Le elezioni pontificie da san Pietro a oggi

La Chiesa verso un nuovo
incontro con il Signore

 La Chiesa verso un nuovo  incontro con il Signore  QUO-101
03 maggio 2025

Con la costituzione “Ubi periculum”, votata dal secondo Concilio di Lione
il 7 luglio 1274 si aprì una nuova stagione nella storia:
veniva formalmente istituito il conclave


di Ambrogio M. Piazzoni

Una “elezione” propriamente detta, cioè una libera scelta, fu quella che Gesù di Nazaret manifestò nella regione di Cesarea di Filippo quando affidò a Pietro la missione di guidare la Chiesa, dopo che l’apostolo aveva proclamato la sua fede messianica. «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» sono le parole che il Vangelo secondo Matteo (Matteo 16, 18) utilizza per indicare il momento in cui Gesù cambia nome al discepolo Simone di Betsaida e con ciò stesso gli affida una missione precisa. La promessa della consegna delle «chiavi del regno dei cieli» che accompagna quell’episodio (Matteo 16, 19) e l’incarico di «pascere le pecorelle» (Giovanni 21, 15-17) esprimono nei Vangeli il “primato” di Pietro davanti agli altri discepoli e la sua responsabilità nella guida della Chiesa: «tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli», (Matteo 16, 19).

La comunità cristiana che si formò a Roma nei primi decenni dopo la morte e la resurrezione di Gesù si riconobbe fin dall’inizio come fondata da Pietro e da Paolo, e suggellata dal martirio che entrambi subirono in città fra il ‘64 e il ‘67; Pietro, l’apostolo direttamente scelto da Gesù, ne era il responsabile. La scelta dei suoi successori avvenne in modi analoghi a quelli che regolavano l’avvicendamento dei responsabili delle altre comunità cristiane che si andavano formando nelle città dell’Impero romano. Un processo graduale e diversificato da luogo a luogo, che vedeva la guida della comunità, impegnata nella predicazione e nella cura pastorale, affiancata da presbiteri e diaconi. Il successore veniva designato, approvato dalla comunità, e infine riconosciuto dai responsabili delle comunità vicine, in forme che non sappiamo definire con precisione ma che sottolineavano il ruolo centrale della comunità nella scelta del proprio pastore. Uno dei documenti più antichi che testimoniano le procedure di elezione dei vescovi è la Tradizione apostolica attribuita a Ippolito di Roma, risalente circa al 215 d.C. «Si ordini vescovo colui che è stato scelto da tutto il popolo», vi si legge, ma non si precisano i modi della scelta. Le accese discussioni riportate in alcune comunità al momento della successione vescovile fanno supporre che alla scelta partecipasse l’intera comunità cristiana, ma che non fosse richiesta l’unanimità. L’ordinazione del candidato eletto avveniva con l’«imposizione delle mani» da parte dei vescovi presenti, abitualmente quelli delle comunità vicine e durante la cerimonia il popolo, che aveva già operato la scelta, assisteva in silenzio invocando la discesa dello Spirito Santo sul candidato.

Queste procedure di elezione per i vescovi, e anche per il vescovo di Roma, furono stabili a lungo, e non subirono modifiche sostanziali nemmeno con la legalizzazione del cristianesimo nel 313 e la sua proclamazione come religione dell’Impero romano nel 380, fatti che portarono a un’ingerenza sempre maggiore degli imperatori nelle successioni vescovili, in particolare in quella di Roma. Se inizialmente l’intervento imperiale si limitava a prendere atto dell’elezione, come nel caso di Valentiniano ii con Papa Siricio nel 384, ben presto assunse un ruolo più attivo. Nel 420, l’imperatore Onorio emanò il primo decreto per regolamentare le procedure per la scelta del Papa, stabilendo che in caso di duplice elezione nessuno dei due eletti sarebbe stato riconosciuto, ma si sarebbe proceduto a una nuova elezione unanime. Per garantire la regolarità delle operazioni, fu prevista la presenza di un rappresentante imperiale alle elezioni papali.

