Trincee di Speranza Un reportage fuori dal coro nelle estreme periferie di Roma

La buca dell’ inferno

 La buca dell’ inferno  ODS-033
05 luglio 2025

di Violante Sergi

È da un mese che Michele, Nico e io parliamo del Quarticciolo, io lo conosco per via del teatro e della multa che c’ho preso l’ultima volta, Nico lo conosce per certi amici suoi, Michele, invece, il Quarticciolo non lo conosce per niente, tanto che quando salgo sulla sua macchina, una via di mezzo tra un veicolo e un Lego anni ’50, Michele fa: mi guidi tu? Siamo messi bene, penso quando, dopo quasi un’ora, raggiungiamo la nostra meta: sono le quattro di pomeriggio, fanno 36 gradi all’ombra e in giro per il Quarticciolo non c’è un’anima. Come si dice? Ad agosto Roma si svuota. Peccato che siamo a giugno, ma perché siamo venuti qua? mi domando mentre scendo dalla macchina col mio cappello di paglia over size e inizio a cercare una presenza umana. Non trovo nessuno, solo una vecchina seduta su un muretto. Chissà chi aspetta. Chissà da quanto.

Michele, ce l’abbiamo il tempo di un caffè? Mentre avanziamo verso l’unico baretto aperto, mi faccio spiegare da Nico come funziona questo posto, laggiù che fanno? E lì? E in quel cortile? Quella è una piazza di spaccio, dice Nico, poi capisce che con me deve partire dalle basi. Per piazza di spaccio non si intende una vera e propria piazza, ma un punto in cui si spaccia. In questa piazzetta, ad esempio, ci sono quattro piazze di spaccio. Che vendono tutte cose diverse, dico io. Nico scuote la testa: vendono tutte la stessa cosa. Ma non ha senso, gli dico. Ce l’ha eccome, qui vengono da tutta Roma per comprare la roba.

Ragazzi, voi che prendete, domanda Michele, poi, mentre sorseggiamo chi un tè freddo, chi un caffè, chi una Red Bull, dico: facciamoci un selfie! Siamo i turisti perfetti: io col cappello di paglia xl, Michele col cappellino bianco con la visiera e Nico con le cuffie da dj set, ma t’ascolti la musica mentre parliamo? Lui non risponde, guarda i palazzi rossi con le persiane chiuse, alle 16 di pomeriggio e io posso solo immaginare cosa stia pensando. Su, sorridete! A vederci così, lo capiscono tutti che non veniamo da qui.

Al Quarticciolo non si viene, dal Quarticciolo si va via, dice padre Daniele Canali, dehoniano, che è nato e cresciuto in questo quartiere e da tre anni è il parroco della Chiesa dell’Ascensione del Nostro Signore Gesù Cristo. Sai come lo chiamano il Quarticciolo? Mi domanda il prete e io scuoto la testa. La buca dell’inferno. E perché? Per arrivare qui da Centocelle si scende, per arrivare qui dall’Alessandrino si scende, per arrivare qui dalla Prenestina si scende e per arrivare qui da Tor Tre Teste indovina un po’? Si scende. E per risalire? gli domando. Lui, allora, mi racconta della notte di Tor Vergata, durante il Giubileo del 2000, quando Giovanni Paolo ii disse: «Fate della vostra vita qualcosa di grande, rifiutate di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità». Fino a quel momento, padre Daniele Canali, che all’epoca era solo Daniele, si immaginava un futuro normale, con una famiglia, dei figli, un lavoro onesto, poi le parole del Papa hanno acceso una scintilla: Giovanni Paolo non ci stava dicendo: vogliatevi bene, siate uniti, ci stava dicendo: la vita è una cosa seria, forse vi sarà chiesto anche qualcosa di più, ma voi ce la farete. E a me quella sfida m’ha aperto il cuore: ho deciso di osare.

Così quel giovane di borgata, figlio di operai, è entrato in seminario, ha scelto di avere non una famiglia, ma una comunità, che poi, precisa lui, una comunità cristiana nella buca dell’inferno è già un miracolo. Ma cosa significa essere comunità al Quarticciolo? Vuol dire che qui si conoscono tutti e se tu hai sbagliato lo sanno tutti, se sei stato in carcere, se sei uno da tenere lontano, ma in parrocchia noi accogliamo tutti, senza giudicare. E come si fa? Solo la fede forte riesce ad aprire le braccia.

