
Giovedì 29
Rilanciare |
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Vi saluto con le prime parole pronunciate da Gesù risorto: «Pace a voi!»... Accogliendo la pace del Signore e accettando la sua chiamata, che include l’apertura ai doni dello Spirito Santo, tutti i seguaci di Gesù possono immergersi nella radicale novità della fede e della vita cristiana. Tale desiderio di rinnovamento caratterizza il movimento anabattista stesso. |
Il motto scelto per la celebrazione, “Il coraggio di amare”, ricorda la necessità per cattolici e mennoniti di compiere ogni sforzo per vivere il comandamento dell’amore, la chiamata all’unità cristiana e il mandato di servire il prossimo.
Sottolinea la necessità di onestà e gentilezza nel riflettere sulla nostra storia comune, che include ferite dolorose e narrazioni che ancora oggi influenzano le relazioni e le percezioni tra cattolici e mennoniti. Quanto è importante quella purificazione dei ricordi e quella rilettura comune della storia che possono permetterci di curare le ferite del passato e costruire un nuovo futuro attraverso il “coraggio di amare”.
Solo così il dialogo teologico e pastorale può recare frutto, un frutto duraturo.
Non è un compito facile, anche se in particolari momenti di prova Cristo ha rivelato la volontà del Padre: è stato quando, sfidato dai farisei, ha insegnato che i due comandamenti più grandi sono amare Dio e il prossimo; è stato alla vigilia della sua Passione, quando ha parlato di unità.
Nel mondo dilaniato dalla guerra, il nostro continuo cammino di guarigione e di rafforzamento della fraternità svolge un ruolo fondamentale, perché più i cristiani saranno uniti, più efficace sarà la nostra testimonianza a Cristo, Principe della Pace, nella costruzione di una civiltà di incontro dell’amore.
(Messaggio ai partecipanti alla commemorazione a Zurigo dei 500 anni del movimento anabattista)
Venerdì 30
Testimoniare |
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Non possiamo dimenticare l’abbraccio coraggioso [a Verona] fra l’israeliano Maoz Inon, al quale sono stati uccisi i genitori da Hamas, e il palestinese Aziz Sarah, al quale l’esercito israeliano ha ucciso il fratello, e che ora sono amici e collaboratori: quel gesto rimane come testimonianza e segno di speranza, e li ringraziamo di aver voluto essere presenti anche oggi. |
Il cammino verso la pace richiede cuori e menti allenati e formati all’attenzione verso l’altro e capaci di riconoscere il bene comune nel contesto odierno.
La strada che porta alla pace è comunitaria, passa per la cura di relazioni di giustizia tra tutti gli esseri viventi.
In un’epoca segnata da velocità e immediatezza, dobbiamo ritrovare quei tempi lunghi necessari perché questi processi possano avere luogo.
La pace autentica è quella che prende forma a partire dalla realtà (territori, comunità, istituzioni locali) e in ascolto di essa.
Diversità |
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Per questo ci rendiamo conto che questa pace è possibile quando le differenze e la conflittualità che comportano non vengono rimosse, ma riconosciute, assunte e attraversate. |
È prezioso il vostro impegno di movimenti e associazioni popolari, che concretamente e “dal basso”, in dialogo con tutti e con la creatività e genialità che nascono dalla cultura della pace, state portando avanti progetti al servizio concreto delle persone e del bene comune. Voi generate speranza.
C’è troppa violenza nel mondo, nelle società: di fronte alle guerre, al terrorismo, alla tratta di esseri umani, all’aggressività diffusa, i ragazzi e i giovani hanno bisogno di esperienze che educano alla cultura della vita, del dialogo, del rispetto reciproco. Hanno bisogno di testimoni di uno stile di vita diverso, nonviolento: dal livello locale e quotidiano fino a quello mondiale.
Quando coloro che hanno subito ingiustizia sanno resistere alla tentazione della vendetta, diventano i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Vi incoraggio all’impegno e a essere presenti dentro la pasta della storia come lievito di unità, di comunione, di fraternità. La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata, nella speranza che essa è possibile grazie all’amore di Dio.
