La pace si costruisce con la pace — Antologia

Per l’armonia
che le persone vorrebbero

 Per l’armonia che le persone vorrebbero  QUO-144
24 giugno 2025

di Natalia Ginzburg

Signor presidente, onorevoli colleghi, vorrei dire soltanto poche e brevi parole. Riguardo i missili, mi chiedo se non sarebbe giusto creare le condizioni necessarie per istituire un referendum popolare; capisco che è cosa difficile da attuarsi e tuttavia non è forse questo un fatto su cui dovrebbero essere interrogati e chiamati a decidere tutti gli italiani? Così finalmente conosceremmo la vera volontà del Paese, perché non credo che in parlamento ci sia consentito conoscerla.

Giorni fa alla Camera un buon numero di deputati ha votato contro la presenza dei duemila soldati nel Libano; ma si trattava della minoranza, perché la maggioranza ha votato a favore. Se interrogassimo la gente nelle strade a questo proposito quale sarebbe la risposta? Non chiederebbero forse tutti di farli ritornare a casa? Nello stesso modo, riguardo ai missili, un buon numero di deputati alla Camera voterà contro, ma la maggioranza voterà a favore. Tuttavia è impensabile che tutti coloro i quali hanno dato i loro voti ai partiti della maggioranza nelle passate elezioni siano oggi favorevoli alla presenza dei missili sulla nostra terra. Dunque i partiti della maggioranza non esprimono per nulla il pensiero, il desiderio, lo stato d’animo dei loro elettori, ma unicamente il proprio intendimento personale. (…)

L’idea che la pace debba essere armata e difesa con le armi è una idea totalmente falsa: la pace vera non può che essere disarmata, la pace vera ha in odio le armi e un simile odio essa lo pone al di sopra di tutto.

Quello per cui l’Italia dovrebbe battersi è un disarmo unilaterale. Non importa se altri Paesi si armano, non importa se si armano le grandi potenze: noi restiamo disarmati. Noi perciò rifiutiamo di entrare nella sfera delle grandi potenze, di allearci con gli uni o con gli altri. Se altri Paesi con noi si battessero per il disarmo unilaterale, e lo avessero dai loro governi, allora finalmente la volontà di pace nel mondo parlerebbe con voce più alta e più chiara.

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La gente è infelice perché, anche quando ha la televisione e l’automobile, sente circolare nell’aria una sensazione costante di instabilità e precarietà. La gente è infelice perché alle donne toccano fatiche immense dovendo esse congiungere i lavori di casa con il lavoro fuori, fare entrare tutto nelle loro povere giornate, e non avendo in verità aiuti sufficienti, asili nido sufficienti e sicuri dove mettere i bambini piccoli, provvidenze sicure sulle malattie. La gente è infelice, perché sa e non dimentica che gli ospedali sono sovraffollati, vecchi e pieni di topi. La gente è infelice, perché sa e non dimentica che le carceri sono sovraffollate, maldifese e chi ci è rinchiuso teme continuamente di essere ammazzato, come già è avvenuto a molti per vendetta, in seguito ad azioni della mafia e della camorra. Chi vi è rinchiuso vive là in una condizione infernale. La gente è infelice perché tra gli uni e gli altri si stende un reticolato sottile, una sorta di strana ragnatela, che lega insieme i diversi destini, cosicché il disagio, le ansie, l’insicurezza di uno passano per contrario agli altri e nessuno trova mai un poco di pace. La gente è infelice, infine, perché teme la guerra nucleare e le immagini di guerra appaiono ogni giorno ovunque nei titoli dei giornali, sui teleschermi, nelle sale cinematografiche e se ne discorre ovunque incessantemente. Tuttavia un buon numero di persone in Italia non condivide e non avverte questi disagi (…). Sono quelli che hanno nelle loro mani la facoltà di scegliere, decidere, programmare. (…)

Avversa alla violenza, avversa agli spargimenti di sangue, avversa a ogni specie di distruzione e devastazione, amante di progetti e di memorie, questa grande parte dell’Italia vuole essere solidale con i propri simili, ferma nella difesa della giustizia, risoluta a non cedere alle imposizioni del potere.

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Sono ormai quarant’anni che in Italia è finita la guerra e tuttavia non potremmo dire che questi siano stati quarant’anni di vera pace. In questo periodo non abbiamo mai smesso di pensare alla guerra; abbiamo negli occhi e nello spirito immagini di sangue, di violenza, di repressione e di stragi. Ogni giorno la televisione vediamo la guerra in Paesi che non sono il nostro, ogni giorno i quotidiani ci danno notizia di luoghi dove si vive in guerra da molti anni. I Paesi che la guerra ha risparmiato hanno tuttavia visto e subìto violenze, repressioni e stragi, così come violenze, stragi e spargimenti di sangue abbiamo visto e sofferto anche noi sulla nostra terra.

