Nel documento della Commissione teologica internazionale sul Concilio ecumenico di Nicea viene sottolineata l’importanza di rinnovare la novità dell’evento Cristo

Duplice fedeltà

 Duplice fedeltà  QUO-115
19 maggio 2025

di Samuel Fernández

In occasione dell’anniversario del primo concilio ecumenico, la Commissione teologica internazionale (Cti) ha pubblicato un ampio testo dal titolo Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. 1700° anniversario del Concilio ecumenico di Nicea (325-2025). Il documento non intende offrire una nuova ricostruzione storica dell’assemblea ma mostrare la rilevanza dell’evento di Nicea per la vita della Chiesa e, più in generale, per la vita umana. In questo senso, il documento è più orientato al presente che al passato e si concentra sul carattere salvifico della fede nicena e sulle sue conseguenze per l’antropologia e il dialogo ecumenico.

«La celebrazione dei 1700 anni del Concilio di Nicea è un pressante invito rivolto alla Chiesa perché riscopra il tesoro che le è stato affidato e vi attinga per condividerlo con gioia, in un rinnovato slancio, e perfino in una nuova tappa di evangelizzazione» (121). A tal fine, il documento offre una lettura dossologica del Credo. A causa del suo uso liturgico, il documento commenta il Credo niceno-costantinopolitano (capitolo 1). Successivamente la Cti descrive l’impatto della fede professata dal Credo sulla vita della Chiesa, in particolare sulla sua vita liturgica e sulla preghiera (capitolo 2). Il testo mostra poi come la rivelazione cristiana, professata a Nicea, introduca una reale trasformazione nel pensiero umano e, allo stesso tempo, offra elementi che guidano la configurazione della Chiesa (capitolo 3). L’ultimo analizza le condizioni di credibilità della fede professata a Nicea, con particolare attenzione al carattere salvifico della fede cristiana (capitolo 4).

Questo breve commento si concentra su due prospettive evidenziate dal documento: Nicea come punto di arrivo nella professione dell’evento di Cristo nel mondo greco; Nicea come punto di partenza, cioè come modello permanente di inculturazione della fede cristiana.

Il Concilio non intendeva introdurre qualcosa di nuovo nella fede apostolica ma spiegare la fede battesimale (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore, 16; 50). La novità deriva sempre dall’evento di Gesù Cristo, dalla sua incarnazione, dalla relazione filiale con Dio, suo Padre, dalla croce e dalla risurrezione, portatore di una nuova comprensione di Dio e dell’essere umano. Questa novità radicale (25), che inizialmente era stata espressa in termini biblici, doveva essere professata in un nuovo contesto, quello della cultura greca. Il Concilio di Nicea rappresenta quindi un momento cruciale, un punto di svolta, in questo processo che era stato preparato da autori del II e III secolo come Giustino e Origene (70).

Il vecchio dibattito sull’ellenizzazione del cristianesimo presupponeva che la lingua greca fosse una minaccia per la novità cristiana; il documento della Commissione teologica internazionale, al contrario, afferma che la fede nicena, espressa nella lingua dell’ellenismo, introduce la novità cristiana nel pensiero greco. Pertanto il Credo niceno non implica una degradazione della fede biblica ma una trasformazione, un ampliamento del pensiero greco: come mai prima d’ora, l’alterità, la relazione e la reciprocità si manifestano come categorie che strutturano l’essere (81).

La giusta professione di fede cristiana è quella che custodisce fedelmente la novità cristiana. La storiografia convenzionale presenta l’eresia come una novità. Infatti gli storici del IV e V secolo accusavano Ario di «introdurre novità» (Sozomeno, Historia ecclesiastica, 1.15). Al contrario, con un interessante colpo di scena, il documento della Cti intende l’eresia come una resistenza alla novità (90). Pertanto la fedeltà alla novità cristiana, in un nuovo contesto culturale, richiede anche un nuovo linguaggio. Atanasio, nel De decretis, spiega questo processo: i vescovi di Nicea non riuscirono a trovare un’espressione biblica in grado di escludere l’interpretazione ariana della relazione del Figlio con il Padre, così furono costretti a raccogliere, identificare, compendiare, compilare il pensiero delle Scritture attraverso il termine homoousios (20.3). Le nuove condizioni culturali richiedevano un nuovo linguaggio per esprimere fedelmente il significato delle Scritture. In altre parole, la fede di Nicea cercava di esprimere in termini filosofici la relazione eterna del Figlio con il Padre, la stessa relazione che Gesù ha realizzato storicamente, soprattutto nella sua preghiera narrata nei vangeli (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore, 79). L’intima relazione storica di Gesù di Nazareth con Dio, suo Abbà, ha il suo fondamento ultimo nella relazione eterna del Figlio e del Padre che l’espressione nicena professa: il Figlio è consustanziale al Padre.

