Robert Francis Prevost studente di teologia
nel ricordo di padre Michael Anthony Perry già ministro generale dei francescani

«Chiamami Bob»

 «Chiamami Bob»  QUO-119
23 maggio 2025

di Roberto Cetera

Padre Michael Anthony Perry è stato ministro generale dei francescani per otto anni, dal 2013 al 2021. Americano di Indianapolis, dopo gli anni trascorsi a Roma insegna oggi al «Siena College», università francescana nello stato di New York. Negli anni della formazione teologica ha incontrato per la prima volta, alla Catholic Theological Union di Chicago (per il Master of Divinity), lo studente Robert Francis Prevost, con cui ha intessuto un bel rapporto di fraternità. Racconta a «L’Osservatore Romano»: «Ci siamo conosciuti la prima volta in un tour in bus che lui aveva organizzato insieme a un altro frate agostiniano in quella che Prevost chiamava la “mia Chicago”. Si presentò a me dicendo di chiamarsi Bob. Io risposi: “Piacere Robert, io mi chiamo Michael”. Ma lui mi rispose: “Io sono Bob, chiamami Bob”. Durante quel tour ci tenne in particolare a farci vedere lo stadio dove giocano i Chicago White Sox, la squadra di baseball di cui è tifosissimo. Ci incontravamo spesso in biblioteca e nelle feste organizzate dalle diverse congregazioni religiose; in queste occasioni parlavamo non solo dei nostri studi ma anche di come andavano in generale le cose nel mondo. Anni più tardi ci siamo rincontrati a Roma: io superiore maggiore dei francescani e lui degli agostiniani».

Che ricordo ha di Prevost?

Innanzitutto il suo comportamento. Un uomo riservato. Se non lo conoscevi bene avresti detto che era timido. Ma col tempo ho scoperto che non era affatto timido. Semplicemente la sua caratteristica essenziale era la sua straordinaria capacità di ascolto. Di tutti, senza preclusioni. E assimila tutto. Ascoltava, meditava sempre, prima di dire qualcosa. Papa Leone è sicuramente un uomo dell’ascolto. E penso che questa sarà anche la cifra del suo pontificato. L’ho sempre trovato accogliente, ospitale, rispettoso, e anche con un certo senso dell’umorismo sottile e ironico. Il suo sorriso è sempre accompagnato da un luccichio degli occhi. Ci siamo frequentati per circa un anno e mezzo e poi lui è andato a Roma.

Anche lei poi ha condiviso un’esperienza di vita e di vocazione simile a quella di Prevost.

Sì, quando abbiamo terminato gli studi anch’io sono partito per un’esperienza missionaria in Congo. Vi sono rimasto dieci anni, così come lui più tardi andò in Perú.

Dal suo osservatorio privilegiato può dirci qualcosa su come i cattolici nel suo paese hanno accolto la novità di un pontefice statunitense?

È un po’ difficile dirlo perché non deve scordare che noi siamo un mix di etnie, di culture, di stili di vita e anche di diverso senso religioso, e poi di opinioni politiche a volte molto distanti tra loro. Il popolo statunitense sa che viviamo in un tempo molto difficile, di cambiamento radicale e veloce, e si chiede oggi che fine abbia fatto il sogno americano. In un contesto simile vi sono molti cattolici che sono contenti che Leone XIV continui lungo le strade intraprese da Francesco, strade che hanno le loro radici nelle riforme del Concilio Vaticano II: una Chiesa aperta e coinvolta nella quotidianità della gente. Le prime parole del Pontefice confermano l’intenzione di continuare in questa direzione. Ma vi sono anche cattolici che, dichiarandosi in disaccordo con Papa Francesco e con certe sue decisioni, temono la continuità delle scelte di fondo di Leone XIV con quelle di Francesco, continuità rafforzata dalle posizioni nette che il cardinale Prevost, peraltro in accordo con l’episcopato statunitense, ha assunto rispetto ad alcune decisioni politiche dell’attuale amministrazione americana in tema di migranti, contro le deportazioni, per il rispetto della dignità di tutte le persone, e per il rifiuto ad affrontare la crisi climatica. La bussola del pontificato di Leone XIV rimane orientata sul Vangelo, sulla Chiesa e sull’umanità tutta.

Padre Perry, lei che lo ha conosciuto da vicino, cosa si aspetta da Papa Leone XIV?

Penso che il suo impegno principale sarà presentare una Chiesa di tutti e aperta a tutti. L’amore insegnato da Gesù consiste nell’accogliere, nell’abbracciare, nell’accompagnare tutti. Una seconda dote che lo caratterizzerà è sicuramente quella dell’ascolto: quindi una Chiesa sinodale attraverso il quale condurrà il proprio discernimento. Una terza caratteristica sarà certamente quella di indurre tutto il corpo della Chiesa a una decisa identità improntata alla missione nel mondo in cui viviamo. Una missionarietà senza dubbio spirituale ma anche riferita alla giustizia di Dio, frutto della dottrina sociale della Chiesa, innanzitutto sul fronte della fine delle guerre e del raggiungimento di una pace duratura ovunque oggi c’è conflitto. Ma, ripeto, la sua bussola sarà orientata innanzitutto verso l’amore. L’amore incondizionato di Gesù.