Critiche alla decisione di espandere le operazioni nella Striscia

Israele pronta
a occupare Gaza

TOPSHOT - Displaced Palestinians snatch bread loaves distributed by a charity kitchen at the ...
06 maggio 2025

di Roberto Paglialonga

È successo ciò che era nell’aria da tempo e che il governo di Benjamin Netanyahu, in più occasioni, aveva minacciato di fare. La decisione di «invadere Gaza», occupando l’enclave palestinese della Striscia, oggi desta l’indignazione della comunità internazionale e scuote i timori mai sopiti delle famiglie degli ostaggi ancora detenuti dagli islamisti.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si è subito detto «allarmato» dal piano israeliano che «porterà inevitabilmente a un numero incalcolabile di altri civili uccisi e ulteriori distruzioni». L’Unione europea, attraverso un portavoce, «esprime preoccupazione», «sollecita Israele a esercitare moderazione e ribadisce con chiarezza che il negoziato è l’unica via percorribile per il ritorno degli ostaggi e la fine delle ostilità». In entrambi i casi obiettivamente un po’ poco, se si considera che tra i punti sostanziali dell’operazione vi saranno nuovi spostamenti massicci di popolazione dal nord della Striscia verso le zone meridionali, e che da due mesi a questa parte gli aiuti umanitari sono bloccati da una decisione dell’esecutivo israeliano, accusato da più parti di usare la fame come arma di guerra. Senza dimenticare che ciò, di fatto, porrebbe probabilmente fine alla prospettiva dei due Stati.

Reazioni da parte di una popolazione sull’orlo dell’esasperazione sono giunte anche dall’opinione pubblica israeliana, in particolare dai membri delle famiglie degli ostaggi. Questi, all’annuncio del piano dell’esecutivo presentato ai ministri dal capo di Stato maggiore dell’Idf, Eyal Zamir, hanno raggiunto la Knesset per protestare e chiedere ai riservisti — frattanto richiamati a decine di migliaia dal governo — di rifiutarsi di combattere. Netanyahu, sostengono da tempo, ha scelto di sacrificare la vita dei loro parenti per una porzione di territorio.

La tensione, già elevata negli ultimi mesi di fronte a una guerra che non sta portando i risultati per i quali era stata avviata, è così tornata a salire. Tanto che alti ufficiali dell’esercito hanno pensato di rintuzzare le polemiche provando a fornire chiarimenti circa un progetto che «è sì ampio, ma comunque limitato», ed «esclude esplicitamente le aree dove si ritiene che ci possa essere presenza di ostaggi». Insomma, un’operazione che includerà una «presa di controllo di porzioni dell’area, ma non dell’intera Striscia, e bonifiche dei tunnel, di cui solo un quarto è stato finora neutralizzato».

Spiegazioni che non possono però convincere, dato quanto sta accadendo da 19 mesi a questa parte e dato lo stato di devastazione e macerie cui è stato ridotto il territorio palestinese. E a poco servono le precisazioni su un’offensiva che non inizierebbe immediatamente, ma solo dopo la conclusione del viaggio del presidente statunitense, Donald Trump nei Paesi del Golfo, dal 13 al 16 di maggio, e che dovrebbero servire per aprire una finestra temporale per tentare un accordo in extremis tra Israele a Hamas. Netanyahu ha lanciato un ultimatum al gruppo islamista: accettare la tregua e la liberazione dei sequestrati nei prossimi dieci giorni, altrimenti si scatenerà l’operazione “Carri di Gedeone”. Anche perché i ministri della destra religiosa estremista, che di fatto detengono una sorta di “golden share” sull’esecutivo, come il titolare delle Finanze, Bezalel Smotrich, continuano ad affermare che «Israele occuperà Gaza per restarci» e che il conflitto dovrebbe servire per ristabilire gli insediamenti israeliani smantellati nel 2005 con decisione unilaterale dall’allora premier, Ariel Sharon.

Nel frattempo, i negoziati sono nell’impasse («inutile parlare se Israele affama e stermina», attacca Hamas) e gli aiuti rimangono bloccati ai confini dell’enclave, riducendo la popolazione allo stremo. Israele prevede che la distribuzione debba avvenire attraverso società private per tagliare fuori i miliziani. E Trump promette di aiutare i palestinesi «ad avere cibo, perché sono affamati», puntando il dito contro Hamas «che li tratta molto male». Ma al momento nulla si muove.

Continuano invece i combattimenti. Anche stamattina 11 morti dopo raid a Gaza City e Beit Lahia. Ma Israele in poche ore ha attaccato su larga scala lo Yemen, assieme agli Usa, sganciando 50 bombe sul porto di Hodeidah, e uccidendo quattro persone in una fabbrica di cemento nella città di Bajil. E colpito anche obiettivi di Hezbollah nella zona del villaggio di Janta, nella regione della Bekaa, nell’est del Libano, vicino al confine con la Siria. Uno stato di conflittualità permanente che rischia di destabilizzare a lungo il Medio Oriente.