Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, Giornata di santificazione sacerdotale
Leone XIV celebra la messa per l’ordinazione di 32 presbiteri nella basilica Vaticana

Uniti dall’amore di Cristo
e aperti a tutti nella carità

 Uniti dall’amore di Cristo  e aperti a tutti nella carità  QUO-147
27 giugno 2025

Non cedere al fascino di modelli discutibili e inconsistenti proposti dal mondo


«Riconciliati, uniti e trasformati dall’amore che sgorga copioso dal Cuore di Cristo, camminiamo insieme sulle sue orme, umili e decisi, fermi nella fede e aperti a tutti nella carità, portiamo nel mondo la pace del Risorto». È la consegna affidata da Leone XIV ai 32 presbiteri ordinati stamani, venerdì 27 giugno, all’altare della Confessione della basilica Vaticana. Dal Pontefice anche l’invito a fare memoria dei tanti «martiri, apostoli infaticabili, missionari e campioni della carità» che la Chiesa ha avuto ed ha ancora, senza lasciarsi affascinare da «modelli di successo e di prestigio discutibili e inconsistenti» proposti troppo spesso dal mondo. Nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, Giornata di santificazione sacerdotale, la celebrazione eucaristica ha concluso il Giubileo dei sacerdoti, iniziato il 25 giugno. Ecco l’omelia del vescovo di Roma.

Oggi, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, Giornata per la santificazione sacerdotale, celebriamo con gioia questa Eucaristia nel Giubileo dei Sacerdoti.

Mi rivolgo, perciò, prima di tutto a voi, cari fratelli presbiteri, venuti presso la tomba dell’apostolo Pietro a varcare la Porta santa, per tornare ad immergere nel Cuore del Salvatore le vostre vesti battesimali e sacerdotali. Per alcuni dei presenti, poi, tale gesto è compiuto in un giorno unico della loro vita: quello dell’Ordinazione.

Parlare del Cuore di Cristo in questa cornice è parlare dell’intero mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Signore, affidato in modo particolare a noi affinché lo rendiamo presente nel mondo. Per questo, alla luce delle Letture che abbiamo ascoltato, riflettiamo insieme su come possiamo contribuire a quest’opera di salvezza.

Nella prima, il profeta Ezechiele ci parla di Dio come di un pastore che passa in rassegna il suo gregge, contando le sue pecore una per una: va in cerca di quelle perdute, cura quelle ferite, sostiene quelle deboli e malate (cfr. Ez 34, 11-16). Ci ricorda, così, in un tempo di grandi e terribili conflitti, che l’amore del Signore, da cui siamo chiamati a lasciarci abbracciare e plasmare, è universale, e che ai suoi occhi — e di conseguenza anche ai nostri — non c’è posto per divisioni e odi di alcun tipo.

Nella seconda Lettura (cfr. Rm 5, 5-11), poi, San Paolo, ricordandoci che Dio ci ha riconciliati «quando eravamo ancora deboli» (v. 6) e «peccatori» (v. 8), ci invita ad abbandonarci all’azione trasformante del suo Spirito che abita in noi, in un quotidiano cammino di conversione. La nostra speranza si fonda sulla consapevolezza che il Signore non ci abbandona: ci accompagna sempre. Noi però siamo chiamati a cooperare con Lui, prima di tutto mettendo al centro della nostra esistenza l’Eucaristia, «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11); poi «attraverso la fruttuosa recezione dei sacramenti, soprattutto con la confessione sacramentale frequente» (Id., Decr. Presbyterorum ordinis, 18); e infine con la preghiera, la meditazione della Parola e l’esercizio della carità, conformando sempre più il nostro cuore a quello «del Padre delle misericordie» (ibid.).

