La politica dell’espansionismo

Israeli army tanks take position at the border between Israel and the Gaza Strip on May 22, 2025, ...
22 maggio 2025

di Roberto Cetera

Le bombe che continuano a seminare morti a Gaza hanno obnubilato all’attenzione degli analisti occidentali una legge approvata dal governo israeliano la scorsa settimana con cui viene istituito un catasto israeliano in quella che, con gli accordi di Oslo, veniva definita la zona C dei Territori palestinesi occupati militarmente da Israele. Il catasto disposto dall’Autorità Nazionale Palestinese è stato conseguentemente dichiarato decaduto. La legge è salutata dal ministro delle finanze israeliano Smotrich come necessario strumento “per lo sviluppo degli insediamenti dei coloni ebraici”. È sostanzialmente l’avvio del processo di annessione della Palestina allo stato di Israele? Annessione della terra ma non dei suoi abitanti, destinati a rimanere in uno stato giuridico indefinito, prima di essere progressivamente espulsi dal loro paese. Perché i governanti israeliani non hanno più remore nel sostenere la soluzione dell’esodo forzato — non si sa bene dove — delle popolazioni palestinesi.

Si discetta assai in questa guerra sull’uso delle parole: antisemitismo o antisionismo, crimini di guerra o genocidio, terrorismo o resistenza. Controversie che interesseranno gli storici di domani ma che poco aggiungono rispetto alla realtà attuale, quella di decine di migliaia di vittime innocenti. E di esse tanti bambini, come ricordano le opposizioni. Ma c’è una parola meno usata che però meglio rileva la politica militare del governo attuale israeliano: espansionismo. Da Gaza alla Cisgiordania, dal Golan siriano al sud del Libano un velo è caduto: il disegno ormai esplicito è quello della eretz Israel, da realizzarsi anche se a discapito di chi in quelle terre è nato e vissuto, dal mare al fiume. Le pur maggioranze in entrambi i popoli in favore di un futuro di pace sono silenziate dall’orrore scatenato dai guerrafondai. Così come rimangono inascoltati gli appelli provenienti da tutta la comunità internazionale. Lo Stato di Israele si sta isolando anche ormai rispetto ai suoi storici alleati, eppure non si fermano i bombardamenti che continuano ad abbattersi su Gaza, soprattutto su tanti innocenti. Gli spari dell’esercito in occasione della visita dei diplomatici a Jenin, ieri, segnano un ulteriore passo falso in questo senso.

Coltivare la speranza in uno scenario del genere è roba da coraggiosi, ammoniva ieri su questo giornale con toni accorati il parroco di Gaza Gabriel Romanelli. E a quei 500 coraggiosi che con spirito di pace resistono da 20 mesi dentro le mura della parrocchia della Sacra Famiglia va il plauso, la solidarietà, la vicinanza, il sostegno e l’affetto di un miliardo e trecento milioni di cattolici del mondo e del loro Papa. Lo si sappia.