Nell’ultimo Novendiale la messa del cardinale Mamberti nella basilica Vaticana

Francesco fedele alla sua missione fino alla fine

 Francesco fedele  alla sua missione fino alla fine  QUO-102
05 maggio 2025

«Abbiamo tutti ammirato quanto Papa Francesco, animato dall’amore del Signore e portato dalla Sua grazia, sia stato fedele alla sua Missione fino all’estremo consumo delle sue forze»: lo ha detto il cardinale protodiacono Dominique Mamberti, presiedendo nella basilica Vaticana ieri pomeriggio, 4 maggio, iii domenica di Pasqua, la messa nel nono e ultimo giorno dei Novendiali. Dal porporato anche il ricordo «del coraggio e della determinazione» del compianto Pontefice a «servire il Popolo di Dio fino alla fine» e a proclamare all’umanità intera «la gioia del Vangelo». Alla celebrazione, svoltasi all’altare della Confessione, è stata invitata in particolare la Cappella papale. Hanno concelebrato anche i porporati presenti a Roma per le Congregazioni generali in vista del Conclave. Al momento della preghiera eucaristica, al celebrante principale si sono uniti all’altare i cardinali Giovanni Battista Re e Leonardo Sandri, rispettivamente decano e vice-decano del Collegio cardinalizio, insieme ai porporati Pietro Parolin e Marc Ouellet, entrambi dell’ordine dei vescovi. La liturgia della Parola, in lingua italiana, è stata scandita dalla prima Lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (5, 27b-32. 40b-41), dal Salmo 29 «Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato», e dalla seconda Lettura tratta dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 5, 11-14). Il Vangelo proclamato è stato quello di Giovanni (21, 1-19). Durante la preghiera dei fedeli, sono state elevate intenzioni per il defunto Papa Francesco, affinché il Signore lo «purifichi dalla fragilità umana e gli doni la ricompensa promessa ai Suoi servi fedeli»; e per la Chiesa, perché Dio Padre effonda su di essa lo Spirito Santo, «la custodisca nella fede della risurrezione e la conforti con la speranza della vita eterna». La celebrazione è stata animata dal coro della Cappella Sistina, diretto da monsignor Marcos Pavan. Ecco l’omelia del cardinale Mamberti.

Venerati Padri Cardinali,

cari fratelli nell’Episcopato

e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle,

La Liturgia della Parola di questo ultimo novendiale in suffragio di Papa Francesco e quella del giorno, la terza domenica di Pasqua e la pagina del Vangelo di Giovanni appena proclamata ci presenta l’incontro di Gesù risuscitato con alcuni Apostoli e discepoli presso il mare di Tiberiade, che si conclude con la Missione affidata a Pietro dal Signore e il comando di Gesù, «Seguimi!».

L’episodio rammenta quello della prima pesca miracolosa, narrato da Luca, quando Gesù aveva chiamato Simone, Giacomo e Giovanni, annunciando a Simone che sarebbe diventato pescatore di uomini. Da quel momento, Pietro l’aveva seguito, a volte nell’incomprensione e perfino nel tradimento, ma nell’incontro di oggi, ultimo prima del ritorno di Cristo presso il Padre, Pietro riceve da lui il compito di pascere il suo gregge.

L’amore è la parola chiave di questa pagina evangelica. Il primo a riconoscere Gesù è «il discepolo che Gesù amava», Giovanni, che esclama «È il Signore!», e Pietro subito si getta in mare per raggiungere il Maestro. Dopo che ebbero condiviso il cibo, ciò che avrà acceso nel cuore degli Apostoli il ricordo dell’ultima cena, inizia il dialogo tra Gesù e Pietro, la triplice domanda del Signore e la triplice risposta di Pietro.

Le due prime volte, Gesù adopera il verbo «amare», parola forte, mentre Pietro, memore del tradimento risponde con l’espressione «voler bene», meno impegnativa e la terza volta Gesù stesso usa l’espressione «voler bene», adeguandosi alla debolezza dell’Apostolo. Notava Papa Benedetto xvi commentando questo dialogo: «Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace. (…) È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. (…) Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto (…) e mostra così anche a noi la via».1

Nell’omelia della Messa per il xxv anniversario del suo Pontificato, san Giovanni Paolo ii confidava: «Oggi, cari fratelli e sorelle, mi è gradito condividere con voi un’esperienza che si prolunga ormai da un quarto di secolo. Ogni giorno si svolge all’interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (Gv 21, 17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato».2

Questa Missione è l’amore stesso, che si fa servizio alla Chiesa e a tutta l’umanità. Pietro e gli Apostoli l’hanno assunta subito, con la forza dello Spirito che avevano ricevuto alla Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: «Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù che voi avete ucciso appendendolo ad una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra, come capo e Salvatore».

Abbiamo tutti ammirato quanto Papa Francesco, animato dall’amore del Signore e portato dalla Sua grazia, sia stato fedele alla sua Missione fino all’estremo consumo delle sue forze. Ha ammonito i potenti che bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini e ha proclamato all’umanità intera la gioia del Vangelo, il Padre Misericordioso, Cristo Salvatore. L’ha fatto nel suo Magistero, nei suoi viaggi, nei suoi gesti, nel suo stile di vita. Ero vicino a lui il giorno di Pasqua, alla loggia delle benedizioni di questa Basilica, testimone della sua sofferenza, ma soprattutto del suo coraggio e della sua determinazione di servire il Popolo di Dio fino alla fine.

Nella seconda Lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, abbiamo ascoltato la lode che tutto l’universo rivolge a Colui che siede sul trono e all’Agnello: «Lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». E i quattro esseri viventi dicevano: “Amen”. E gli anziani si prostrarono in adorazione».

L’adorazione è una dimensione essenziale della missione della Chiesa e della vita dei fedeli. Papa Francesco lo ricordava spesso, come per esempio nell’omelia per la festa dell’Epifania dell’anno scorso: “I Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. (…) Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, ‘si prostrarono e lo adorarono’ (Mt 2, 11). (…) Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. (…) Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. (…). Manca l’adorazione oggi tra noi».3

Questa capacità che dà l’adorazione non era difficile da riconoscere in Papa Francesco. La sua intensa vita pastorale, i suoi innumerevoli incontri, erano fondati sui lunghi momenti di preghiera che la disciplina ignaziana aveva improntato in lui. Tante volte ci ha ricordato che la contemplazione è «un dinamismo d’amore» che «ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità».4 E tutto quanto egli faceva, lo faceva sotto lo sguardo di Maria. Ci rimarranno nella memoria e nel cuore le sue centoventisei soste davanti alla Salus Populi Romani. E ora che riposa vicino all’amata immagine, lo affidiamo con gratitudine e fiducia all’intercessione della Madre del Signore e Madre nostra.

1 Udienza generale, 24 maggio 2006

2 Omelia della S. Messa, 16 ottobre 2003

3 Omelia della S. Messa, 6 gennaio 2024

4Udienza alle Delegate delle Carmelitane Scalze, 18 aprile 2024.