(Discorso a Movimenti popolari per la pace)
Sabato 31
Credibili |
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La profondità, l’ampiezza e persino la durata della gioia divina è direttamente proporzionale ai legami che esistono e cresceranno tra voi ordinandi e il popolo da cui provenite, di cui rimanete parte e a cui siete inviati. |
Siamo popolo di Dio. Il Concilio Vaticano II ha reso più viva questa consapevolezza, quasi anticipando un tempo in cui le appartenenze si sarebbero fatte più deboli e il senso di Dio più rarefatto. Siete testimonianza del fatto che Dio non si è stancato di radunare i suoi figli, pur diversi, e costituirli in una dinamica unità.
Non si tratta di un’azione impetuosa, ma di quella brezza leggera che ridiede speranza al profeta Elia nell’ora dello scoraggiamento: non è rumorosa la gioia di Dio, ma realmente cambia la storia e ci avvicina gli uni agli altri. Ne è icona il mistero della Visitazione, che la Chiesa contempla nell’ultimo giorno di maggio.
Dall’incontro fra Maria e la cugina Elisabetta vediamo scaturire il Magnificat, il canto di un popolo visitato dalla grazia.
Gesù nel Vangelo non ci appare schiacciato dalla morte imminente, né dalla delusione per i legami infranti o rimasti incompiuti. Lo Spirito, al contrario, intensifica quei legami minacciati.
Nella preghiera essi diventano più forti della morte. Invece di pensare al proprio personale destino, Gesù mette nelle mani del Padre i legami che ha costruito quaggiù. Noi ne siamo parte! Il Vangelo è arrivato a noi attraverso legami che il mondo può logorare, ma non distruggere.
Cari ordinandi, concepite voi stessi al modo di Gesù! Essere di Dio — servi di Dio, popolo di Dio — ci lega alla terra: non a un mondo ideale, ma a quello reale.
Come Gesù, sono persone in carne e ossa quelle che il Padre mette sul vostro cammino. A loro consacrate voi stessi, senza separarvene, senza isolarvi, senza fare del dono ricevuto una sorta di privilegio. Papa Francesco ci ha messo tante volte in guardia da questo, perché l’autoreferenzialità spegne il fuoco dello spirito missionario.
La Chiesa è costitutivamente estroversa, come estroverse sono la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù.
Dio nessuno l’ha mai visto. Si è rivolto a noi, è uscito da sé. Il Figlio ne è diventato l’esegesi, il racconto vivo. E ci ha dato il potere di diventare figli di Dio. Non cercate, non cerchiamo altro potere!
Il gesto dell’imposizione delle mani, con cui Gesù accoglieva i bambini e guariva i malati, rinnovi in voi la potenza liberatrice del suo ministero messianico. Negli Atti degli Apostoli quel gesto che tra poco ripeteremo è trasmissione dello Spirito creatore.
Nel suo saluto agli anziani della comunità di Efeso, di cui abbiamo ascoltato qualche frammento nella prima Lettura, Paolo trasmette loro il segreto di ogni missione: «Lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi». Non padroni, ma custodi.
La missione è di Gesù. Egli è Risorto, dunque è vivo e ci precede. Nessuno di noi è chiamato a sostituirlo. Il giorno dell’Ascensione ci educa alla sua presenza invisibile. Egli si fida di noi, ci fa spazio.
Anche noi Vescovi, coinvolgendovi nella missione oggi vi facciamo spazio. E voi fate spazio ai fedeli e ad ogni creatura, cui il Risorto è vicino e in cui ama visitarci e stupirci. Il popolo di Dio è più numeroso di quello che vediamo. Non definiamone i confini.
È necessario |
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Di san Paolo vorrei sottolineare una seconda parola. Essa precede le altre. Egli può dire: «Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo». Teniamo nel cuore e nella mente questa espressione! «Voi sapete come mi sono comportato»: la trasparenza della vita. |
Vite conosciute, vite leggibili, vite credibili! Stiamo dentro il popolo di Dio, per potergli stare davanti, con una testimonianza credibile. Insieme, allora, ricostruiremo la credibilità di una Chiesa ferita, inviata a un’umanità ferita, dentro una creazione ferita. Non siamo ancora perfetti, ma è necessario essere credibili.