Nel corso del v secolo, mentre Leone i Magno rafforzava la consapevolezza della derivazione diretta del primato della Chiesa di Roma da quello di Pietro, le procedure per l’inizio di un pontificato si precisarono di fatto riducendo la componente laica della comunità cristiana a una rappresentanza affidata alle persone più autorevoli della città. Con la deposizione dell’imperatore d’Occidente nel 476, la situazione si complicò. Il re degli Eruli Odoacre, arrogandosi le prerogative imperiali, pretese di influenzare le elezioni papali, e qualche anno più tardi il re degli Ostrogoti Teodorico intervenne dopo una nuova duplice elezione decidendo che sarebbe stato Papa colui che era stato eletto per primo o che aveva ottenuto la maggioranza dei voti.

Eletto fu Simmaco, che nel 499 operò il primo formale intervento di un Papa per regolamentare l’elezione dei propri successori stabilendo che sarebbe stato legittimo vescovo di Roma chi fosse stato eletto dal clero o, in caso di divisione, dalla sua maggioranza. La conferma della necessità di una maggioranza (come aveva stabilito Teodorico correggendo l’unanimità prevista da Onorio) era il riconoscimento di una situazione di fatto che molte volte si era creata. Vera novità fu invece l’idea che ad eleggere il vescovo di Roma potesse essere un corpo ristretto e determinato di elettori, composto dal solo clero, e non l’insieme dei fedeli della città.

Con il ritorno dei Bizantini a Ravenna l’imperatore Giustiniano, riorganizzando il governo nell’Italia ormai riconquistata ai Goti, promulgò nel 554 la Prammatica sanzione, che concedeva privilegi al Papa, ma al contempo prevedeva che la sua elezione dovesse essere confermata dall’imperatore. Una delle conseguenze fu l’allungarsi della durata dei periodi di sede vacante, con il neo-eletto Papa costretto ad attendere l’approvazione da Bisanzio. La distanza geografica, la lentezza delle comunicazioni, gli intrighi di palazzo e le manovre politiche contribuirono a prolungare significativamente i tempi di attesa. La situazione si modificò nel 685 quando l’imperatore Costantino iv affidò la ratifica dell’elezione all’esarca, il suo rappresentante in Italia che risiedeva a Ravenna. Un cambiamento che, se da un lato facilitò le cose, dall’altro segnò un diminuito interesse imperiale e un progressivo allentamento dei legami tra il papato e l’Oriente.

L’viii secolo vide il definitivo orientamento della politica papale verso l’Occidente, con l’appoggio dei Franchi e la rinascita di un Impero che sarebbe stato detto sacro e romano. Gli imperatori carolingi intervennero variamente nelle elezioni pontificie, in particolare con la Costituzione Romana di Lotario nell’824, che restituì ai laici romani il diritto di partecipare alle elezioni insieme al clero e rese obbligatoria la presenza degli ambasciatori imperiali. Con la fine dei Carolingi e la crisi dell’impero, il papato finì sotto il controllo dell’aristocrazia romana, per poi essere nuovamente soggetto all’approvazione imperiale con la rinascita del Sacro Romano Impero ad opera degli Ottoni nel x secolo. Il papato cercò di liberarsi da questa tutela, ma gli imperatori sassoni continuarono a intervenire nelle elezioni, spesso imponendo i propri candidati.

