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Moser, Fátima e il passaggio

 Moser, Fátima  e il  passaggio   QUO-117
21 maggio 2025

di Giampaolo Mattei

Domenica 1° giugno a seguire con emozione e passione il passaggio in Vaticano dei ciclisti del Giro d’Italia ci sarà anche Francesco Moser, uno degli atleti più vincenti di sempre (compreso il Giro 1984). C’era anche lui — «ero un giovanissimo, quasi all’esordio» — quel 16 maggio 1974 quando Paolo VI ha dato il via al Giro nel cortile di San Damaso. «Indimenticabile!» ricorda oggi Moser: «È stato un fatto straordinario che tutti noi ciclisti, in tenuta da corsa, siamo stati accolti da Papa Montini. C’erano Merckx, Gimondi, Fuente... tutti eravamo emozionati per quell’accoglienza paterna, commossi vedendo Paolo VI dare il via alla corsa con la bandierina».

Francesco Moser non è tipo da facili emozioni, con il suo tenace carattere, roccioso come le montagne del suo Trentino. «Il Papa è... il Papa, non si scherza!» dice. E giù con una valanga di ricordi e aneddoti. Cominciando proprio dal nome di battesimo: Francesco. Non doveva chiamarsi Francesco: «Sono il decimo figlio e nelle nostre tradizioni delle famiglie contadine “numerose” avrei dovuto chiamarmi, appunto, Decimo! Mia mamma Cecilia però ha voluto assolutamente darmi il nome Francesco. Prima di me erano nate le mie sorelle Lucia e Giacinta: ecco testimoniata, anche nella scelta dei nomi, la particolare devozione di mia madre per la Madonna di Fátima».

La fede cristiana, confida Moser, fa parte della vita stessa della sua gente, nel piccolo paese di Palù di Giovo. «È vero che con tre fratelli più grandi — Aldo, Enzo e Diego — siamo diventati popolari per il ciclismo, ma il vero “campione” in famiglia è un altro fratello: Claudio». Francesco ne parla con un rispetto che lo porta ad addolcire lo sguardo e il tono della voce «Claudio è frate francescano: a 10 anni è andato via da casa per studiare. Ma ricordo come fosse ora quando, tutti insieme, lo abbiamo accompagnato all’aeroporto: destinazione Boston dove ha lavorato in parrocchia per circa cinque anni. Padre Claudio ha sempre avuto lo stile missionario e ha poi proseguito il suo servizio come parroco in Canada, a Toronto».

«In famiglia lo abbiamo visto poco ma spiritualmente è sempre stato con noi» confida Francesco. «L’ho sempre sentito vicino anche nelle mie esperienze da ciclista, ricordando la sua ordinazione sacerdotale, con un altro compaesano, e la celebrazione della loro prima messa a Palù».

La spiritualità è intrinseca nel ciclismo, rilancia Moser: «Nelle tappe del Giro d’Italia, ma si potrebbe dire in ogni gara, si pedala accanto ai santuari, soprattutto mariani. E quando scalavamo le grandi montagne quasi sempre lassù, in vetta, ecco il santuario. Sono “luoghi dello spirito” particolari e a noi ciclisti entrano nel cuore tanto che ci torniamo per allenarci o, come faccio io ormai a 74 anni, per un’esigenza personale». Moser ne ricorda tre, in particolare: i santuari di Montevergine — «che era anche il luogo delle esercitazioni quando facevo il militare» — di Tindari e del Divino Amore, alle porte di Roma, dove «ho lasciato in segno di omaggio a Maria la mia bicicletta».

Lo stesso gesto compiuto al santuario della Madonna del Ghisallo, patrona dei ciclisti, «oltretutto sulle strade del Giro di Lombardia che ho vinto due volte. Tra i tanti “ex voto” ho voluto che ci fosse, segno di gratitudine, la mia bici del record dell’ora».