Semi di Speranza Nel Villaggio della solidarietà e dell’accoglienza realizzato dall’associazione romana “I Poveri al centro”

“Normalità” è anche una volpe che ti viene a trovare

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05 luglio 2025

di Marta Tucci e Daniele Mureddu

Salvezza. È questa la parola che usa Khalid per raccontare cosa rappresenta nella sua vita il Villaggio della solidarietà e dell’accoglienza, un luogo immerso nel verde poco oltre il Raccordo Anulare dove — racconta uno degli ospiti — «ci viene a trovare anche una volpe» e che per molti rappresenta un nuovo inizio. Khalid ce ne parla, dopo averci offerto un caffè, seduto intorno ad un tavolino insieme ad alcune delle 53 persone che vivono in questa realtà — 14 case mobili — messa in piedi dall’associazione “I Poveri al centro”.

«Condoglianze per la perdita di Papa Francesco» dice Khalid prima di cominciare a raccontare la sua storia. «Era veramente un amico di tutto il mondo, anche per me che sono musulmano».

Arrivato in Italia dal Marocco, e con il 5 come numero fortunato, Khalid si è da poco separato dalla moglie: «Sto vivendo un momento delicatissimo. Dopo 10 anni di vita “normale” con mia moglie, ho perso tutto. Poi ho conosciuto “I Poveri al centro” ed è stata una salvezza. Qui ho trovato una famiglia».

Prima di continuare, ci e gli chiediamo: «Che cos’è una vita “normale”?». Per i nostri ospiti — oltre a Khalid, ci sono Fabio, Massimiliano, Sara, Carola e Giuseppe — più che una domanda è uno spunto per ascoltarsi e condividere le proprie esperienze. Ed è proprio in quei tentativi di dare forma, attraverso le parole, alla “normalità” come categoria dell’esistenza, che ci confidano le loro ferite e le loro speranze.

Con noi c’è anche il presidente dell’associazione, Francesco Maria Matricardi, che ci ha accolti all’ingresso del villaggio. “I Poveri al centro” nasce nel 2015 nella basilica di Sant’Eustachio a Roma, dove da anni don Pietro Sigurani e un gruppo di volontari offrivano assistenza a persone senza dimora: la mensa, l’assistenza medica ed altro. «Abbiamo imparato facendo», ci racconta Francesco. «Quando abbiamo iniziato nessuno aveva una preparazione specifica. Sapevamo solo che il Povero è una Persona e in quanto persona ce ne volevamo prendere cura. Così ci siamo accorti che il tema della casa è fondamentale e abbiamo pensato di rivolgerci a delle strutture turistiche per affittare alloggi per i nostri amici senza dimora. E così siamo andati avanti fino ad oggi contando solo sul volontariato e sulla carità: infatti, per scelta non ricorriamo ad alcun sostegno pubblico, neanche al 5x1000».

Da questa esperienza è nato il progetto Ca.La.Psi (casa, lavoro, psiche) che consiste nel dare un alloggio per quattro mesi che possono estendersi a ventidue, un supporto d’ascolto anche per aiutare a trovare un’occupazione e un sostegno psicologico. «Cerchiamo la nostra utopia: andare oltre l’assistenzialismo e restituire dignità alle persone. Per esempio, nella nostra sede al centro di Roma, per il servizio docce mettiamo a disposizione degli asciugamani di cotone e non di carta. La dignità passa anche attraverso queste cose».

L’accompagnamento psicologico gioca un ruolo fondamentale. Lo spiega bene Carola, che per una vita è stata psicologa di professione e che, da marzo, si trova nel villaggio. Nonostante le difficoltà, Carola riesce a cogliere il lato positivo di questa esperienza: «Non è stato facile per me, come non è mai facile fare i conti con se stessi. Ma tutto ti arricchisce. Ho preso in mano la realtà e non sto guardando solo al problema, ma alle soluzioni». «Io non so — continua — quali siano i parametri di una “vita normale”. Ho lavorato per tanti anni in una clinica psichiatrica e quando uscivo pensavo che il “fuori” fosse peggio che il “dentro”».

Non si lasciano scoraggiare neanche Sara e Giuseppe, la più piccola e il più grande del gruppo. Nonostante la differenza d’età e le difficoltà, hanno lo stesso amore per la vita e sono pieni di progetti per il futuro. Sara ha vent’anni e il suo sogno è quello di formare una famiglia insieme con Simone, il suo compagno: «I miei genitori non hanno accettato la nostra relazione per la differenza d’età, vent’anni, ma lui è il mio pilastro e spero che ci sposeremo presto». Ed esprime la sua gratitudine verso i volontari che spesso «si accollano anche le nostre giornate no».

Giuseppe, invece, ha 70 anni, ma se ne sente ancora 40: «Vale l’età biologica, non quella anagrafica!» dice. Da ospite, Giuseppe è diventato un volontario: «Per me è stata anche una forma di terapia. Non riuscivo a stare fermo e a non fare niente. Allora, però, non ero pronto a rimettermi in pista con i miei progetti. Quindi, il presidente ha iniziato a darmi degli incarichi. Ho scoperto così un mondo che non conoscevo».

«Chi ha avuto esperienze come le nostre non può dimenticare», racconta Fabio. «Penso che una “vita normale” consista in un po’ di serenità per tutti, vivere la propria vita onestamente, darsi da fare per il prossimo. La “normalità” della vita si misura con le scadenze. Adesso devi fare questo, poi quello e così fino alla fine della giornata, per ricominciare tutto all’indomani. Più che normalità, questa è quotidianità. Qui, al villaggio, non ti promettono la luna, ma ti danno il modo di poterci arrivare». A partire dalle cose essenziali, come affrontare questioni burocratiche o mediche.

Così è successo a Massimiliano: «Sono arrivato qui con gravi problemi di salute, con delle ulcere dovute all’insofferenza venosa alle gambe. Ora riesco a camminare».

È camminando — perché «non bisogna per forza correre», come ricorda Fabio — che gli ospiti dell’associazione “I Poveri al centro” si stanno avviando verso una nuova vita, fatta di speranze e progetti da realizzare.