Nonostante le turbolenze e le ingerenze esterne, nel secolo xi si fece strada un forte desiderio di riforma della Chiesa, sostenuto da ambienti monastici e laicali. Un ruolo decisivo in questo processo fu assunto dal re di Germania, e per ciò stesso candidato imperatore, Enrico iii, che nel 1046 depose i tre Papi che si affrontavano e si riservò il diritto di indicare il candidato all’elezione papale. L’imperatore designò e fece eleggere quattro Papi tedeschi riformatori, ma l’elezione di Leone ix nel 1049 segnò un punto di svolta. Si trattava di Brunone vescovo di Toul, che accettò la designazione a condizione di essere liberamente scelto da parte del clero e del popolo romano. Solo allora si recò a Roma, senza sfarzo e senza esercito, accompagnato da pochi amici, vestito da pellegrino. La sua decisione di sottomettersi al volere della comunità cristiana di Roma mostra l’importanza che attribuiva anche alle modalità della scelta del Papa. La guida della riforma della Chiesa venne con lui assunta direttamente dal papato, che si batté per l’ideale della libertas ecclesiae. Strumenti importanti di questa azione furono la riflessione sul primato petrino e la stretta collaborazione di un gruppo di consiglieri sinceramente riformisti che costituirono il collegio dei cardinali, antica istituzione che venne dotata di nuovi contenuti. Dalla saldatura tra gli ideali della riforma e la tradizione della teologia del primato derivò una conseguenza significativa, la convinzione che l’affermazione del primato papale fosse mezzo sicuro per una rigenerazione della Chiesa e dell’intera società. In un tale contesto fu ovvio il tentativo di sottrarre la questione dell’elezione del Papa al controllo laicale, che avvenne non appena le condizioni generali lo consentirono.

Fu così che Papa Niccolò ii, Gerardo di Borgogna, nel sinodo convocato in Laterano dopo la Pasqua 1059, promulgò, con la bolla In nomine Domini, un decreto che fissava nuove regole per l’elezione del pontefice: il diritto di eleggere il Papa veniva attribuito ai cardinali vescovi (con il successivo intervento degli altri cardinali, del clero e del popolo romano) e la loro libertà di scelta era protetta dalla disposizione che prevedeva per essi la possibilità di riunirsi e procedere all’elezione anche fuori Roma, nel caso di difficoltà. Con la drastica diminuzione del corpo elettorale, l’elezione veniva di fatto sottratta al potere laicale, sottolineando la natura gerarchica dell’autorità ecclesiastica. Il decreto specificò che il Papa eletto deteneva immediatamente i pieni poteri, indipendentemente dall’insediamento fisico a Roma, e definì il ruolo del collegio cardinalizio durante la sede vacante, stabilendo che la Chiesa di Roma si identificava con il luogo in cui i cardinali si trovavano.

L’assenza nel decreto di Niccolò ii dell’indicazione di un numero minimo di voti richiesti portò alla frequente comparsa di doppie elezioni e alla nomina di antipapi. In un secolo, si contarono undici antipapi accanto a quattordici Papi legittimi, che riflettevano le divisioni interne al collegio cardinalizio e le strumentalizzazioni politiche, specialmente durante le tensioni tra il papato e l’imperatore Federico i Barbarossa. Per risolvere queste dispute, Papa Alessandro iii introdusse nuove regole nel 1179 con il decreto Licet de evitanda discordia, approvato durante il Concilio Lateranense iii. Al fine dunque di «evitare discordie» si stabiliva che solo i cardinali, senza distinzioni di grado, potevano eleggere il Papa e che l’elezione richiedeva la maggioranza dei due terzi dei votanti. La norma che l’elezione fosse l’atto giuridico fondante dell’ufficio papale rimase invariata.

Le nuove regole portarono a un periodo senza antipapi e, nonostante la necessità della maggioranza dei due terzi, le elezioni divennero spesso rapide come ad esempio quella di Innocenzo iii nel 1198. In quella occasione, vennero anche introdotte due novità: la recita di un’orazione per l’elezione del pontefice e l’uso di schede elettorali per il voto scritto. Tuttavia, in alcune occasioni, i cardinali incontrarono difficoltà nel raggiungere un accordo, prolungando le elezioni per mesi. Furono adottate misure come la reclusione dei cardinali e la procedura di elezione «per compromissum», in cui la scelta veniva delegata a un gruppo ristretto di cardinali, per accelerare il processo decisionale. L’elezione di Innocenzo iv nel 1243 richiese più di diciannove mesi, spingendolo a stabilire che le procedure elettorali potessero iniziare immediatamente nel luogo della morte del pontefice. La sede vacante dopo la morte di Clemente iv nel 1268 durò addirittura trentatré mesi. Questo periodo fu segnato dalla decisione dei cardinali di rinchiudersi volontariamente nel palazzo papale di Viterbo; per questo stipularono accordi con le autorità del Comune di Viterbo per garantire la tranquillità dei reclusi e per assicurare il funzionamento della curia pontificia. Noto è l’episodio in cui i cittadini scoperchiarono il tetto del palazzo per sollecitare una decisione. Il tetto fu riparato dopo due settimane, ma ancora quasi un anno trascorse prima che l’elezione si concludesse per compromissum affidato a sei cardinali con la scelta di Tedaldo Visconti, arcidiacono di Liegi, che al momento dell’elezione si trovava in Terra Santa e che prese il nome di Gregorio x. A lui si deve la costituzione Ubi periculum, votata dal secondo Concilio di Lione il 7 luglio 1274, con la quale si aprì una nuova stagione nella storia delle elezioni pontificie, con l’istituzione del conclave.

