«In noi chi crede

di Sergio Valzania
Nel suo Gotteskindschaft. Infanzia di Dio, il teologo e pedagogista tedesco Johannes Hessen scrive: «Dovrebbe dunque essere ben chiaro che sempre e comunque in noi chi crede è il bambino. Come il vedere è una funzione della vista, così il credere è una funzione del senso infantile. La capacità di credere è proporzionale alla dimensione infantile che conserviamo».
Questa riflessione produce un capovolgimento di prospettiva sulla considerazione che abitualmente abbiamo dell’infanzia, dei suoi meriti e delle ragioni per le quali essa viene proposta a modello per tutti da Gesù in Matteo 18, 3: «Se non tornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli». In vista della salvezza, il Cristo non propone solo l’innocenza dei bambini e la loro visione incantata del mondo; nell’individuazione dei caratteri infantili va ben più a fondo. Chi frequenta o ha frequentato giovanissimi sa della loro capacità di fare affidamento sugli adulti, di concedere fiducia e di aspettarsi che essa venga da loro soddisfatta.
Si tratta di un’attitudine che scompare con il termine della fanciullezza, per fare posto a un atteggiamento guardingo nei confronti della società, a una ricerca continua di meccaniche di scambio e di modalità assicurative e controassicurative.
Un approccio di quel genere non può stare alla base del rapporto delle donne e degli uomini con Dio. Per garantire la libertà della creazione esso non può che essere fiduciario. L’amore non si impone, si richiede che sia ricambiato: sono i dittatori che pretendono da quanti si trovano sotto il loro controllo un atteggiamento di deferenza mascherata da affetto.
Dio ha scelto di instaurare con noi un rapporto paritario, fondato sull’amore che Lui per primo ci rivolge. In questo contesto, l’abbandono fiducioso dei bambini è un modello esemplare, la dimostrazione che tutti noi siamo capaci di affidarci totalmente e, almeno per un periodo significativo della nostra vita, lo abbiamo già fatto.