Tutto ciò in molti di noi ha generato l’orrore delle armi, l’orrore delle aggressioni armate e a un’aggressione armata molti di noi sono risoluti a rispondere con il disarmo e con la ragione. Ma il disarmo e la ragione sembrano ad alcuni un segno di viltà; viene allora evocato l’orgoglio nazionale che chiede bandiere ed armi. In verità un futuro di vera pace, forte, stabile e duraturo e totalmente disarmato non c’è mai riuscito di costruirlo nella nostra mente nel corso di questi anni.

Tutti a parole vogliono la pace, ma non tutti hanno il cuore la vera pace, quella che si rifiuta sempre e comunque di sparare, anche contro uno solo dei propri simili e di mettere in pericolo anche l'esistenza di un solo essere umano.

L’Italia, che era in passato un Paese mite, è oggi diventata una stazione per il traffico di armi e droga; era un Paese mite anche quando i suoi governanti suonavano i tamburi di guerra. Oggi la sua mitezza è scomparsa perché la droga, le armi e i sequestri di persona si sono insediati e diffusi nelle pieghe più segrete e riposte della sua vita sociale. Ci muoviamo quotidianamente in mezzo a strumenti di morte. (…)

Un mondo senza violenza, senza droga, senza traffici di armi, senza mafia, senza camorra, senza sequestri di persona: questo è il futuro che vorremmo destinato all’Italia. È un mondo così diverso dal nostro che ci sembra utopistico immaginarlo. Ma la vera pace stabile, forte e duratura, è possibile costruirla dentro di noi, o almeno gettarne le fondamenta, quando un vero orrore della devastazione e della violenza sia vivo in ognuno. (…) La violenza genera violenza, e le armi generano armi.

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Oggi, ai ragazzi che sfilano dicendo no alla guerra, e a noi stessi, dovremmo chiarire che «no alla guerra» significa dire no a ogni forma di prepotenza o violenza, no al sangue, no alla lotta armata. Che il fine giustifica i mezzi non è vero affatto. (…) No al terrorismo che uccide gli innocenti e i bambini negli aeroporti, e no agli aerei che gettano bombe e uccidono innocenti e bambini nei loro letti. Oggi, dire no alla guerra significa rifiutarsi di alzare un’arma contro un proprio simile. (…) è vero che il nostro istinto ci spinge a colpire quando ci sentiamo in pericolo. Ma occorre a volte ignorare i moti del nostro spirito. Essi sono a volte ignobili. Perciò tutti i discorsi che si fanno sulla pace, tutte le sfilate che si fanno in nome della pace, non hanno nessun significato se non ci sentiamo disposti a farci ammazzare piuttosto che ammazzare il prossimo, chiunque egli sia.

 

«La voce della romanziera e saggista Natalia Ginzburg arriva a noi con assoluta chiarezza tra i veli del tempo e della lingua», scrive Rachel Cusk in Coventry (Einaudi 2024), ed è impossibile darle torto. Il valore, la profondità e la sagacia della voce di Natalia Ginzburg (1916-1991) trovano conferma anche in una parte meno nota della sua vita, quando — a partire dall’8 luglio 1983 — ella fu parlamentare per due legislature. Ha 67 anni Natalia Levi Baldini quando diviene deputata, scegliendo di non entrare in questa nuova avventura con il cognome che usa ormai da 45 anni (il cognome del marito Leone), con cui ha firmato le opere da scrittrice. I suoi interventi in aula sono stati raccolti, a cura di Michela Monferrini, in Una cosa finalmente lieta (Edizioni di storia e letteratura 2023), volume dal quale abbiamo tratto gli stralci in pagina (i primi tre sono parole pronunciate in Aula, rispettivamente il 15 novembre 1983, il 4 aprile 1984 e il 12 settembre 1987; l’ultimo, invece, è parte di un articolo uscito il 25 aprile 1986). Dalle parole della scrittrice sulla pace emerge un aspetto molto interessante: Natalia Ginzburg, infatti, la lega sempre alle condizioni generali della società. La pace può esistere, può attecchire — sembrano dirci i suoi interventi in Parlamento — solo laddove l’armonia muova, o almeno ispiri, tutti gli aspetti della vita comunitaria. Dalla scuola all’economia, dal carcere ai rapporti tra i sessi, passando per il lavoro, le relazioni affettive, il modo di vedere la vita, analizzare la storia e immaginare il futuro. (giulia galeotti)