E questo ci porta al Vangelo che abbiamo ascoltato (cfr. Lc 15, 3-7), in cui si parla della gioia di Dio — e di ogni pastore che ami secondo il suo Cuore — per il ritorno all’ovile di una sola delle sue pecore. È un invito a vivere la carità pastorale con lo stesso animo grande del Padre, coltivando in noi il suo desiderio: che nessuno vada perduto (cfr. Gv 6, 39), ma che tutti, anche attraverso di noi, conoscano Cristo e abbiano in Lui la vita eterna (cfr. Gv 6, 40). È un invito a farci intimamente uniti a Gesù (cfr. Presbyterorum ordinis, 14), seme di concordia in mezzo ai fratelli, caricandoci sulle spalle chi si è perduto, donando il perdono a chi ha sbagliato, andando a cercare chi si è allontanato o è rimasto escluso, curando chi soffre nel corpo e nello spirito, in un grande scambio d’amore che, nascendo dal fianco trafitto del Crocifisso, avvolge tutti gli uomini e riempie il mondo. Papa Francesco scriveva in proposito: «Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità» (Lett. Enc. Dilexit nos, 219).

Il ministero sacerdotale è un ministero di santificazione e di riconciliazione per l’unità del Corpo di Cristo (cfr. Lumen gentium, 7). Per questo il Concilio Vaticano II chiede ai presbiteri di fare ogni sforzo per «condurre tutti all’unità nella carità» (Presbyterorum ordinis, 9), armonizzando le differenze perché «nessuno […] possa sentirsi estraneo» (ibid.). E raccomanda loro di essere uniti al vescovo e nel presbiterio (ivi, 7-8). Quanto più infatti ci sarà unità tra di noi, tanto più sapremo condurre anche gli altri all’ovile del Buon Pastore, per vivere come fratelli nell’unica casa del Padre.

Sant’Agostino, in proposito, in un sermone tenuto in occasione dell’anniversario della sua Ordinazione, parlava di un frutto gioioso di comunione che unisce fedeli, presbiteri e vescovi, e che ha la sua radice nel sentirsi tutti riscattati e salvati dalla stessa grazia e dalla stessa misericordia. Pronunciava, proprio in quel contesto, la famosa frase: «Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano» (Sermo 340, 1).

Nella Messa solenne d’inizio del mio pontificato, ho espresso davanti al Popolo di Dio un grande desiderio: «Una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato» (18 maggio 2025). Torno, oggi, a condividerlo con tutti voi: riconciliati, uniti e trasformati dall’amore che sgorga copioso dal Cuore di Cristo, camminiamo insieme sulle sue orme, umili e decisi, fermi nella fede e aperti a tutti nella carità, portiamo nel mondo la pace del Risorto, con quella libertà che viene dal saperci amati, scelti e inviati dal Padre.

Ed ora, prima di concludere, mi rivolgo a voi, carissimi Ordinandi, che tra poco, per l’imposizione delle mani del Vescovo e con una rinnovata effusione dello Spirito Santo, diventerete sacerdoti. Vi dico alcune cose semplici, ma che ritengo importanti per il vostro futuro e per quello delle anime che vi saranno affidate. Amate Dio e i fratelli, siate generosi, ferventi nella celebrazione dei Sacramenti, nella preghiera, specialmente nell’Adorazione, e nel ministero; siate vicini al vostro gregge, donate il vostro tempo e le vostre energie per tutti, senza risparmiarvi, senza fare differenze, come ci insegnano il fianco squarciato del Crocifisso e l’esempio dei santi. E a questo proposito, ricordate che la Chiesa, nella sua storia millenaria, ha avuto — e ha ancora oggi — figure meravigliose di santità sacerdotale: a partire dalle comunità delle origini, essa ha generato e conosciuto, tra i suoi preti, martiri, apostoli infaticabili, missionari e campioni della carità. Fate tesoro di tanta ricchezza: interessatevi alle loro storie, studiate le loro vite e le loro opere, imitate le loro virtù, lasciatevi accendere dal loro zelo, invocate spesso, con insistenza, la loro intercessione! Il nostro mondo propone troppo spesso modelli di successo e di prestigio discutibili e inconsistenti. Non lasciatevene affascinare! Guardate piuttosto al solido esempio e ai frutti dell’apostolato, molte volte nascosto e umile, di chi nella vita ha servito il Signore e i fratelli con fede e dedizione, e continuatene la memoria con la vostra fedeltà.

Affidiamoci infine tutti alla materna protezione della Beata Vergine Maria, Madre dei sacerdoti e Madre della speranza: sia Lei ad accompagnare e sostenere i nostri passi, perché ogni giorno possiamo configurare sempre più il nostro cuore a quello di Cristo, sommo ed eterno Pastore.