Gesù Risorto ci mostra le sue ferite e, nonostante siano segno del rifiuto da parte dell’umanità, ci perdona e ci invia. Non dimentichiamolo! Egli soffia anche oggi su di noi e ci rende ministri di speranza.
«Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana»: tutto ciò che ai nostri occhi si presenta infranto e perduto ci appare ora nel segno della riconciliazione.
«L’amore del Cristo infatti ci possiede»! È un possesso che libera e che ci abilita a non possedere nessuno. Liberare, non possedere. Siamo di Dio: non c’è ricchezza più grande da apprezzare e da partecipare.
(Omelia della messa con ordinazioni presbiterali per la diocesi di Roma)
Tre modelli |
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Sono lieto di potermi rivolgere per la prima volta a voi, pastori della Chiesa in Francia e a tutti i vostri fedeli mentre si commemora il 100° anniversario della canonizzazione di tre santi che il vostro Paese ha donato alla Chiesa universale: Giovanni Eudes (1601-1680), Giovanni Maria Vianney (1786-1859) e Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (1873-1897). |
Hanno amato senza riserve Gesù in modo semplice, forte e autentico; hanno sperimentato la sua bontà e la sua tenerezza in una particolare vicinanza quotidiana, e l’hanno testimoniato in un ammirevole slancio missionario.
Papa Francesco ci ha lasciato, un po’ come un testamento, una bella enciclica sul Sacro Cuore... Non potrebbe esserci programma di evangelizzazione e di missione più bello e più semplice per il vostro Paese: far scoprire a ognuno l’amore di tenerezza e di predilezione che Gesù nutre per lui, al punto di trasformarne la vita.
I nostri tre santi sono davvero dei maestri. San Giovanni Eudes non è forse stato il primo ad aver celebrato il culto liturgico dei Cuori di Gesù e di Maria?
San Giovanni Maria Vianney non è stato forse un parroco appassionatamente dedito al suo ministero che affermava: “Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”?
Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo non è forse il grande Dottore in scientia amoris di cui il nostro mondo ha bisogno, lei che “respirava” il nome di Gesù in ogni istante della sua vita, con spontaneità e freschezza, e che insegnò ai più piccoli una via “tutta facile” per accedervi?
Celebrare il centenario della canonizzazione di questi tre santi è anzitutto un invito a rendere grazie al Signore per le meraviglie che ha compiuto in questa terra di Francia durante i lunghi secoli di evangelizzazione e di vita cristiana. I santi non appaiono spontaneamente, ma sorgono in comunità cristiane vive che hanno saputo trasmettere la fede, accendere nel cuore l’amore di Gesù e il desiderio di seguirlo.
Questa eredità cristiana vi appartiene ancora, impregna ancora profondamente la vostra cultura e resta viva in molti cuori.
Per questo formulo l’auspicio che queste celebrazioni risveglino la speranza e suscitino un nuovo slancio missionario.
Santa Teresa non sarà forse la Patrona delle missioni nelle terre stesse che l’hanno vista nascere? San Giovanni Maria Vianney e san Giovanni Eudes non sapranno forse parlare alla coscienza di tanti giovani della bontà, della grandezza e della fecondità del sacerdozio, suscitando in loro il desiderio entusiasta, e dando loro il coraggio di rispondere generosamente alla chiamata, proprio mentre la mancanza di vocazioni si fa dolorosamente sentire nelle vostre diocesi e i sacerdoti sono sempre più messi duramente alla prova?
Colgo l’occasione per ringraziare dal profondo del cuore tutti i sacerdoti di Francia per il loro impegno coraggioso e perseverante. Invoco l’intercessione di san Giovanni Eudes, di san Giovanni Maria Vianney e di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, per il Paese e il Popolo di Dio che vi peregrina con coraggio, sotto i venti contrari e talvolta ostili dell’indifferentismo, del materialismo e dell’individualismo.
