«The Last 20» mette i Paesi più poveri al centro dell’agenda internazionale

La voce dei dimenticati

Turkana herd boys walk in search of water and pasture for their animals at the Lorengo village of ...
17 maggio 2025

di Luca Attanasio

L’intuizione è scoccata nel 2021, l’anno della presidenza italiana del G20. Il progetto era di agire da contraltare al summit dei paesi più forti, facendo emergere le istanze, le richieste, le storie dei più deboli, così come i motivi alla base della loro debolezza. Per questo è nato «The Last 20»(L20), la cui edizione 2025 è stata presentata questa settimana a Roma, un osservatorio composto da ricercatori, comunità della diaspora e associazioni, che redige un rapporto dopo aver studiato per un anno i venti Paesi ultimi della Terra secondo le statistiche internazionali dei principali indicatori socioeconomici. E ingaggia una battaglia civile per portarli al centro dell’agenda internazionale. Questa, in ordine alfabetico, la lista degli L20 secondo il report appena pubblicato: Afghanistan, Burkina Faso, Burundi, Ciad, Eritrea, Gambia, Haiti, Liberia, Madagascar, Malawi, Mali, Mozambico, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan, Togo, Yemen. Lo studio non si limita alla denuncia ma offre analisi sociologiche, statistiche, economiche, geopolitiche molto dettagliate e si propone quale strumento prezioso per comprendere lo stato di salute del mondo più negletto ma, anche, per proporre soluzioni.

I problemi che rendono queste nazioni le ultime venti della Terra sono tanti: una storia plurisecolare, mai sanata definitivamente, di schiavismo e colonialismo inaugurata e perpetrata dall’Europa (di cui peraltro il Vecchio Continente non ha ancora pagato un prezzo); i conflitti; lo sfruttamento sconsiderato delle infinite risorse; gravissimi problemi ambientali indotti in gran parte dall’Occidente, e molti altri. A pesare drammaticamente sulle economie degli L20, inoltre, due fattori che incombono come macigni. Il primo è l’indebitamento. «Sul piano economico — spiega Ugo Melchionda, uno dei redattori del dossier — i paesi L20 sono caratterizzati da una vulnerabilità estrema dovuta alla forte dipendenza dagli aiuti esteri, agli alti tassi di interesse sul debito esterno che costringono spesso i governi a impegnare grandi parti del bilancio anziché investire in servizi pubblici e mantengono lo Stato in una condizione di sotto-sviluppo». Il secondo sono le spese militari: una parte significativa della spesa pubblica di quasi tutti questi paesi viene destinata alle armi. Fattore che riduce notevolmente le risorse disponibili per servizi sociali come sanità e istruzione.

La crescita economica, anche tra i Paesi L20, è stata molto disomogenea: Niger e Repubblica Democratica del Congo hanno registrato tassi di crescita cumulativi significativi (per il Niger oltre il 35 per cento tra il 2019 e il 2024), grazie anche all’estrazione di risorse naturali. Al contrario, altri paesi come Haiti e il Sud Sudan hanno subito una contrazione del Pil significativa a causa dei conflitti in corso o della crisi strutturale dell’autorità statale.

Secondo il Global Hunger Index, in alcuni Paesi come Gambia e Burkina Faso la percentuale di bambini deperiti (malnutrizione acuta) è diminuita, in altri come Niger e Yemen rimane grave. La malnutrizione cronica (rachitismo) colpisce oltre il 40 per cento dei bambini in Afghanistan, Burundi e Niger. I tassi di alfabetizzazione femminile sono migliorati in alcuni Paesi, come Mozambico e Togo, grazie agli sforzi aumentati per l’iscrizione scolastica. Tuttavia, persistono problemi di qualità dovuti all’inadeguatezza delle infrastrutture e alla mancanza di risorse didattiche. Miglioramenti sanitari sono evidenti nella riduzione dei tassi di mortalità sotto i cinque anni in Paesi come la Repubblica Centrafricana e la Somalia, sebbene tali tassi rimangano molto al di sopra della media globale.

La domanda che si sono posti gli ideatori del rapporto è stata: che senso ha moltiplicare conferenze, fare accordi, cercare soluzioni ai drammi della nostra epoca, senza mai ascoltare la voce di chi, quei drammi, li sperimenta sulla propria pelle? Non sarebbe più conveniente, oltre che più giusto, sentire il punto di vista di chi vive e affronta in prima persona immense sfide e comprende, evidentemente, molto più di chi osserva da lontano?

Il Sud globale è così anche perché continua a essere terra di conquista e sfruttamento a beneficio di altri. «L’Africa — dice Eulalia Guiliche, rappresentante della comunità mozambicana in Italia — è ancora terra da sacrificare agli interessi europei. Un caso emblematico è il mio paese dove ci sono grandi giacimenti di gas naturale che da quando sono stati scoperti ci hanno solo creato problemi. Oltre alla guerra (nella zona di Capo Delgado, ndr) viviamo ora una grave instabilità politica seguita alle elezioni del 2024: tutto il mondo ha visto ciò che stava succedendo in Mozambico ma nessuno, a cominciare dall’Europa che ha molte compagnie estrattive lì, ha mosso un dito. Gli interessi esterni vengono sempre prima della popolazione».

Il Report Last20, riprende Melchionda, «vuole far emergere gli aspetti problematici degli stati più impoveriti del mondo ma intende anche ricordare la ricchezza umana e culturale delle popolazioni che ci vivono. Il nostro osservatorio sarà protagonista a fine ottobre di un convegno internazionale organizzato ad Assisi in collaborazione con l’associazione Laudato si’. Sarà l’occasione, in un anno giubilare, di rilanciare il tema del debito di questi paesi e di un ragionamento attorno a soluzioni praticabili. E l’opportunità di dare voce a questi “ultimi” affinché siano “last 20 but not least”».