Missione nella comunità pigmea nella Repubblica Democratica del Congo

L’annuncio del Vangelo
che parte dalla vicinanza

 L’annuncio del Vangelo che parte dalla vicinanza  QUO-147
27 giugno 2025

di Enrico Casale

Sono opere d’arte. Così Flavio Pante, missionario della Consolata, definisce i pigmei. E dalle sue parole traspare il profondo amore che nutre per la comunità dei piccoli uomini e donne cacciatori-raccoglitori che vivono nel cuore della foresta. Da anni vive e lavora con loro nell’Haut-Uélé (nella Repubblica Democratica del Congo), aiutandoli a ritrovare un ruolo in una società che li sta sradicando dalla loro cultura e dalle tradizioni ancestrali. Di loro apprezza la semplicità e la profonda spiritualità.

I pigmei sono una popolazione antichissima che, nel tempo, si è progressivamente ridotta sotto la pressione demografica delle popolazioni bantù. Attualmente sono circa 900.000-920.000 persone, presenti soprattutto nell’Africa centrale e meridionale. Sono generalmente discriminati. Il termine “pigmei” è talvolta considerato dispregiativo, sebbene alcuni gruppi lo utilizzino per riferirsi a se stessi. Essi preferiscono spesso autodefinirsi “popolo della foresta”, sottolineando il loro profondo legame con l’ambiente naturale in cui vivono da millenni.

«Nella zona di Bayenga — spiega padre Flavio — sono presenti 36 accampamenti, abitati ciascuno da comunità di 30-50 pigmei. Parlo di accampamenti e non di villaggi perché, essendo cacciatori e raccoglitori, i pigmei sono nomadi e si spostano in cerca di selvaggina e di piante. Da anni, però, la situazione sta cambiando».

Già ai tempi del presidente Mobutu Sese Seko (1964-1997), le autorità promuovevano una politica di sedentarizzazione. La motivazione ufficiale era la necessità di avvicinare i “piccoli uomini” (sono alti in media non più di 1,30 m) ai servizi pubblici: scuole, ospedali, uffici statali. La realtà, però, era — ed è — ben diversa. «Le foreste — osserva padre Flavio — nascondono grandi ricchezze, in particolare oro e legname pregiato. È impossibile cacciare dove le motoseghe abbattono gli alberi o dove il territorio è devastato dalle miniere. Così i pigmei si sono addentrati sempre più nella foresta. Quelli che ne sono rimasti ai margini hanno abbandonato le loro attività tradizionali e hanno iniziato a lavorare per le popolazioni stanziali, diventando anche preda di malattie sconosciute e comportamenti sconvenienti».

Il loro legame con la foresta si è progressivamente allentato e, con esso, la loro cultura. «Le loro tradizioni sono profondamente connesse con la foresta — continua —. Non hanno una divinità vera e propria, ma la foresta rappresenta per loro lo spirito che dà vita e fa crescere. La foresta non è solamente un luogo dove si abita: è una realtà in cui si vive, dalla quale lo spirito prende forma ed è parte». Fuori dalla foresta, perdono ogni riferimento. Gli anziani, spiega il missionario, vivono di rimpianto. I giovani abitano una dimensione che non è più la loro e si mettono al servizio di un sistema di sfruttamento vorace.

I missionari della Consolata lavorano per restituire un’identità alla comunità pigmea, a partire dall’educazione e dalla formazione. La missione, racconta padre Flavio, punta a «un’interazione paritaria» mediante scuola, formazione agricola, nutrizione e salute. L’iniziativa prevede una scuola integrata stagionale, adatta alla vita nomade; l’obiettivo è garantire la frequenza regolare e la prevenzione delle malattie come malnutrizione, tubercolosi, parassitosi intestinali e Aids. «Dobbiamo lavorare per una promozione umana radicata nel territorio e nelle persone, non imposta dall’esterno — spiega padre Flavio —. È importante promuovere autosufficienza, formazione, diritto alla terra e dialogo tra etnie. Senza tutela dei territori e politiche di riconoscimento del valore culturale dei pigmei, rischiamo di assistere al lento declino di un patrimonio millenario».

I missionari portano avanti anche un impegno di evangelizzazione. «Il nostro — continua — è un lavoro delicato che parte dalla vicinanza. Con la nostra presenza cerchiamo di trasmettere il principio che il Dio in cui crediamo è buono e amorevole. I pigmei sono persone aperte e curiose e, nel tempo, desiderano conoscere meglio questo Dio che accoglie e ama tutti. In questo contesto, io stesso ho capito che Gesù è sempre con me, mi vuole bene e che le prove che mi mette davanti sono un modo per farmi vivere come Lui. In ciò, la preghiera e l’Eucaristia sono sostegni fondamentali, senza i quali non potrei vivere con entusiasmo e profonda partecipazione la mia vita di missionario. Io sento Gesù accanto, come fratello, come Padre, come tutto, e come l’unica strada da seguire».