
di Roberto Cetera
«Più della mancanza di cibo, di acqua potabile, di medicinali, più del pericolo per la nostra incolumità, mi preoccupa che non vada smarrita la speranza. La speranza che finisca questa maledetta guerra, che torni la pace, che si possa rimanere in questa terra e ricostruirvi le case distrutte, che la nostra piccola comunità cristiana resiliente possa continuarvi ad essere testimone del Risorto». È quanto mai accorato il tono con cui padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia a Gaza, ci risponde al telefono.
«La speranza si va affievolendo, perché qui la gente avverte di essere considerata e trattata come degli oggetti, non come soggetti titolari di diritti. Oggetti che si possono spostare a piacimento. La stragrande maggioranza degli abitanti di Gaza sono civili, che non sono parte del conflitto armato. La nostra comunità deve resistere perché a Gaza deve rimanere un segno di presenza cristiana», aggiunge.
Padre Gabriel, com’è ora in particolare la situazione della comunità cristiana rifugiata da quasi 20 mesi nel compound della parrocchia?
Grazie all’aiuto che ci viene dalla Chiesa e da tanti amici nel mondo siamo riusciti finora ad aiutare non solo i nostri, ma decine di migliaia di famiglie che, indifferentemente dalle religioni professate e dalle aree di provenienza, cercano aiuto attraverso di noi. Ora però, da ormai quasi tre mesi non riceviamo più nulla dall’esterno della Striscia: ogni aiuto, che sia cibo, acqua o medicinali, è bloccato all’ingresso dall’esercito israeliano. Ma avevamo immagazzinato molte di queste cose e, razionandole, siamo riusciti a sopravvivere, solo che adesso non possiamo più aiutare all’esterno della nostra comunità. Abbiamo ancora della farina per cuocere il pane, ma dobbiamo setacciarla più volte perché è piena di vermi, dobbiamo poi sempre purificare l’acqua per evitare malattie. Da qualche contadino o in qualche bancarella improvvisata troviamo delle verdure, ma sono molto costose. Unasola cipolla costa mediamente 10 euro; i pomodori sono un po’ più a buon mercato: un chilo costa più di 15 euro. Ora perciò dobbiamo gestire molto saggiamente le nostre scorte residue per i nostri quasi 500 rifugiati, inclusi i circa 50 bambini ospitati dalle suore di Madre Teresa. Non riusciamo a trovare pannolini in tutta la Striscia, che pure sono assolutamente necessari per i più piccoli e gli anziani; quando si trovavano non costavano meno di 3 euro l’uno. La situazione dei medicinali poi è disperata, perché abbiamo esaurito anche le scorte. E questo è grave soprattutto per i malati cronici, i cardiopatici, gli ipertesi, i diabetici, che non hanno più nessuna cura. Ovunque ti giri vedi bisogno. Ma soprattutto nessuno è oggi in grado di sapere cosa sarà della vita di 2 milioni e 300.000 abitanti. Ed è questa incertezza a generare la perdita di speranza. Si sentono abbandonati da tutti, sentono che solo Dio si preoccupa della loro sorte».
Sentite esplosioni vicino a voi?
Sì, spesso. Stamattina (ieri, nd.r.) ancora poche, perché sembra che siano concentrate più a nord. Però le sentiamo sempre e spesso arrivano delle schegge, anche grandi. C’è una situazione surreale di “abitudine”. Mentre parliamo i bambini stanno giocando qui fuori nell’oratorio; se sentissero esplosioni, anche vicine, continuerebbero a giocare. Perché il pericolo è affidato alla fatalità. Se passano i cacciabombardieri israeliani, la gente cerca rifugio al chiuso, aspetta qualche minuto che cadano magari delle schegge, e poi esce di nuovo continuando la vita normale. L’orrore è diventato abitudine. Ugualmente in chiesa: stiamo pregando tutti insieme, d’improvviso arrivano delle schegge sul tetto o le finestre si aprono di colpo per lo spostamento d’aria, ma si continua a pregare, che in questa abitudine ci da più sicurezza che fuggire».
Per molti mesi siete stati confortati dalla quotidiana telefonata serale di Papa Francesco. Ora c’è Papa Leone XIV. Cosa vi aspettate dal nuovo Pontefice?
La chiamata delle 20 di Francesco per noi era stata ribattezzata “l’ora del Papa”. Noi continuiamo anche ora ogni sera alle 20 a suonare le campane con l’Ave Maria per ricordarci di quelle chiamate, e c’è chi, sentendo le campane, continua a gridare “Buona sera Santo Padre”, perché la sua presenza permane tra noi. Quello che Papa Francesco ha fatto per noi è assolutamente straordinario, e non ha precedenti nella storia. Ora con Papa Leone XIV abbiamo subito sentito un incoraggiamento a resistere quando — avevamo messo lo schermo in chiesa, e per fortuna quella sera c’erano sia elettricità che internet — ha esordito il suo servizio con le sue prime parole d’invocazione alla pace. Eravamo tutti insieme, cattolici e ortodossi, e anche tanti amici musulmani, felici di sentire il nuovo Papa chiedere pace. Per Gaza e per il mondo.
Padre Gabriel, vuole cogliere l’occasione di questa intervista per inviare un messaggio a Papa Leone?
Sicuramente voglio dirgli che gli siamo molto grati per le sue parole di pace e che tutta la comunità prega per lui. E non solo noi, ma cattolici, ortodossi e musulmani sanno che hanno un padre. La vicinanza di Papa Francesco è stata la vicinanza di tutta la Chiesa. E continuiamo a sentirla con Papa Leone. Che è successore di Pietro, padre della Chiesa, e padre di tutti. Di tutti.