Il vicario apostolico di Istanbul sulle celebrazioni per il Concilio ecumenico di Nicea

Ciò che unisce
più di ciò che divide

 Ciò che unisce più di ciò che divide  QUO-120
24 maggio 2025

di Roberto Cetera

«Troppe volte nel corso dei secoli e fino ai nostri giorni le divisioni teologiche e confessionali sono servite da pretesto per giustificare guerre e persecuzioni. Ora il mondo ha bisogno di vedere nei cristiani un segno di unità della famiglia umana e Nicea è il luogo dove si è cementata la nostra fede e da cui si proietta l’unità di tutti i cristiani. Da qui si può ripartire». A parlare è il vescovo Massimiliano Palinuro, vicario apostolico di Istanbul e amministratore apostolico di Costantinopoli, che ci racconta come vive la celebrazione del 1700° anniversario del Concilio ecumenico di Nicea la comunità cristiana di cui è pastore in un contesto caratterizzato da intensa interconfessionalità.

«Quello di Nicea — afferma monsignor Palinuro — è il Concilio per eccellenza, una sorta di paradigma attraverso cui la Chiesa può comprendere come comporre al suo interno problemi dottrinali e divisioni di varia natura. Nel nostro contesto l’anniversario di questo Concilio assume un’importanza straordinaria, soprattutto perché esso è patrimonio comune di tutte le confessioni cristiane. Nessuno tra i cristiani nega i concili di Nicea e di Costantinopoli perché in essi la fede cristiana ha ricevuto la sua più chiara formulazione. Questa ricorrenza è percepita dai nostri cristiani come un auspicio affinché si ritorni alle sorgenti della fede e si ricerchi l’essenziale, ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. In concreto, l’anniversario del Concilio di Nicea ci sta “costringendo” a riscoprire il tesoro della fede che tutti ci accomuna. La fede in Gesù Figlio di Dio Salvatore ci rende cristiani. In un recente convegno organizzato a Istanbul dalla Bible Society di Turchia, cattolici, ortodossi e protestanti di varie denominazioni si sono ritrovati a descrivere la stessa fede con le stesse parole, scoprendo che tutti ci sentiamo eredi della stessa Traditio fidei».

In un contesto di minoranza cristiana le parole del Credo assumono, insieme alla professione della propria fede, una decisa carica identitaria.

Non c’è dubbio che qui come altrove il messaggio di Nicea sia particolarmente attuale. L’arianesimo non è mai veramente scomparso e la domanda sulla vera identità di Gesù continua a essere decisiva. In Occidente forme subdole di arianesimo cercano di ridurre la persona e il messaggio di Gesù alla sola dimensione umana e sociale. Qui da noi, in un contesto ad assoluta maggioranza islamica, la proclamazione della fede di Nicea diviene non solo un fattore identitario ma una pietra di scandalo. Talvolta nel mondo musulmano il Concilio di Nicea viene presentato come il tradimento del messaggio del profeta Gesù o il momento in cui il cristianesimo è stato inventato a scopo politico. Queste manipolazioni, che risalgono a Voltaire, sono spesso utilizzate in ambienti accademici per demolire la fede cristiana. Lungi dal trasformare la fede in una bandiera ideologica, siamo comunque chiamati a testimoniare la nostra fede e a proclamare il Signore Gesù, Figlio di Dio e unico Salvatore.

Lei ha collaborato alla preparazione della visita a Nicea di Papa Francesco. Ora si sta lavorando per riprogrammarla con Papa Leone XIV.

Siamo fiduciosi che la visita di Papa Leone XIV possa realizzarsi al più presto. Confidiamo anche che tale visita abbia come momento culminante la celebrazione ecumenica proprio a Nicea per testimoniare in quel luogo simbolico l’unità della fede di tutti i credenti in Cristo. Il governo turco ha rinnovato a Leone XIV l’invito precedentemente rivolto a Francesco. Anche il patriarca Bartolomeo ha personalmente invitato il nuovo Pontefice. Ci auguriamo che alla celebrazione partecipino i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane in modo da offrire al mondo un messaggio credibile di unità e di fraternità.

Lei ha un fraterno rapporto con il patriarca ecumenico Bartolomeo: avete programmato iniziative comuni per celebrare l’anniversario?

Il mio rapporto di profonda e sincera fraternità con il patriarca Bartolomeo non è un fatto isolato ma si inserisce in una tradizione che risale all’episcopato di monsignor Angelo Giuseppe Roncalli che guidò il Vicariato di Istanbul per dieci anni, dal 1935 al 1944. Da parte ortodossa sorse di lì a poco quel “profeta dell’ecumenismo” che porta il nome del patriarca di Costantinopoli Atenagora. Sulle orme di questi grandi precursori a Istanbul e in generale in Turchia il cammino ecumenico è avanti di almeno quarant’anni rispetto al resto del mondo. Qui noi cristiani siamo così pochi e viviamo in un contesto così complicato da essere, in un certo senso, quasi costretti a volerci bene, a collaborare e a camminare insieme. In particolare, per la preparazione degli eventi legati alla celebrazione del 1700° anniversario di Nicea, è stata istituita una commissione mista cattolico-ortodossa. Per volontà di Papa Francesco e grazie alla grande sensibilità di monsignor Rino Fisichella, il comitato per il Giubileo ha finanziato un progetto-segno affinché a Nicea, l’attuale Iznik, venga fondata una casa di preghiera per l’unità dei cristiani che, oltre ad accogliere i pellegrini che visitano i luoghi del Concilio, offra una testimonianza di unità e di carità tra fratelli di diverse confessioni cristiane. In tal modo le celebrazioni del 1700° anniversario del primo grande Concilio ecumenico lasceranno un seme nel luogo dove la fede cristiana venne proclamata e accolta da tutti i discepoli del Signore.