(Messaggio alla Conferenza dei vescovi di Francia)
Insieme |
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Con gioia mi unisco a voi in questa Veglia di preghiera a conclusione del Mese di Maggio. È un gesto di fede con cui ci riuniamo sotto il manto materno di Maria. |
Quest’anno esso richiama alcuni aspetti importanti del Giubileo: la lode, il cammino, la speranza e, soprattutto, la fede meditata e manifestata coralmente.
Meditando i Misteri gaudiosi siete entrati e avete sostato, come in pellegrinaggio, in tanti luoghi della vita di Gesù: nella casa di Nazaret contemplando l’Annunciazione, in quella di Zaccaria contemplando la Visitazione, nella grotta di Betlemme contemplando il Natale, nel Tempio di Gerusalemme contemplando la presentazione e poi il ritrovamento di Gesù.
I vostri passi, così, sono stati scanditi dalla Parola di Dio, che ne ha segnato, con il suo ritmo, il procedere, le soste e le partenze, proprio come per il popolo d’Israele nel deserto, in viaggio verso la Terra promessa.
Guardiamo, allora, alla nostra esistenza come a un cammino alla sequela di Gesù, da percorrere, come abbiamo fatto stasera, insieme a Maria.
(Conclusione del mese di maggio)
Lunedì 2
Farsi |
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Sono lieto che, all’indomani della celebrazione del Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani, un gruppo di esperti si sia riunito presso il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita a riflettere sul tema: Evangelizzare con le famiglie di oggi e di domani. Sfide ecclesiologiche e pastorali. |
Tale tema ben esprime la preoccupazione materna della Chiesa per le famiglie cristiane presenti in tutto il mondo: primo nucleo ecclesiale a cui il Signore affida la trasmissione della fede e del Vangelo, specialmente alle nuove generazioni.
La domanda profonda d’infinito scritta nel cuore di ogni uomo conferisce ai padri e alle madri il compito di rendere i propri figli consapevoli della Paternità di Dio.
Una crescente |
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Il nostro è un tempo caratterizzato da una crescente ricerca di spiritualità, riscontrabile nei giovani, desiderosi di relazioni autentiche e di maestri di vita. Proprio per questo è importante che la comunità cristiana sappia gettare lo sguardo lontano, facendosi custode, davanti alle sfide del mondo, dell’anelito di fede che alberga nel cuore di ognuno. |
È urgente rivolgere un’attenzione a quelle famiglie che sono spiritualmente più lontane: a quelle che non si sentono coinvolte, che si dicono non interessate, oppure che si sentono escluse dai percorsi comuni, ma vorrebbero essere in qualche modo parte di una comunità.
Quante persone, oggi, ignorano l’invito all’incontro con Dio! Purtroppo una sempre più diffusa “privatizzazione” della fede impedisce spesso a questi fratelli e sorelle di conoscere la ricchezza e i doni della Chiesa, luogo di grazia, di fraternità e d’amore!
Così, mentre cercano sinceramente dei punti di appoggio per salire i sentieri belli della vita e della gioia piena, molti finiscono coll’affidarsi a falsi appigli che, non reggendo il peso delle loro istanze più profonde, li lasciano scivolare di nuovo verso il basso, allontanandoli da Dio.
Tra loro ci sono papà e mamme, bambini, giovani e adolescenti, a volte alienati da modelli di vita illusori, dove non c’è spazio per la fede.
Ciò che muove la Chiesa nel suo sforzo pastorale e missionario, è il desiderio di andare a “pescare” questa umanità, per salvarla dalle acque del male e della morte attraverso l’incontro con Cristo.
Forse molti giovani, che ai nostri giorni scelgono la convivenza invece del Matrimonio cristiano, in realtà hanno bisogno di qualcuno che mostri loro cos’è il dono della grazia sacramentale e quale forza ne deriva; che li aiuti a comprendere la bellezza e la grandezza della vocazione all’amore e al servizio della vita che Dio dona agli sposi.
Tanti genitori, nell’educazione alla fede dei figli, necessitano di comunità che li sostengano nel creare le condizioni affinché questi possano incontrare Gesù.
