
di Ibrahim Faltas
La violenza non si ferma a Gaza. Le parole toccanti degli appelli e la disponibilità alla mediazione autorevole di Papa Francesco e di Leone XIV, le azioni di solidarietà e le manifestazioni a favore della pace di istituzioni e associazioni, il rifiuto della guerra di miliardi di persone non riescono a fermare il male che genera dolore e distruzione a Gaza.
I numeri dei morti e dei feriti aumentano in modo vertiginoso ogni giorno: viviamo in diretta la strage inaudita e ingiustificabile di una popolazione inerme e indifesa. Il verbo “vivere” non è molto indicato quando vediamo e sentiamo cosa succede a Gaza ma dobbiamo, con speranza, affermare il valore della vita per sconfiggere il male della guerra. Gli occhi delle persone, in particolare quelli dei bambini, chiedono - senza parole - cibo, pace e rispetto per la vita mentre dal cielo arriva la morte.
Le coscienze di chi potrebbe fermare la guerra sono sorde e non ascoltano le grida silenziose dei corpi ancora sotto le macerie; sono cieche e non vedono le sofferenze di corpi feriti, mutilati e affamati; sono insensibili e non sono turbate dalle menti offuscate dal dolore e dalla paura. Si alzano voci nel mondo a favore della pace, si chiede pietà per gli innocenti, si offre solidarietà e aiuto, e la risposta è il silenzio assordante della prepotenza e dell'indifferenza.
Strumenti di morte continuano ad armare mani fratricide e il commercio delle armi arricchisce chi non è sconvolto da lunghe file di corpi avvolti in lenzuola insanguinate e dal dolore di chi è sopravvissuto. La guerra continua: in meno di due giorni più di 250 persone, in maggioranza bambini e donne, hanno perso la vita, moltissimi hanno subito traumi e ferite.
In questi giorni si sono alzate le temperature con la possibilità che il caldo aggiunga altre morti per la sete alla lunga lista di chi muore di fame e per la diffusione di malattie. Aumentano e si estendono le conseguenze della guerra, cresce la preoccupazione per gli ostaggi israeliani di cui non si conosce la reale situazione, nella sofferenza dei famigliari in attesa del loro ritorno.
Nelle città della Cisgiordania la mancanza di lavoro e la mancanza della possibilità di movimento hanno fatto salire i livelli di povertà. È umiliante per i genitori non poter soddisfare le necessità vitali dei propri figli, è umiliante l'impossibilità di poter sollevare dalle sofferenze i sopravvissuti.
La gente ha fame di cibo, di giustizia, di verità, di pace. Sarà difficile ricostruire la fiducia nel prossimo di chi ha subito tanta violenza. La speranza non ci abbandona, con l’aiuto di Dio vedremo la pace!