Le parole di Leone XIV la profezia di Ratzinger

Chiamati a essere umani

 Chiamati  a essere umani  QUO-131
07 giugno 2025

di Andrea Tornielli

«Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani». È uno dei passaggi della catechesi proposta da Leone XIV lo scorso mercoledì 28 maggio. Il Papa, riflettendo sulla parabola del Buon Samaritano, spiegava che negli incontri dei quali è intessuta la nostra vita «veniamo fuori per quello che siamo» e davanti alla fragilità e debolezza dell’altro possiamo «prendercene cura o fare finta di niente». Proprio com’era accaduto nel racconto di Gesù: i due ministri religiosi, che avevano il privilegio di poter entrare nello spazio sacro del Tempio di Gerusalemme, non si erano fermati davanti all’uomo ferito dai briganti, adagiato sul ciglio della strada. A provare compassione era stato un samaritano, cioè qualcuno considerato impuro dagli ebrei. È lui a prendersi cura dell’uomo che la tradizione religiosa considerava alla stregua di un “nemico”. Leone XIV nella sua catechesi osservava: «La pratica del culto non porta automaticamente a essere compassionevoli. Infatti, prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità!». Essere credenti e praticanti, essere ministri di Dio, non assicura la compassione, non garantisce che ci lasciamo “ferire” dalla realtà, dagli incontri, dalle situazioni di bisogno in cui ci imbattiamo: prima di essere credenti siamo chiamati a essere umani. Proprio questo essere umani, cioè compassionevoli, diventa occasione per testimoniare il Vangelo.

Lo notava già nel 1959, con profetica lucidità, don Joseph Ratzinger, giovane ordinario di teologia fondamentale all’Università di Bonn, che nel saggio I nuovi pagani e la Chiesa, riflettendo sulle mutate condizioni delle società secolarizzate, parlava in questo modo della testimonianza missionaria: «Il cristiano deve essere piuttosto un uomo gioioso in mezzo agli altri, un prossimo là dove non può essere un fratello cristiano». Dunque qualcuno che si fa “prossimo”, come il buon samaritano. «Penso anche — aggiungeva il futuro Papa — che dovrebbe essere, nelle relazioni con il suo prossimo non credente, proprio e soprattutto uomo, cioè non dare sui nervi con continui tentativi di conversione e prediche […]. Non deve essere un predicatore, ma appunto, in bella apertura e semplicità, un uomo». A Ratzinger era chiaro come nasce e come può sempre di nuovo rinascere la Chiesa: dalla testimonianza di uomini e donne attratti da Cristo e capaci di testimoniarlo con la vita, nella compassione, nell’essere compagni di viaggio di chiunque.

Per contro, il futuro Benedetto XVI era già allora ben cosciente di quanto fosse illusorio pensare di arrestare il declino della cristianità occidentale chiudendosi in un fortino, riducendo la fede a tradizionalismo, a collante identitario di gruppo, a ideologia per sostenere qualche progetto politico. È questa, in fondo, la chiave della missione, la forza dell’annuncio, nel cambiamento d’epoca che attraversiamo: persone chiamate a essere innanzitutto umane, aperte e compassionevoli. Uomini e donne cristiani che non si sentono superiori agli altri perché consapevoli che spesso a darci testimonianza di compassione sono i “lontani”, quelli che consideriamo “impuri”, come il Buon Samaritano del Vangelo.