Questa normativa mirava a garantire un’elezione libera da ingerenze esterne e a evitare prolungati periodi di sede vacante. Si stabiliva che i cardinali si riunissero in un luogo chiuso, senza contatti con l’esterno, conducendo una vita comune e dedicandosi esclusivamente all’elezione. Il nutrimento dei reclusi sarebbe stato progressivamente ridotto con il passare dei giorni, l’amministrazione dei beni dei cardinali sarebbe stata affidata al camerlengo e le relative entrate da questi requisite sarebbero state consegnate al futuro pontefice. La Ubi periculum esortava inoltre i cardinali a mettere da parte interessi personali e conflitti, concentrandosi unicamente sul bene della Chiesa, e ribadiva l’invalidità di qualsiasi accordo volto a influenzare l’elezione.

Il primo conclave propriamente detto si tenne ad Arezzo nel 1276, seguendo le nuove regole, e portò all’elezione di Innocenzo v in un solo giorno. Tuttavia, l’attuazione della Ubi periculum incontrò resistenze da parte dei cardinali e fu più volte sospesa e reintrodotta, diventando definitiva solo dopo vent’anni. Nonostante ciò, le sedi vacanti continuarono a verificarsi per diversi mesi, come nel caso dell’elezione di Celestino v nel 1294, che spinse quest’ultimo a intervenire sulla questione della durata delle sedi vacanti. Rimise in vigore le norme sul conclave e stabilì che avrebbero dovuto essere osservate anche in caso di abdicazione. Tre giorni più tardi, davanti ai cardinali riuniti, lesse la formula della propria rinuncia, depose le insegne pontificie e chiese ai cardinali di procedere al più presto all’elezione di un nuovo Papa. Cosa che avvenne: dopo dieci giorni ebbe inizio, nelle dovute forme previste dalla Ubi periculum, un conclave che in meno di ventiquattr’ore elesse papa Bonifacio viii.

Le norme rimasero in vigore anche durante la permanenza dei pontefici ad Avignone nel xiv secolo. Nei settant’anni del periodo avignonese, le elezioni si svolsero in conclave secondo regole modificate solo in aspetti pratici secondari, come la mitigazione delle norme alimentari e l’abolizione del dormitorio comune. Il ritorno dei Papi a Roma nel 1378 portò nuove tensioni fra i cardinali, che condussero al cosiddetto grande scisma d’Occidente. Per quasi quarant’anni, Papi e antipapi si contesero il titolo e l’obbedienza della Chiesa, mentre nella riflessione sul significato del papato e della sua funzione i teorici del conciliarismo sostenevano che l’autorità suprema della Chiesa risiedesse nell’insieme dei vescovi riuniti in concilio.

Dopo vari tentativi di concilio a Pisa, Perpignan e Cividale, il concilio che si riunì a Costanza nel 1414 riuscì a ottenere la rinuncia dei vari Papi e, nel 1417, elesse Martino v, riconosciuto da tutti. La sua elezione avvenne ad opera dei cardinali e di rappresentanti delle varie nazioni presenti al concilio. Dal successivo conclave del 1431, alla morte di Martino, si ritornò alla elezione da parte dei soli cardinali. Ci fu ancora un antipapa, Felice v, eletto irregolarmente nel 1439, che rinunciò l’anno successivo.

