La valutazione di impatto generazionale in Europa. A colloquio con Luciano Monti della Luiss

Progettare insieme
le politiche che aiutano
i giovani

concept housing a young family. Mother father and child in new house with a roof at a home
05 giugno 2025

di Roberto Paglialonga

In un momento in cui i giovani si allontanano sempre di più dalle scelte della politica e dall’impegno nella società civile, la sfida è quella di provare a invertire la tendenza. Ne è convinto — e non è il solo — Luciano Monti, docente di politiche dell’Unione europea alla Luiss Guido Carli di Roma e coordinatore dell’Osservatorio politiche giovanili della Fondazione Ries, che spiega a «L’Osservatore Romano» la valenza del progetto “Youth check” europeo, ovvero la valutazione di impatto generazionale delle politiche pubbliche lanciata negli ultimi anni in diversi Paesi del Vecchio continente. «Dobbiamo dare ai giovani gli strumenti e le occasioni per investire su se stessi, tornare a scommettere sul proprio futuro e partecipare attivamente ai processi decisionali che hanno ricadute sulla loro vita, evitando il risentimento o la rabbia — così poco proficui — verso decisioni ritenute spesso molto distanti dal contesto reale», dice.

Gli incoraggiamenti non mancano. Si potrebbero scomodare anche le citazioni di due degli ultimi Pontefici: Papa Francesco, che nell’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze nel 2015, per esempio, li invitava a «non guardare dal balcone la vita»; o Papa Leone XIV, che nell’udienza di mercoledì 4 giugno ha esortato i giovani: «Non rimandare, rimboccati le maniche». E se idealmente tutti sono d’accordo, è invece sulla pratica che iniziano le difficoltà.

«Ma qualche iniziativa con riscontri positivi ed effetti concreti sulla cittadinanza c’è», aggiunge Monti. In alcuni Paesi, prima l’Austria e la Germania, poi anche l’Italia, si è avviata la cosiddetta valutazione di impatto generazionale (Vig). «Nasce perché a livello europeo si è preso atto finalmente di tre fattori critici, ai quali rispondere: l’ “inverno demografico”, una tendenza comune nell’Ue, drammatica in Italia» (dove, i dati Istat segnalano che nel 2024 le nuove nascite sono state solo 370.000, mentre erano 821.000 nel 1945; nel rapporto tra generazioni, questo significa, in proiezione, che se nel 1951 ogni 100 giovani c’erano 31 anziani, nel 2050 ogni 100 giovani gli anziani saranno 300). «Poi il cosiddetto brain drain, ovvero il fatto che i giovani sempre più lasciano i loro paesi per spostarsi verso l’estero. Infine l’impatto asimmetrico delle crisi: vuol dire che a pagare maggiormente gli effetti delle crisi — finanziaria, Covid, energetica — sono le fasce più deboli, tra cui i giovani». Il combinato disposto di queste problematiche impedisce loro di avere prospettive che aprano in tempi ragionevoli le porte fondamentali per lo sviluppo individuale e sociale: «Per uscire dalla casa dei genitori; per entrare in un ufficio con un lavoro dignitoso; per varcare la soglia di una struttura sanitaria assumendosi la responsabilità della paternità e della maternità responsabili. Bisogna fare fronte a un divario generazionale che aumenta costantemente», spiega Monti.

Lo “Youth check” viene istituito per rispondere a queste difficoltà, cercando di comprendere e verificare preventivamente come le nuove politiche possano impattare sui giovani, che elettoralmente pesano sempre meno; favorendo l’interscambio che li renda co-protagonisti nella progettazione delle leggi; aiutandoli a mettere a fuoco i loro interessi «in un momento in cui sono venuti meno gli spazi di aggregazione sociale». Un’ispirazione che viene anche dall’Agenda 2030, nella quale sono previsti due target sui giovani — riduzione della percentuale di disoccupati che non studiano o non lavorano (i “Neet”) e lo sviluppo di una strategia globale per l’occupazione giovanile —, e si inserisce anche nell’implementazione del Pnrr e del programma “Next Generation Eu”.

Dopo l’esperienza dei parlamenti di Berlino e Vienna, in Italia nel 2021 l’iniziativa viene avviata non pensando solo alle politiche giovanili, ma anche a quelle «potenzialmente di impatto sui giovani, in una visione olistica», dice ancora il professore, come per esempio le misure su housing, trasporti, mobilità, lavoro. E tutto questo fa dell’Italia un unicum laboratoriale: lo strumento viene recepito prima da singoli comuni, come Parma, non a caso “capitale europea dei giovani 2027”, e pochi giorni fa dall’Associazione nazionale comuni italiani (Anci). «È un fatto rilevante, perché gli enti territoriali sono i primi a dover dare una risposta ai giovani che cercano una casa e un lavoro o hanno bisogno di servizi per muoversi, e sono a questi più vicini. Non è solo una spunta blu da conquistare, quella della “Vig”, ma deve essere un percorso concreto. Tanto è vero che sia nel mondo cattolico — per esempio le Acli — che in quello non cattolico si sta lavorando per adottarla. Un movimento per organizzare i territori affinché i giovani possano sedersi al tavolo con le amministrazioni locali per concordare insieme le programmazioni degli anni futuri. La vedo come una sorta di call for action che coinvolga enti, associazioni, network sociali e giovani nella fascia 14-35 anni, cui lo “Youth check” è rivolto. Se sono numericamente sempre meno, per farli “contare” vanno fatti compartecipare, ma a loro volta con tutti gli strumenti conoscitivi a disposizione sono chiamati a essere protagonisti», conclude Monti. In un’ottica di responsabilità pienamente condivisa.