Cinquant’anni fa nei cinema «Lo squalo» di Steven Spielberg

Quel «veltro» di Spielberg
il regista predatore
(ma anche preda)

 Quel «veltro» di Spielberg il regista predatore  (ma anche preda)  QUO-137
14 giugno 2025

di Andrea Monda

Come acutamente osserva Cristiano Governa nell’articolo qui a fianco che ricorda Lo squalo a cinquant’anni anni dalla sua uscita, il grande tema dell’opera cinematografica di Steven Spielberg è la caccia. I primi tre film (Duel 1971, Sugarland Express 1974, Lo squalo 1975) da questo punto di vista fungono quasi da “manifesto”.

La vita è una pista, una strada in cui avviene lo scontro con il Male che ti bracca. Un male appunto con la M maiuscola, assoluto, buio, abissale. Spesso il male si manifesta così, “mostruosamente”, nei film di Spielberg, sia esso incarnato in un fenomeno naturale, come ne Lo squalo o come in Jurassic Park (1993) o artificiale come in Duel, o infine alieno come ne La guerra dei mondi (2005). Del resto il male non si spiega, è l’assenza della spiegazione secondo l’intuizione di Paul Ricoeur; non si può spiegare, ma si può raccontare. A volte lo si deve raccontare, come nel caso della Shoah.

Nel 1993 Spielberg gira due film, accomunati dall’enorme successo ma apparentemente molto distanti: Jurassic Park e Schindler’s List. Nel primo la preda diventa ben presto l’uomo, irretito dal suo sogno prometeico di dominare e manipolare la natura, nel secondo ci sono solo uomini che danno la caccia ad altri uomini, e a fianco di questo c’è un “cacciatore”, anzi un “pescatore” che tira su con la sua rete un po’ di queste prede umane, salvandole dal diluvio e mettendole al riparo dalla furia dei suoi simili. Fuori da quella rete, da quella lista, è tutto buio, tutto è morte. Nella scena più celebre del film si vede la drammatica avventura di una bambina che indossa un cappottino rosso. È la preda, piccola, indifesa, che scappa e fugge dall’assalto mostruoso dei soldati tedeschi. Occhi famelici la cercano per ucciderla, ma non sono gli unici occhi che scrutano e cercano di scovare la bambina. Oltre a quelli dei soldati (e, ovviamente, oltre a quelli degli spettatori, cioè “di noi”) ci sono altri occhi che la “cacciano”, quelli del tedesco Schindler, il pescatore che vorrebbe salvare anche lei, forse solo lei, perché «chi salva una vita umana salva il mondo intero».

È la stessa logica che muove un altro capolavoro del regista ebreo di Cincinnati: Salvate il soldato Ryan del 1998. Lo zoom dello sguardo del regista si concentra solo su uno dei milioni di soldati impegnati nel più grande conflitto di tutti i tempi: c’è solo un uomo a cui dare la caccia, ma ancora una volta per salvarlo. La tag-line di questo grande film di guerra recitava: «La missione è un uomo». La “caccia” della pattuglia del capitano John Miller (Tom Hanks) compie la missione e salva la vita di Ryan e così il mondo intero.

Ma anche i due film di maggiore successo di Spielberg ci parlano della caccia, il primo sin dal titolo: I predatori dell’arca perduta (1981) e E.T. (1982). In questa seconda pellicola la vicenda del piccolo e smarrito protagonista è simile a quella della bambina dal cappotto rosso: anche E.T. è una preda, è oggetto delle “attenzioni” di due squadre di persone, la minaccia e la cura si intrecciano e si scontrano dal primo all’ultimo minuto di questo piccolo grande gioiello che riprende l’antico tema del nostos, del ritorno a casa. Nei confronti del mondo, del pianeta ma soprattutto dei nostri simili, sembra dirci Spielberg nei suoi più di 30 film, possiamo essere predatori o curatori, da qui il peso della scelta e della responsabilità che grava sulle spalle di ogni essere umano.

A volte lo sguardo del regista diventa quasi una soggettiva degli occhi della preda, dell’indifeso. È quando Spielberg ha sfiorato il tema della paternità, vista però rovesciando la prospettiva usuale (un “gioco” che gli riesce bene, si pensi a Schindler’s list o a Munich, 2005) non dalla parte dei grandi ma da quella dei piccoli, di quelli che possono essere considerati “orfani”. Tutti, in fondo, lo siamo, sembra dirci il regista e la caccia più profonda e struggente è quella alla ricerca di un padre. Lo dicono film riusciti a metà come Hook (1991) o perfetti come Prova a prendermi (2002) o intimi come The Fabelmans (2022).

Non sappiamo se Spielberg abbia mai letto il poema del 1890 di Francis Thompson The Hound of Heaven, “Il Veltro di Dio” di dantesca reminiscenza, che tratta della caccia che Dio dà all’anima, ma pensando a tutti i suoi film in generale e in particolare ad un film come Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) viene da pensare che questo sia lo sfondo mitico e mistico di tutta la sua felice opera cinematografica.