Custodire la tradizione, quindi, non significa ripetere invariabilmente gli stessi termini ma esprimere nuovamente con un linguaggio appropriato la fede apostolica celebrata nel battesimo. La rivelazione cristiana è storica non solo perché si è svolta nella storia di Gesù ma anche perché viene trasmessa, riformulata e professata nella storia umana. Affinché la rivelazione sia accessibile alle nuove generazioni deve essere trasmessa nel linguaggio di ogni ambiente culturale. Questo è lo sforzo che ha fatto l’assemblea nicena. Secondo il racconto di Atanasio, di fronte all’ambiguità dell’eresia, l’assemblea nicena cercò, per così dire, un’espressione univoca della fede e, a tal fine, integrò due espressioni nel Credo. Tuttavia — e qui sta il paradosso — nel momento stesso in cui l’espressione “consustanziale al Padre” fu integrata nel Credo, fu necessario chiarirne il significato autentico: «Non si direbbe consustanziale secondo la passione dei corpi, né che egli sia venuto a sussistere dal Padre secondo una separazione o una qualche divisione» (Eusebio, Epit. Caes., 7: Fns, 37. 7). Al di là di altre considerazioni è importante notare che anche il Credo niceno, forse il testo magisteriale più solenne della Chiesa, come ogni parola umana richiede un’interpretazione (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore, 16-17). Così l’assemblea nicena non è solo un punto di arrivo ma anche un modello per le generazioni successive: «Il Concilio del 325 offre un paradigma per ogni tappa del rinnovamento del pensiero cristiano» (71).

Nicea, dunque, indica un compito. Di fronte a nuovi universi culturali, lontani dalla cultura greca antica, la Commissione teologica internazionale ricorda che, da un lato, a Nicea la Chiesa si è espressa in categorie greche in modo normativo, indicando un necessario punto di riferimento, e che, dall’altro, la Chiesa deve ispirarsi al processo compiuto dal Concilio per cercare oggi nuove espressioni della fede che siano significative per lingue e contesti diversi (89). Questo processo, tanto delicato quanto necessario, richiede una duplice fedeltà: la fedeltà al passato, che implica una particolare attenzione allo studio storico delle fonti, e la fedeltà al presente, condizione necessaria per un autentico dialogo tra il Vangelo e gli uomini e le donne di oggi. Questa doppia fedeltà, descritta nel documento, mostra il carattere dinamico della tradizione. Essa non consiste nel ripetere ma nel professare nuovamente in modo significativo la novità dell’evento di Gesù Cristo che rivela la verità di Dio e la verità dell’essere umano.


Nell’anniversario una giornata di studio alla Pontificia Università Urbaniana


Al documento della Commissione teologica internazionale Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. 1700° anniversario del Concilio ecumenico di Nicea (325-2025), pubblicato il 3 aprile scorso, la Pontificia Università Urbaniana dedica a Roma una giornata di studio domani 20 maggio dalle ore 9 alle ore 19,30. L’introduzione è affidata al cardinale prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede e presidente della Commissione teologica internazionale, Víctor Manuel Fernández. Tra i relatori figurano, tra gli altri, il segretario generale dello stesso organismo, monsignor Piero Coda, i vescovi Antônio Luiz Catelan Ferreira (Brasile) ed Etienne Emmanuel Vetö (Francia), monsignor Mario Ángel Flores Ramos (Messico), padre Philippe Vallin (Francia), padre Karl-Heinz Menke (Germania) e padre Gaby Alfred Hachem (Libano).