Incontro con lo scrittore statunitense Jonathan Safran Foer
Religione e arte

di Claudio Bottan
«Noi vogliamo credere di essere capaci di cambiare, altrimenti non c’è speranza. Ho 4 figli, ognuno ha una personalità diversa da quando erano in culla. Ognuno ha un carisma particolare unico, ma c’è spazio per crescere. Una rosa non diventa un tulipano, ma può crescere. Il rischio è di arrivare troppo tardi. Per salvare il pianeta serve una rivoluzione». A parlare è Jonathan Safran Foer, noto scrittore statunitense che, oltre a romanzi di successo, due dei quali — Ogni cosa e illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino — diventati anche film di successo, è da tempo impegnato sul fronte del cambiamento climatico. Autore del saggio Possiamo salvare il pianeta, prima di cena, Foer nei giorni scorsi è stato il protagonista di un incontro presso la Biblioteca La Natività, nata un paio di anni fa nella parrocchia romana Natività di Maria Santissima a Selva Candida per offrire occasioni e spazi di riflessione culturale in una zona periferica attraverso incontri con autori, presentazioni di libri e altre attività di animazione.
Abituato a spazi ben più prestigiosi, come il Maxxi, dove aveva tenuto il precedente incontro pubblico qualche mese fa, lo scrittore newyorchese ha conquistato immediatamente il numeroso pubblico accorso per l’eccezionale evento organizzato in collaborazione con la libreria PellicanoLibri. «È vero che il Maxxi è più grande — ha infatti esordito — ma ciò non significa che per me sia più importante o memorabile di questo piccolo luogo di incontri».
Colpiscono la calma serafica e la disponibilità di Foer, che sembra lo stesso ragazzo nato da una famiglia ebrea che nel 2001 andava alla ricerca del suo passato per poi trarne il capolavoro d’esordio, Ogni cosa è illuminata. Colpiscono, in particolare, la disponibilità al confronto e la cura con cui sceglie le parole, sempre precedute da qualche secondo di riflessione, prima di rispondere alle domande postegli da Gaetano Vallini, segretario di redazione de «L’Osservatore Romano», e poi a quelle del pubblico.
L’incontro è a tutto campo, dal valore della letteratura all’attualità internazionale. Parla dei suoi romanzi e dice che l’ispirazione non sa bene da dove provenga, «è qualcosa di simile a visioni che arrivano a chi è pronto a riceverle». Di certo la scrittura di Foer è influenzata dai racconti ascoltati dalla nonna e dal padre. «Ognuno di noi — spiega — ha genitori che raccontano storie. Io ne sono stato arricchito. La letteratura non è qualcosa che viene dall’alto; devi essere pronto a creare. Non per forza, ma trovando qualcosa da dire. Nulla di mistico o soprannaturale».
Richiesto di un parere sul ruolo dei poeti, Foer dice di preferire la parola sensibilità a poesia. «Più siamo sensibili — spiega — più il mondo è migliore, più noi siamo migliori. La poesia è il modo per rendere questa sensibilità in parole. La poesia può essere ovunque, anche se una persona potrebbe non leggerla mai».
Rispetto alle nuove tecnologie, in particolare all’intelligenza artificiale, Foer sottolinea che «sta arrivando molto rapidamente e che cambierà tutto, e che sarà un cambiamento molto drammatico. Ci saranno cose che cambieranno in meglio, altre in peggio. La domanda che non ci poniamo abbastanza non è quanto questo è buono, ma quanto è buono per noi. Credo che ci sarà un’intelligenza artificiale che scriverà i romanzi meglio di noi, ma non credo che quel futuro sarà migliore di uno in cui le persone scriveranno per altre persone».
«Pensiamo sempre alle grandi cose — aggiunge Foer — e non ci accorgiamo di quelle importanti. Penso che la tecnologia sia importante, ma arte e letteratura ci fanno emozionare. Sono a Roma da sei mesi e ci sono molte cose che mi hanno impressionato. Io sono ebreo e la prima è la scoperta della vicinanza con il cattolicesimo. È una religione che ci fa sentire il legame tra il grande e il piccolo. In questa città ci sono le più belle opere d’arte, meravigliosi monumenti e palazzi legati alla religione. Ma non è così che, spero, la maggior parte delle persone intende il cattolicesimo o qualsiasi altra religione. È qualcosa di molto più intimo. Quello che Papa Francesco avrebbe chiamato tenerezza». Il compianto Pontefice viene citato più volte. Si capisce che è stato un punto di riferimento per il romanziere, che sottolinea in particolare come l’ultima uscita di Francesco sia stata per andare a visitare i carcerati.
Nessuna retorica spicciola, neanche quando si passa l’attualità, tanto che di Trump preferisce non parlare direttamente: «Sarebbe tempo perso, vorrebbe dire concentrarsi sui suoi modi rozzi, magari facendoci qualche risata, distogliendo però l’attenzione da ciò che potremmo fare per cambiare le cose, e questo probabilmente corrisponde alla sua strategia».
Il romanziere non si sottrae ad alcuna sollecitazione, nemmeno quando arriva l’inevitabile domanda su quanto sta accadendo a Gaza. Premette di sentirsi americano e che non va in Israele da anni. E risponde dicendo di essere d’accordo con lo scrittore israeliano David Grossman secondo il quale «davanti a tanta sofferenza, il fatto che questa crisi sia stata iniziata da Hamas il 7 ottobre è irrilevante». E aggiunge: «Per gli ebrei non c’è valore più importante della sacralità della vita umana. Il Talmud dice che chi salva una vita salva il mondo intero. È un errore sostenere che il Medio Oriente non sia complicato. È un errore pensare di vivere in mondo senza violenza. Ma dobbiamo ricordare che c’è qualcosa che non è complicato: i bambini che muoiono».
I bambini saranno un tema ricorrente durante l’incontro, in particolare quando Foer parla del suo interesse per la natura. «Sono stato anch’io bambino — spiega —, non speciale ma normale. I bambini amano gli animali, gli alberi, nuotare al lago. Quando cresciamo dimentichiamo un po’ di questo amore e cominciamo ad avere comportamenti che dimostrano che non abbiamo più quei valori semplici. Quando è nato il mio primo bambino ho avuto un risveglio, tra meraviglia e senso di responsabilità. Dobbiamo trovare l’ispirazione per il cambiamento, direi che religione e arte non avrebbero alcun valore se non ci ispirassero. Oggi entrando qui ho notato il meraviglioso “Giardino Laudato si’” realizzato dalla vostra comunità. Immagino che sia diventato un luogo di incontro per bambini e anziani, uno spazio didattico e di riflessione sul ruolo fondamentale della cura per l’ambiente. Mi ha ispirato molto».
Il senso di comunità, la capacità di ascolto e l’attenzione verso il prossimo sono elementi fondamentali per Jonathan Safran Foer: «Abito da sei mesi non lontano da Testaccio e continuo a stupirmi nell’osservare i ritmi lenti di giovani, anziani e bambini che si incontrano lì semplicemente per parlare. Nel loro stare insieme non c’è competizione, ma senso di comunità». Non a caso lo scrittore sottolinea più volte di aver apprezzato, durante la permanenza in Italia, la dimensione della “piazza” — lo dice in italiano — come luogo di aggregazione. Un po’ meno la pizza, «che sanno fare meglio negli Stati Uniti», dice. Ma alla fine gli si può perdonare questa provocazione sorniona.