La ricetta di questo sacerdote, che sorride sempre, ha il sapore della semplicità evangelica: qui non ci sono numeri, qui c’è gente che annuncia il Vangelo. Ma, padre Daniele, come si fa a non sbagliare quando l’errore è così a portata di mano: in una sola piazzetta ci sono quattro piazze di spaccio? È una battaglia quotidiana tra il bene e il male, ogni giorno qui si combatte come in trincea. E quali sono le armi per vincere? Facendoti vicino agli altri, mi dice lui, dandogli sempre un’opportunità, ma tenendo sempre a mente una cosa: l’amore abbraccia, non stringe.

Mi ricordo un ragazzo che una volta m’ha detto: «Lo sai perché mi sono fidato di te e non mi sono mai pentito? Perché m’hai voluto bene, non m’hai mai giudicato». Io sono un prete de’ borgata, ignorante e somaro, ma una cosa il Signore me la fa vedere: se io mi guardo indietro vedo un sacerdozio fecondo. Un sacerdozio che padre Daniele interpreta in una sola maniera, quella del buon pastore, e il pastore deve stare in mezzo alle pecore, altrimenti le perde perché non le conosce. E loro non riconoscono la sua voce: ma com’è che a te Dio t’ha chiamato, mentre altri sono ancora lì che aspettano? Per la prima volta il pastore si fa serio: Dio parla a tutti, bisogna vedere se noi siamo sintonizzati. Finora il Signore m’ha fatto la grazia di farmi stare sempre in mezzo alle mie pecore, e così dicendo padre Daniele mi accenna alle tante iniziative della parrocchia: la via crucis tra le vie del quartiere, il viaggio dei giovani a Lourdes, il Cammino di Santiago, il centro d’ascolto, l’oratorio, il teatro parrocchiale, che non è il teatro dove andavo io quando venivo al Quarticciolo.

E poi mi indica una foto alle mie spalle che sembra… Non è un lumino del camposanto, mi rassicura padre Daniele, è un punto di luce. Cinque volte l’anno, a partire dal tramonto, in quindici case della zona si riuniscono gruppi di almeno dieci persone. E che fanno? Pregano, e così accendono una luce di speranza proprio qui, in questa terra di missione che chiamano la buca dell’inferno.

Saluto il prete de’ borgata che i ragazzi chiamano Pre’: per quanto tempo rimarrai qui? Lui non lo sa, ma so che questa comunità sta nelle mani di Dio, che sono mani sicure.

Quando esco sulla piazzetta individuo subito il cappellino bianco di Michele, sta scattando foto ai murales, dietro di lui c’è Nico, sempre con le cuffie da dj set che non ho capito se sparano musica o sono rotte. Io ho fatto, dico. E il cappello? mi fa Nico. Io mi tocco la testa, l’ho dimenticato dentro! Scusa Pre’, ho lasciato il cappello. Mentre padre Daniele va a prenderlo all’ingresso della chiesa intravedo una vecchina, è la stessa che prima stava in piazzetta ad aspettare. Aspettava Dio, penso, le è andata bene che è arrivato: col caldo che fa oggi! Sono 36 gradi all’ombra. Col mio cappello di paglia over size mi avvio alla macchina. E questa? domando a Michele indicando una Ferrari parcheggiata tra l’auto sua e un’altra vettura sempre a metà tra un veicolo e un Lego anni ’50. Lui alza le spalle. Nico, questa Ferrari è degli amici tuoi? Lui non risponde, forse c’ha davvero la musica in quelle cuffie, o forse non c’ha voglia di parlare. Quando ripartiamo, direzione Roma Centro, in giro per il Quarticciolo non c’è nessuno, solo una prostituta, sta là dove prima c’era la vecchina. Forse anche lei aspetta il Signore, penso, poi, guardo noi tre che ancora cerchiamo la strada di casa, speriamo che il Signore arrivi presto…