Gli arresti e il boicottaggio dell’opposizione pesano

di Valerio Palombaro
Un clima di “calma tesa” accompagna il Venezuela verso le elezioni legislative e amministrative di domenica 25 maggio. Le frontiere sono state chiuse e oltre 400.000 agenti sono dispiegati a presidiare il voto che, senza aspettative di cambiamento, si caratterizza per il boicottaggio dell’opposizione che non riconosce l’esito delle presidenziali del luglio 2024 a seguito delle quali il leader venezuelano, Nicolás Maduro, ha giurato per un terzo mandato di sei anni.
Solo nell’ultima settimana sono già oltre 70 gli arresti di dirigenti politici dell’opposizione, visitatori stranieri, difensori e attivisti per i diritti umani, giornalisti e cittadini comuni. Tra questi, ieri, anche Juan Pablo Guanipa, il numero due dell’opposizione vicino alla leader María Corina Machado, accusato dal ministero dell’Interno di Caracas di guidare una «rete di terrorismo e cospirazione destinata a sovvertire il processo elettorale previsto per domenica 25 maggio».
Machado ha intanto rinnovato l’appello agli elettori, chiedendo loro non andare alle urne per queste elezioni anticipate indette da Maduro. Secondo la leader dell’opposizione, questo voto è «una farsa» e «una trappola». E mentre Maduro parla di un appuntamento che segnerà una «nuova tappa» nella storia del Paese, per l’oppositore ed ex candidato presidenziale, Edmundo González Urrutia, quelle del 25 maggio «non sono delle elezioni ma un evento organizzato dal regime per nascondere la propria illegittimità».
Da Washington, intanto, è arrivata una ferma condanna per gli ultimi arresti con il segretario di Stato, Marco Rubio, che ha parlato di «una nuova ondata di repressione» e ha ribadito il sostegno degli Usa al ripristino della democrazia in Venezuela. Rubio ha incontrato ieri i cinque esponenti dell’opposizione venezuelana fuggiti dalla residenza dell’ambasciatore argentino a Caracas, dove erano stati costretti a rifugiarsi sotto la protezione del governo brasiliano per sfuggire alla persecuzione politica in patria. Il capo della diplomazia di Washington, secondo una nota del suo portavoce, Tammy Bruce, «ha espresso la sua gratitudine a tutti coloro che sono stati coinvolti in questa operazione e ha riconosciuto la tenacia di Maria Corina Machado, rimasta in Venezuela».
Il voto di domenica serve a rinnovare i 285 membri dell’Assemblea nazionale di Caracas, già largamente controllata dai deputati del Partito socialista (Psuv) di Maduro, ma anche ad eleggere 24 governatori regionali. Se non ci sono aspettative di cambiamento e si prevede una scarsa affluenza, un elemento di novità è rappresentato dalla decisione di Maduro di far eleggere un governatore e otto parlamentari dell’Essequibo, un’area di 160.000 chilometri quadrati ai confini orientali del Venezuela che fa parte del vicino Stato della Guyana ma che Caracas rivendica nell’ambito di una disputa secolare. La decisione dell'esecutivo venezuelano ha scatenato le proteste del governo di Georgetown, che ha rafforzato la sorveglianza militare alle frontiere.
Sebbene il voto si dovrebbe tenere in una zona di confine e non ci siano seggi elettorali effettivamente nel territorio della Guyana, l'iniziativa rappresenta un passo avanti — almeno da un punto di vista simbolico — nei progetti di Caracas, che punta a mettere le mani sulla regione guyanese, ricca di idrocarburi. Maduro nei giorni scorsi ha ribadito la volontà di procedere con questo voto nonostante l’invito in senso contrario da parte della Comunità dei Caraibi (Caricom) e della Corte internazionale di giustizia. Il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha denunciato questa mossa come «un assalto frontale alla sovranità e all’integrità territoriale»; mentre il capo delle forze di difesa, generale Omar Khan, ha avvertito che «qualsiasi residente che partecipi alle elezioni domenica 25 maggio organizzate dal Venezuela nell’Esequibo sarà accusato di tradimento. Se qualcuno partecipa o compie un’azione simile, equivarrà a sostenere un colpo di Stato passivo».
Sullo sfondo del voto vi è la grave crisi economica che attanaglia il Paese latino americano. L’inflazione su base annua è salita ad aprile al 172%, mentre sull’andamento dell’economia pesa anche la prospettiva della possibile uscita del gigante energetico statunitense Chevron dal Paese. Questa azienda, negli ultimi due anni, è arrivata a contare per il 20% della produzione di petrolio del Venezuela, ma in questi giorni aleggia l’incognita sul proseguimento delle sue attività: il segretario di Stato Usa Rubio giovedì su X ha scritto che la licenza di Chevron andrà a scadenza come previsto il prossimo 27 maggio; mentre l’inviato speciale della Casa Bianca, Richard Grennell, dopo un incontro con un funzionario venezuelano, ha assicurato che si procederà con una proroga di almeno 60 giorni.