
di Edoardo Giribaldi
e Isabella Piro
Un’umanità in «missione», sulle orme di san Paolo. Ciascuno con la propria vocazione, sbocciata, però, da una radice «semplice e unica»: un «progetto d’amore» divino. L’orizzonte è quello della «salvezza», che non giunge per magia o «incanto», ma attraverso un’adesione «fiduciosa e libera», da parte di ogni individuo. È questa l’immagine offerta da Leone XIV nel pomeriggio di ieri, 20 maggio, nel cuore della celebrazione presieduta nella basilica Ostiense.
Il sole faceva capolino tra le nuvole nel cielo di Roma quando il Papa è giunto sul piazzale del tempio, distrutto nel 1823 da un devastante incendio e riedificato per volontà di Leone XII che, due anni dopo, con l’enciclica Ad plurimas, lanciò ai fedeli un appello per la ricostruzione.
Ad accogliere Papa Prevost è stato un lungo applauso dei fedeli (al termine della celebrazione se ne conteranno oltre duemila) che già dalla tarda mattinata si erano assiepati dietro le transenne. Nelle prime file spiccavano alcuni striscioni, il più grande era di un gruppo proveniente dal comune ligure di Murialdo, in provincia di Savona.
Leone XIV ha risposto con il linguaggio semplice della benedizione. Ad attenderlo, il cardinale arciprete James Michael Harvey e l’abate benedettino dom Donato Ogliari. Con la stola indossata sulla mozzetta e il rocchetto, il Pontefice ha chiuso la processione. Il passo era solenne, le voci della Cappella Sistina si innalzavano in armonia. Davanti a Leone XIV, i monaci benedettini, custodi secolari della basilica. Erano presenti una ventina di cardinali, tra cui il decano del Collegio, Giovanni Battista Re, insieme a circa quaranta tra vescovi e prelati. Varcata la Porta Santa, la processione è avanzata fino all’abside, tra gli applausi dei fedeli.
Dopo aver benedetto i presenti con l’aspersorio, il Pontefice ha sostato in preghiera davanti al sepolcro dell’Apostolo delle Genti, posto ai piedi dell’altare, sotto il ciborio realizzato nel 1285 dallo scultore Arnolfo di Cambio. Poi ha raggiunto la sua sede, posta dietro la mensa eucaristica, e ha dato inizio alla celebrazione della Parola, introdotta dal canto Ianitor caeli.
È seguita la proclamazione di un passo dalla Lettera di san Paolo ai Romani (1, 1-6. 8-9. 11-12. 14-15). Quindi, il vescovo di Roma ha pronunciato l’omelia, terminata la quale ha reso omaggio, inginocchiato in silenzio, al Trophaeum dell’Apostolo, per poi incensarlo, accompagnato dall’antifona Egregie doctor Paule.
A conclusione della celebrazione, infine, l’intonazione corale del “Padre Nostro” e la benedizione apostolica, che si è levata come un respiro sopra le navate. Dall’alto, vegliavano i successori di Pietro, ritratti nei tondi musivi lungo la serie cronologica inaugurata da Papa Leone Magno nel V secolo. All’uscita, nell’ora del crepuscolo, numerosi fedeli con grida di gioia e canti mariani hanno salutato il Papa mentre lasciava la basilica.