Nella basilica Vaticana il cardinale Parolin conferisce l’ordinazione all’arcivescovo Ignazio Ceffalia

Un ministero che è un dono per tutta la Chiesa

 Un ministero  che è un dono per tutta la Chiesa  QUO-119
23 maggio 2025

di Isabella H. de Carvalho

Il ministero del vescovo «è un dono destinato a tutta la Chiesa» e ciò comporta che l’eletto «non vive più per sé stesso, ma per la comunità a cui viene preposto». Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha inquadrato in questo modo la missione dei vescovi, nell’omelia pronunciata ieri pomeriggio, 22 maggio, durante l’ordinazione episcopale nella basilica di San Pietro di monsignor Ignazio Ceffalia, nominato lo scorso 25 marzo nunzio apostolico in Belarus.

Un incarico che il nuovo rappresentante pontificio affronterà nella certezza del sostegno di Dio, «di fronte alle sfide interne di natura politica e socio-economica, ma anche religiosa per i rapporti con i nostri fratelli ortodossi, e di fronte alle tensioni regionali e continentali legate alla tragica guerra in corso in Ucraina, di cui non si vede purtroppo ancora la fine». Lo farà, contando sull’esperienza maturata precedentemente in Venezuela come incaricato d’affari della nunziatura apostolica, svolgendo «una missione particolarmente complessa per la situazione del Paese» latinomericano.

La messa è stata un «inno di ringraziamento» a «due voci»: della Chiesa latina, ma anche della Chiesa cattolica greco-bizantina degli albanesi in Italia, a cui appartiene Ceffalia, nato a Palermo cinquant’anni fa e ordinato sacerdote nel 2003 nel clero dell’eparchia di Piana degli Albanesi. Infatti la liturgia di ieri è stata caratterizzata da alcuni canti di questa tradizione, oltre che dai riti dell’ordinazione episcopale: l’unzione con il crisma e poi la consegna dei Vangeli, dell’anello episcopale, della mitria e del pastorale.

Tra i vescovi concelebranti, anche presuli della Chiesa cattolica greco-bizantina, e co-consacranti sono stati il cardinale Francesco Montenegro, amministratore apostolico di Piana degli Albanesi, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali.

«Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano». Il cardinale Parolin ha ripreso questa citazione di sant’Agostino, menzionata di recente da Papa Leone XIV, per sottolineare come il ministero episcopale «è un dono del Signore per l’edificazione del suo corpo, che comporta una dedizione illimitata, per cui l’eletto non pensa più al proprio interesse, ma al bene di tutti».

Per il segretario di Stato i rappresentanti pontifici partecipano «in modo del tutto speciale a quella sollecitudine per tutte le Chiese che i Vescovi devono esercitare in forza della loro appartenenza al Collegio episcopale». Nell’omelia Parolin ha ripercorso infatti le varie esperienze di monsignor Ceffalia che, dopo aver completato gli studi, dal 2006 è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, prestando la propria opera «in Ecuador, a Strasburgo, nella missione permanente presso il Consiglio d’Europa, in Segreteria di Stato, come officiale della sezione per i rapporti con gli Stati, e infine in Venezuela» dove «hai potuto sperimentare la grazia del Signore — ha detto il porporato rivolgendosi direttamente all’ordinando —, che secondo la dottrina tradizionale della Chiesa non fa mai mancare nulla a coloro che svolgono un compito particolare».

Per far fronte a tutti i contesti e vivere in pieno il dono dell’episcopato, il segretario di Stato ha esortato in proposito monsignor Ceffalia a custodire il dono dello Spirito Santo, affidatogli tramite l’imposizione delle mani. «Questo dono spirituale permanente arde come un fuoco, ma questo fuoco che ora arde non si alimenta da solo, muore se non è tenuto in vita», ha aggiunto Parolin. Per essere «luce del mondo» e «far risplendere la tua luce davanti agli uomini», il fuoco deve essere «riattizzato e sarà l’impegno di ogni giorno, l’impegno di tutta la tua vita di vescovo».

Il cardinale lo ha quindi incoraggiato a prendere ispirazione anche dal santo di cui porta il nome, Ignazio di Antiochia: «un vescovo forte, un pastore ardente di zelo, i suoi fedeli lo hanno definito un credente di fuoco, proprio come suggerisce l’etimologia del suo nome».

Anche il suo tragico martirio — «sbranato dalle bestie feroci nel Colosseo» — è un insegnamento a «non vergognarti di dare testimonianza al Signore nostro», ma a soffrire con Dio per il Vangelo, ha continuato Parolin, citando la prima lettura, tratta dalla lettera dell’Apostolo Paolo a Timoteo.

Il vescovo deve «mettere in conto la logica della croce», ma il suo cuore è «destinato a plasmarsi sul cuore di Cristo e a perpetuare nel mondo e nel tempo il prodigio della carità di Gesù», ha proseguito il segretario di Stato riprendendo un discorso di Paolo VI ai vescovi italiani nel 1973. «È davvero bello, esaltante, è capace di riempire una vita l’essere messaggero, apostolo e maestro della manifestazione del Salvatore nostro Gesù».

Per il cardinale celebrante questa vicinanza di Gesù risorto che custodisce ogni persona si riflette anche nel motto episcopale scelto da monsignor Ceffalia: Ego autem in te speravi, «io invece ho sperato in te».