La fede è anzitutto risposta a uno sguardo d’amore, e il più grande errore che possiamo fare come cristiani è pretendere di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio e non nel dono della sua persona.
Quante volte, in un passato forse non molto lontano, ci siamo dimenticati di questa verità e abbiamo presentato la vita cristiana principalmente come un insieme di precetti da rispettare, sostituendo all’esperienza meravigliosa dell’incontro con Gesù, Dio che si dona a noi, una religione moralistica, poco attraente e irrealizzabile nella concretezza del quotidiano.
In questo contesto tocca prima di tutto ai Vescovi gettare la rete in mare facendosi “pescatori di famiglie”.
Anche i laici, però, sono chiamati a lasciarsi coinvolgere in tale missione, divenendo, accanto ai Ministri ordinati, “pescatori” di coppie, di giovani, di bambini, di donne e uomini.
Vi chiedo di unirvi agli sforzi con cui tutta la Chiesa va in cerca di queste famiglie che, da sole, non si avvicinano più; per capire come camminare con loro e come aiutarle a incontrare la fede.
Non lasciatevi scoraggiare dalle situazioni difficili che vi troverete dinanzi.
Per questo c’è bisogno di promuovere l’incontro con la tenerezza di Dio, che valorizza e ama la storia di ciascuno.
Non si tratta di dare, a domande impegnative, risposte affrettate, quanto piuttosto di farsi vicini alle persone, di ascoltarle, cercando di comprendere con loro come affrontare le difficoltà.
Ma, in mezzo a tanti cambiamenti, Gesù rimane lo stesso ieri e oggi e per sempre. Se vogliamo aiutare le famiglie a vivere cammini gioiosi di comunione e ad essere semi di fede le une per le altre, è necessario che coltiviamo e rinnoviamo la nostra identità di credenti.
(Messaggio ai partecipanti al seminario “Evangelizzare con le famiglie” )
Un apostolo della speranza |
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Ci siamo radunati oggi nella Cappella Sistina per commemorare, nell’Anno Giubilare dedicato alla speranza, un apostolo della speranza: il Beato Cardinale Iuliu Hossu, Vescovo greco-cattolico di Cluj-Gherla, pastore e martire della fede durante la persecuzione comunista in Romania. Oggi, in un certo senso, egli entra in questa Cappella, dopo che San Paolo VI, il 28 aprile 1969, lo creò Cardinale in pectore, mentre era in prigione per essere rimasto fedele alla Chiesa di Roma. |
Quello in corso è un anno speciale dedicato al Cardinale Hossu, simbolo di fratellanza al di là di ogni confine etnico o religioso. Il suo processo di riconoscimento quale “Giusto tra le Nazioni”, avviato nel 2022, si basa sul suo impegno coraggioso di sostenere e salvare gli ebrei della Transilvania del Nord tra il 1940 e il 1944.
La speranza del grande Pastore è stata quella dell’uomo fedele, il quale sa che le porte del male non prevarranno contro l’opera di Dio.
La sua vita è stata una testimonianza di fede vissuta fino in fondo, nella preghiera e nella dedizione al prossimo. Fu un uomo di dialogo e un profeta di speranza, e Papa Francesco lo ha beatificato il 2 giugno 2019 a Blaj.
Il messaggio del Cardinale Hossu è quanto mai attuale. Ciò che egli ha fatto per gli ebrei della Romania, nonostante ogni rischio e pericolo, lo mostrano come modello di uomo libero, coraggioso e generoso fino al sacrificio supremo. Ecco perché il suo motto “La nostra fede è la nostra vita” dovrebbe diventare il motto di ciascuno di noi.
(Discorso alla commemorazione del beato cardinale romeno Iuliu Hossu in Cappella Sistina)
Mercoledì 4
La Parabola |
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Desidero fermarmi ancora su una parabola di Gesù. Si tratta di un racconto che nutre la nostra speranza. A volte infatti abbiamo l’impressione di non riuscire a trovare un senso per la nostra vita: ci sentiamo inutili, inadeguati, proprio come degli operai che aspettano sulla piazza del mercato, in attesa che qualcuno li prenda a lavorare. |
La metafora della piazza del mercato è molto adatta anche per i nostri tempi, perché il mercato è il luogo degli affari, dove purtroppo si compra e si vende anche l’affetto e la dignità, cercando di guadagnarci qualcosa.