Cinque continenti un’unica emozione 


di Isabella Piro

Una mappa del mondo con il cuore a Cristo: si presentava così la basilica Vaticana stamani, 27 giugno, in occasione della messa con il rito di ordinazione sacerdotale presieduta da Leone XIV. Tutti i continenti erano rappresentati, infatti, dagli ordinandi: tredici — i più numerosi — provenivano dall’Africa; sei dall’Asia e altrettanti dalle Americhe; cinque dall’Europa, inclusa l’Italia, e due dall’Australia e Oceania. 

Visto dall’alto, il luogo di culto che custodisce le spoglie dell’apostolo Pietro era un’unica distesa candida, creata dai paramenti liturgici bianchi dei concelebranti: una decina di cardinali — tra cui il decano del Collegio, Giovanni Battista Re, e il prefetto del Dicastero per il Clero, Lazzaro You Heung-sik, saliti all’altare durante la preghiera eucaristica —, circa trecento vescovi, oltre tremila sacerdoti e una settantina di diaconi. Complessivamente, in basilica erano presenti più di cinquemila fedeli, mentre altri tremila hanno seguito la celebrazione da piazza San Pietro. 

La processione introitale si è snodata sulle note dell’antifona Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, eseguita dalla Schola. Il Papa ha percorso lentamente la navata della basilica, benedicendo i presenti; poi, raggiunto l’altare della Confessione, lo ha baciato e incensato in segno di venerazione. 

La liturgia della Parola è stata scandita dalla prima lettura, in inglese, tratta dal libro del profeta Ezechiele (34, 11-16); dal Salmo 22, in italiano, «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla» e dalla seconda lettura, in spagnolo, tratta dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5, 5b-11). Il Vangelo, proclamato in italiano, è stato quello di Luca (15, 3-7), il passo in cui Gesù narra la parabola della pecora smarrita. 

Subito dopo, ha avuto luogo la liturgia dell’ordinazione: i trentadue sono stati chiamati per nome, rispondendo «Eccomi» e facendo un passo avanti, le mani giunte al petto in gesto di preghiera. Quindi l’arcivescovo Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione,  ha chiesto al Pontefice di ordinare per il ministero presbiterale quanti ne erano stati riconosciuti idonei: «Sei certo che ne siano degni?», la domanda di Leone XIV, cui il presule ha risposto: «Dalle informazioni raccolte..., posso attestare che ne sono degni». 

Dopo l’omelia del Papa i trentadue eletti, alzatisi in piedi, hanno manifestato la volontà di assumere gli impegni sacerdotali. Hanno risposto «sì, lo voglio» ai quattro «volete» pronunciati da Leone XIV e riguardanti la predicazione del Vangelo, la celebrazione eucaristica, la preghiera e la consacrazione a Dio. Poi ad uno ad uno, visibilmente emozionati, gli ordinandi si sono accostati al Pontefice, inginocchiandosi e ponendo le mani giunte in quelle del Papa che ha chiesto loro «rispetto filiale e obbedienza». Dopo il «sì, lo prometto» — pronunciato con tanti accenti diversi e con voci commosse, ma ferme — il vescovo di Roma ha concluso con un auspicio: «Dio che ha iniziato in te la Sua opera, la porti a compimento». 

Le Litanie dei santi hanno accompagnato la prostrazione degli ordinandi a terra. È seguita all’altare l’imposizione silenziosa delle mani di Leone XIV su ciascuno dei trentadue. Lo stesso hanno fatto alcuni presbiteri che hanno concelebrato. Quindi, dopo la preghiera di ordinazione, aiutati da confratelli, tutti hanno indossato la stola e la casula. Il Papa ha quindi unto con il sacro crisma le palme delle loro mani, ponendo poi in esse la patena con il pane e il calice con il vino. Infine ha scambiato con ciascuno l’abbraccio e il bacio di pace. Gesto che gli ordinati, felici e sorridenti, hanno ripetuto con una decina di preti presenti al rito, mentre la Schola intonava Lauda, anima mea, Dominum. 

La messa — conclusasi con l’inno giubilare Pellegrini di speranza — è stata diretta dall’arcivescovo Diego Giovanni Ravelli, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, e animata dal coro della Cappella Sistina, guidato da monsignor Marcos Pavan.