Insediamento sulla Cathedra Romana del Vescovo di Roma

Una giornata romana

 Una giornata romana   QUO-121
26 maggio 2025

di Salvatore Cernuzio

«Esprimo il desiderio e l’impegno di entrare in questo cantiere così vasto mettendomi, per quanto mi sarà possibile, in ascolto di tutti, per apprendere, comprendere e decidere insieme». Leone XIV ha parlato dallo scranno più alto della basilica Mater omnium Ecclesiarum, madre di tutte le chiese della città e del mondo: San Giovanni in Laterano. È il luogo della Cathedra Romana, il seggio dove ogni Pontefice si siede per prendere possesso della Chiesa che è in Roma. Chiesa dalla grande storia, Chiesa radicata nella testimonianza di Pietro, di Paolo e di innumerevoli martiri. Nel pomeriggio di ieri, il 267° Pontefice della Chiesa universale ha iniziato ufficialmente il ministero episcopale come pastore del popolo romano, in continuità con l’antica tradizione apostolica.

Un sole caldo ha accompagnato la giornata; un sole che si rifletteva sul sagrato della basilica Lateranense, dove Leone XIV è arrivato poco prima delle 17, in anticipo sull’orario previsto. Tantissime persone, assiepate da ore dietro le transenne, hanno salutato con gioia l’arrivo nel mini-van scuro con a bordo il Pontefice che, accolto dal sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, si è fermato per qualche istante a ricambiare l’affetto dei fedeli, sorridendo e salutandoli con la mano.

Poco dopo, ha varcato la Porta Santa della basilica di San Giovanni. Ad attenderlo c’era il cardinale vicario Baldassare Reina, che insieme al Consiglio episcopale diocesano e quello dei parroci prefetti, ha concelebrato con il Papa la Messa di insediamento. Tra i concelebranti anche una cinquantina di cardinali — tra cui il decano del collegio Giovanni Battista Re — e vescovi — tra i quali anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali —, insieme con trecento parroci romani.

La liturgia è stata preceduta dalla recita dei misteri del rosario e dai canti della Schola Cantorum e del coro della diocesi di Roma, diretto da monsignor Marco Frisina, ai quali si è unito, durante la celebrazione, il Coro della Cappella Sistina, diretto da monsignor Marcos Pavan.

L’atmosfera è stata solenne per questo secondo — dopo la messa di inizio pontificato, il 18 maggio — fondamentale evento per il ministero del nuovo Pontefice. Il suo ingresso è avvenuto in processione, tra il profumo dell’incenso, i saluti dei fedeli, gli scatti rubati dagli smartphone, il cartello di una suora del Perú, terra in cui Papa Prevost era stato vescovo missionario.

Ai riti iniziali sono seguite le parole del cardinale vicario: «Come il vignaiolo che sorveglia dall’alto la vigna, così il vescovo è posto in posizione elevata per prestare sollecita attenzione al popolo che gli è affidato. Occupare la cattedra pastorale significa provvedere con amore al gregge di Cristo», ha scandito Reina, «l’onore del pastore è l’onore di tutta la chiesa». «Colui che è servo dei servi di Dio sarà davvero onorato quando a ciascuno sarà riconosciuto l’onore che gli aspetta», ha detto ancora il porporato.

Subito dopo, un applauso fragoroso e prolungato si è elevato dalle navate quando Leone XIV, indossata la mitra e con in mano il pastorale, si è seduto sulla sua cattedra. Sul viso, l’espressione era quella che il mondo sta iniziando a conoscere come caratteristica di quest’uomo chiamato dall’8 maggio a guidare la barca di Pietro: sorridente, serena, con un accenno di commozione negli occhi protetti dagli occhiali da vista. Con una mano sul petto, il Papa ha fatto con il capo cenni di ringraziamento.

Il cardinale vicario è stato il primo a compiere l’atto di obbedienza e filiale devozione, seguito da una rappresentanza della diocesi di Roma, guidata dal vescovo vicegerente Renato Tarantelli. Con il presule erano il canonico e camerlengo della basilica lateranense, monsignor Giovanni Falbo; il parroco di San Cipriano a Torrevecchia, don Mario Sanfilippo, e poi ancora un vicario parrocchiale, un diacono, un religioso e una religiosa, un’educatrice e un catechista, due giovani e una famiglia con una bambina, che il Papa ha salutato con affetto, chinandosi in avanti.

La liturgia della Parola è stata scandita dalla prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (15, 1-2. 22-29), dal Salmo 66 «Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti», e dalla seconda Lettura, tratta dal Libero dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (21, 10-14. 22-23). Il Vangelo proclamato è stato quello di Giovanni (14, 23-29). Il Pontefice ha quindi pronunciato l’omelia, salutata dai presenti con un applauso.

Durante la preghiera dei fedeli, sono state elevate particolari intenzioni per «la Santa Chiesa di Dio»; per Papa Leone, affinché «lo Spirito di sapienza lo guidi nel suo ministero di vescovo di Roma e di pastore della Chiesa universale»; per i responsabili civili ed economici, perché «lo Spirito di consiglio li illumini nella ricerca sincera della pace e del vero bene di ogni uomo»; per i sofferenti e per quanti hanno partecipato alla celebrazione.

Al momento della preghiera eucaristica, sono saliti all’altare i cardinali Reina, Re e Arinze e il vicegerente.