Quando non ci si sente apprezzati, riconosciuti, si rischia persino di svendersi al primo offerente. Il Signore ci ricorda invece che la nostra vita vale, e il suo desiderio è di aiutarci a scoprirlo.
Nella parabola ci sono degli operai in attesa di qualcuno che li prenda a giornata. Troviamo un personaggio che ha un comportamento insolito, che stupisce e interroga. È il padrone di una vigna, il quale esce di persona per andare a cercare i suoi operai. Vuole stabilire con loro un rapporto personale.
Si tratta di una parabola che dà speranza, perché dice che questo padrone esce più volte per andare a cercare chi aspetta di dare un senso alla sua vita.
Il padrone esce all’alba e poi, ogni tre ore, torna a cercare operai da mandare nella sua vigna.
Seguendo questa scansione, dopo essere uscito alle tre del pomeriggio, non ci sarebbe più ragione di uscire ancora, perché la giornata lavorativa terminava alle sei.
Questo padrone instancabile, che vuole a tutti i costi dare valore alla vita di ciascuno di noi, esce invece anche alle cinque.
Gli operai che erano rimasti sulla piazza del mercato avevano probabilmente perso ogni speranza. Quella giornata era andata a vuoto. E invece qualcuno ha creduto ancora in loro.
Che senso ha prendere degli operai solo per l’ultima ora della giornata di lavoro? Che senso ha andare a lavorare solo per un’ora? Eppure, anche quando ci sembra di poter fare poco nella vita, ne vale sempre la pena.
Dio ama |
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C’è sempre la possibilità di trovare un senso, perché Dio ama la nostra vita. L’originalità di questo padrone si vede anche alla fine della giornata, al momento della paga. |
Con i primi operai, quelli che vanno nella vigna all’alba, il padrone si era accordato per un denaro, che era il costo tipico di una giornata di lavoro.
Agli altri dice che darà loro quello che è giusto. Ed è proprio qui che la parabola torna a provocarci: che cosa è giusto? Per il padrone della vigna, cioè per Dio, è giusto che ognuno abbia ciò che è necessario per vivere.
Lui ha chiamato i lavoratori personalmente, conosce la loro dignità e in base ad essa vuole pagarli. E dà a tutti un denaro.
Il racconto dice che gli operai della prima ora rimangono delusi: non riescono a vedere la bellezza del gesto del padrone, che non è stato ingiusto, ma semplicemente generoso, non ha guardato solo al merito, ma anche al bisogno.
Dio vuole dare a tutti il suo Regno, cioè la vita piena, eterna e felice. E così fa Gesù con noi: non fa graduatorie, a chi gli apre il cuore dona tutto Sé stesso.
Alla luce di questa parabola, il cristiano di oggi potrebbe essere preso dalla tentazione di pensare: “Perché cominciare a lavorare subito? Se la remunerazione è la stessa, perché lavorare di più?”. A questi dubbi Sant’Agostino rispondeva così: «Perché dunque ritardi a seguire chi ti chiama, mentre sei sicuro del compenso ma incerto del giorno? Bada di non togliere a te stesso, a causa del tuo differire, ciò ch’egli ti darà in base alla sua promessa».
Rispondere |
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Vorrei dire, specialmente ai giovani, di non aspettare, ma di rispondere con entusiasmo al Signore che ci chiama a lavorare nella sua vigna. Non rimandare, rimboccati le maniche, perché il Signore è generoso e non sarai deluso! Lavorando nella sua vigna, troverai una risposta a quella domanda profonda che porti dentro di te: che senso ha la mia vita? |
Non scoraggiamoci! Anche nei momenti bui della vita, quando il tempo passa senza darci le risposte che cerchiamo, chiediamo al Signore che esca ancora e che ci raggiunga là dove lo stiamo aspettando. Il Signore è generoso e verrà presto!
(Catechesi all’udienza generale )