concluso i relatori del documento.