Al termine della messa, il Pontefice si è affacciato dalla Loggia centrale della basilica, impreziosita con il drappo raffigurante i simboli della tiara e delle chiavi, e ha rivolto un saluto di pace ai tanti fedeli radunati sulla piazza antistante che avevano seguito la celebrazione attraverso i maxi-schermi. Le parole di Leone XIV sono state accompagnate da applausi e da esclamazioni di «Evviva il Papa!».

Prima della messa a San Giovanni, alle 16, il Pontefice si era fermato ai piedi della scalinata del Campidoglio per ricevere dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, l’omaggio della città. Numerosi i presenti, tra rappresentanti delle istituzioni, dell’amministrazione, delle forze dell’ordine e semplici fedeli. Il Pontefice nordamericano, missionario in Perú, dalle radici familiari francesi, spagnole e italiane, ieri ha assunto anche idealmente una nuova “identità”, quella di cittadino dell’Urbe. Giunto in piazza dell’Aracoeli, il Papa, con la mozzetta e la stola, ha raggiunto a piedi il leggio in plexiglass posizionato sopra un tappeto rosso con lo stemma cittadino. Al suo fianco, il sostituto.

Una tradizione antica la breve sosta ai piedi della «casa dell’amministrazione civica e democratica della città», che è la conferma — come sottolineato dal sindaco nel suo saluto — «dell’affetto» che il Pontefice nutre per la Città Eterna. Affetto «del quale le siamo profondamente grati e che ricambiamo con tutta la generosità di cui — lo ha potuto vedere in questi giorni — è capace la nostra città».

Ultima tappa dell’intensa domenica di Leone XIV è stata la basilica di Santa Maria Maggiore: il Pontefice non poteva che concludere la giornata di ieri, intensa e intrisa della storia, delle tradizioni, dell’attualità della Città Eterna, ai piedi di Colei che da secoli veglia sugli abitanti dell’Urbe: la Salus Populi Romani, custodita nella Cappella Paolina della basilica Liberiana.

Sul colle Esquilino il Papa è giunto alle 19.15 per un momento di preghiera profonda e personale, seppur accompagnata anche qui da un’ampia presenza di fedeli. Ancora più numerosa la folla di persone nella piazza antistante, molte delle quali in fila dal pomeriggio per far visita alla tomba di Papa Francesco, che in questo scrigno mariano di storia e arte ha voluto essere sepolto. Lo stesso Leone XIV si è fermato in preghiera davanti al sepolcro in marmo bianco del suo diretto predecessore. Lo aveva già fatto il sabato successivo alla sua elezione, di ritorno dal Santuario della Madre del Buon Consiglio di Genazzano. Ieri pomeriggio ha ripetuto il gesto: alcuni istanti, in silenzio, in piedi, con un segno della croce conclusivo.

A Santa Maria Maggiore Leone XIV è arrivato sulla giardinetta bianca scoperta, sorridendo ai fedeli riuniti dietro le transenne lungo le strade del circondario. Ad attenderlo e accoglierlo sul sagrato — da dove per due volte si è girato per salutare la folla — c’erano i cardinali Stanisław Ryłko e Rolandas Makrickas, rispettivamente arciprete e arciprete coadiutore della basilica. Entrambi hanno accompagnato il Pontefice nel suo ingresso dalla Porta Santa, preceduto da un inchino e seguito dal bacio a un crocifisso presentato da un sacerdote. Il Papa ha percorso poi la navata centrale, tra due ali di fedeli che ha asperso con l’acqua benedetta. Subito si è diretto dalla Salus Populi Romani. In ginocchio si è fermato — prima a capo chino e poi con lo sguardo rivolto verso l’alto — a pregare dinanzi alla effigie mariana che la tradizione vuole dipinta da San Luca. Una immagine tanto cara a Papa Bergoglio che per oltre 110 volte le ha reso omaggio prima e dopo ogni viaggio apostolico o ricovero ospedaliero. Tutto intorno regnava un assoluto silenzio.

Leone XIV ha affidato, quindi, alla Madre l’inizio del suo ministero come Vescovo di Roma. A Lei ha consegnato un mazzo di rose bianche e gialle. Poi ha recitato una preghiera alla Vergine, «la migliore offerta che l’umanità possa presentare a Dio». Alla Madonna il Successore di Pietro ha chiesto di condurre «la barca della Chiesa verso un porto di pace, evitando i pericoli» e di custodire la città, confortando «chi vi arriva, senza tetto né difesa».

«Guarda alla moltitudine di credenti, o Madre del Salvatore», ha pregato ancora il Papa; «allontanali da sventura e afflizione, liberali dal male e dal maligno, circondali con l’abbondanza della tua benevolenza. E quando tornerà il tuo Figlio, nostro Dio, difendi con la tua intercessione materna la nostra umana fragilità e con la tua dolce mano accompagnaci sino alla vita eterna».

Infine il Pontefice ha benedetto, dal centro della basilica, tutti i presenti e con loro ha intonato la preghiera dell’Ave Maria in latino. Un’altra Ave Maria l’ha recitata dalla Loggia centrale della basilica da cui si è affacciato prima di congedarsi, rivolgendo un saluto a braccio, di spontaneità e gratitudine, alla folla di fedeli che lo ha accolto con un’ovazione.