Lunedì a Siviglia la Conferenza internazionale sul finanziamento allo sviluppo

La remissione del debito investimento per la pace

TOPSHOT - Displaced flood-affected people stand in a queue to receive food being distributed by ...
28 giugno 2025

di Gaetano Vallini

«L’attuale sistema del debito è al servizio dei mercati finanziari, non delle persone. Questo rischia di condannare intere nazioni a un decennio di crisi, o peggio. È giunto il momento di agire in modo responsabile». Non lasciano dubbi sulla gravità della situazione e sull’urgenza di dover agire le parole con le quali lo scorso 20 giugno Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia e docente della Columbia University di New York, ha accompagnato la presentazione del rapporto redatto dalla Commissione del giubileo, da lui guidata, istituita a febbraio dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e dall’Iniziativa per il dialogo politico dell’ateneo newyorkese.

L’organismo, composto da 30 economisti e accademici di livello internazionale, ha di fatto elaborato «un programma per affrontare le crisi del debito e dello sviluppo e creare le basi finanziarie per un’economia globale sostenibile e incentrata sulle persone», come si legge nel titolo del rapporto, che è ora a disposizione della Quarta Conferenza internazionale sul finanziamento allo sviluppo (Ffd4) in programma a Siviglia dal 30 giugno al 3 luglio. A detta degli esperti, si tratta di un’opportunità unica — all’assise parteciperanno infatti governi, organizzazioni internazionali e regionali, istituzioni finanziarie e commerciali, società civile e il sistema delle Nazioni Unite — per sostenere la riforma dell’architettura finanziaria mondiale e dare un forte impulso agli investimenti necessari e urgenti per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, la cosiddetta Agenda 2030.

Nei Paesi del sud globale, altrimenti definititi Paesi in via di sviluppo, il peso dei costi per interesse sui debiti sta privando i governi delle risorse necessarie per finanziare le spese sociali, ovvero assistenza sanitaria, istruzione, infrastrutture e resilienza climatica, intaccando di fatto la possibilità di uscire dalla povertà. In sostanza, a 25 anni dalla campagna lanciata in occasione del Giubileo del 2000, con interventi delle istituzioni finanziarie internazionali che permisero a molti Paesi di sanare le passività con le banche, il debito è tornato a essere un serio problema, perché in questi 25 anni sono mancate intese comuni sulle regole del «prestito responsabile». Così oggi 54 Paesi spendono il 10 per cento o più delle loro entrate fiscali per far fronte al pagamento degli interessi sul debito, un onere che è quasi raddoppiato negli ultimi dieci anni, con conseguenze pesantissime sul welfare.

Un tema rilevante, dunque, che tuttavia sembra non interessare l’informazione mainstream, schiacciata sulle guerre in atto, dimenticando però che quasi sempre dietro i conflitti ci sono diseguaglianze e ingiustizie che hanno covato sotto la cenere prima di infiammarsi. Senza equità e giustizia non può esserci pace vera. Colonialismo, guerre, cambiamenti climatici non sono incidenti della storia. Sono conseguenza di decisioni che nei secoli hanno reso la vita difficile, se non impossibile, in alcuni Paesi del sud del pianeta. Lo ha scritto con chiarezza lo scrittore e giornalista statunitense di origini indiane Suketu Mehta. «I Paesi ricchi, colonizzandoci, hanno depredato i nostri tesori, impedendoci di costruire le nostre industrie. Dopo averci saccheggiato per secoli — si legge in Questa terra è la nostra terra (2021) — se ne sono andati, non prima di avere tracciato confini tali da assicurare una condizione di conflitto permanente tra le nostre comunità».

Migliorare i meccanismi di ristrutturazione del debito, modificando la legislazione e le politiche finora adottate dalle istituzioni multilaterali che prestano denaro, promuovere procedure di recupero del credito che non portino a insostenibili piani di austerità, rafforzare al contempo politiche interne che favoriscano investimenti a lungo termine e riforme strutturali nei Paesi del sud globale, come indicato nel rapporto vaticano, non è solo una questione di giustizia, e già sarebbe sufficiente, ma un investimento per la pace. L’unico realmente efficace per disinnescare nuovi conflitti, al di là di ogni strumentale retorica sulla necessità di un riarmo.

Il mondo dei ricchi dovrebbe essere in grado, ne ha la possibilità e gli strumenti, di raggiungere a Siviglia l’obiettivo di rimettere i debiti. Come ha scritto su queste pagine l’economista Riccardo Moro, «l’attesa è grande» e la speranza «è che i governi sappiano essere all’altezza, per rendere la finanza strumento di pace e non di violazione della dignità».