Panamá

Una delle prime migrazioni pianificate in America Latina a causa degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. È quella avvenuta un anno fa nell’arcipelago di Guna Yala/San Blas, al largo delle acque caraibiche di Panamá, con il trasferimento della popolazione di Gardi Sugdub, circa 1.200 persone della comunità indigena Guna trasportate in barca verso una nuova vita in un quartiere costruito sulla terraferma. Ne parlammo anche sul nostro giornale, perché il mare — che pure a quella comunità di pescatori ha sempre fornito sostentamento e ragion d’essere — stava e sta inesorabilmente sommergendo l’isola.
Da giugno 2024, constata l’Afp, le risate dei bambini non risuonano più nei vicoli di Gardi Sugdub e quegli stessi giovani adesso osservano, dall’altra parte del braccio del Mar dei Caraibi che li divide dall’isola, ciò che rimane delle abitazioni di un tempo. La scuola del villaggio è invasa dalla polvere, che ricopre i banchi vuoti delle aule. Molte case di legno, già costruite sulle palafitte, sono chiuse con i lucchetti. La calma odierna contrasta con la concitazione di quei giorni, quando a risuonare erano gli appelli ad abbandonare l’isola, una delle 49 abitate delle 365 che compongono l’arcipelago: secondo studi scientifici, entro la fine del secolo scomparirà, prima invasa e poi coperta dall’acqua.
Eppure un gruppo di un centinaio di persone ha deciso di rimanere a Gardi Sugdub. Tra loro, c’è Luciana Pérez, che nella sua capanna continua a infilare perline per collane e a cuocere erbe medicinali. «Sono nata a Gardi e qui morirò. Nulla scomparirà», dice all’agenzia di stampa francese.
Secondo Steven Paton, dello Smithsonian tropical research institute, il mare invece salirà inesorabilmente di circa 80 centimetri con un riscaldamento entro la fine del secolo di 2,7 °C rispetto all’era preindustriale. «La maggior parte delle isole di Guna Yala si trova a circa 50 cm sopra il livello del mare: non potranno resistere, saranno sommerse», ha spiegato l’esperto di monitoraggio climatico.
«Adesso abbiamo la luce 24 ore su 24» racconta Magdalena Martinez, un’insegnante in pensione che oggi vive con la nipotina nel nuovo quartiere “Isber Yala”, composto da 300 case costruite dal governo panamense a 2 km dalla costa. Tra strade asfaltate e marciapiedi, le abitazioni di 49 m² in cemento e lamiera sono allineate in blocchi, dispongono di servizi igienici individuali e di un pezzo di terra per coltivare un orto. Ma se la scuola è stata trasferita, il centro sanitario, ormai fatiscente, è rimasto a Gardi Sugdub. «Le visite sono diminuite», spiega il medico locale, John Smith, perché i pazienti devono comunque intraprendere un viaggio in barca per raggiungere l’isola. Eppure alcuni dei vecchi abitanti ancora lo affronta periodicamente, semplicemente per andare a controllare la situazione sull’isola. Perché in fondo, anche se minacciata, quella rimane la terra in cui sono nati. (giada aquilino)