Una nuova stagione si aprì per la storia della Chiesa, caratterizzata da problemi nel rapporto tra Papa e concilio, e dalla drammatica separazione della Chiesa con il movimento della riforma che nella prima metà del xvi secolo portò alla costituzione della chiesa luterana e di altre chiese protestanti, e al rinnovamento della Chiesa cattolica. Nella seconda metà del xvi secolo, il Concilio di Trento divenne il punto focale per le istanze della riforma cattolica e della controriforma cattolica.

Nel periodo ci furono anche interventi nelle procedure relative all’elezione dei pontefici. Nel 1562, Pio iv emanò la bolla In eligendis ecclesiarum praelatis, che, tra l’altro, impose uno scrutinio giornaliero e definì i quattro modi possibili per la procedura elettorale: per ispirazione, per compromesso, per scrutinio o per accesso.

Anche successivamente diversi furono gli interventi, i più significativi dei quali furono quello di Sisto v che nel 1586 fissò il numero dei cardinali a settanta, come gli anziani del popolo di Israele (e il numero rimase stabile fino al xx secolo) e quello di Gregorio xv che, con la bolla Aeterni patris del 1621, introdusse il voto segreto, confermando la necessità della maggioranza dei due terzi. Fu quindi necessario elaborare una scheda che garantisse l’anonimato e impedisse la votazione per se stessi. Un altro documento di Gregorio xv, la costituzione Decet Romanum Pontificem del 1622, ribadiva l’importanza dell’aspetto religioso del conclave, escludendo gli influssi politici e specificando fin nei dettagli le norme promulgate quattro mesi prima. Queste disposizioni rimasero in vigore fino all’inizio del xx secolo.

Nel frattempo vennero prodotte anche legislazioni che si possono definire di emergenza, in momenti particolarmente complicati, come quelle emanate da Pio vi, prigioniero di Napoleone in Francia, da Gregorio xvi che ipotizzò scenari difficili, da Pio ix tra il 1871 e il 1877, quando si temeva per l’autonomia del Papa, che si definiva «prigioniero in Vaticano» dopo la nascita del Regno d’Italia.

Nel secolo xx si segnalano gli interventi di Pio x, che nel 1904 riuscì a sopprimere il cosiddetto diritto di esclusiva delle potenze cattoliche europee anche prevedendo la scomunica per i cardinali che avessero dato notizia ai colleghi di un veto da parte di autorità laiche e, con altro documento dello stesso anno, abolì il sistema elettorale del cosiddetto “accesso” raddoppiando il numero delle votazioni quotidiane. Nel 1917 venne emanato da Benedetto xv il Codex Iuris Canonici che si occupava anche delle elezioni pontificie senza novità particolari, ma significativamente confermando che esse erano esclusivamente affidate al collegio cardinalizio, anche nel caso ci si trovasse in presenza di un concilio ecumenico, il quale era da considerarsi sciolto al momento stesso della morte del Papa. Si precisava poi che in occasione del conclave avrebbero avuto diritto di partecipazione a pieno titolo anche i cardinali eventualmente scomunicati o interdetti o sospesi. Pio xi intervenne nella legislazione relativa al conclave con il motu proprio Cum proxime del 1922, con il quale stabilì di attendere non dieci, ma quindici giorni dalla morte del pontefice prima di iniziare il conclave, per permettere la partecipazione anche dei cardinali provenienti da Paesi lontani. Le stesse norme vennero ribadite più solennemente nella costituzione apostolica Quae divinitus de 1935, stesa quasi a conferma della prerogativa papale di legiferare in materia di conclave. Nuove procedure furono emanate da Pio xii con la costituzione Vacantis Apostolicae Sedis del 1945. Si dispose che ai due terzi dei consensi, che dal tempo di Alessandro iii erano richiesti per la validità dell’elezione, si dovesse per prudenza aggiungere un altro voto. Quel prescritto voto in più avrebbe reso superfluo il controllo della scheda dell’eletto nel caso si fosse raggiunto il minimo esatto dei voti richiesti, controllo resosi in realtà necessario una sola volta, nel conclave del 1914 per Benedetto xv. Di conseguenza, venne cancellato il complicato sistema di personalizzare le schede elettorali con un motto scelto da ciascun elettore. La costituzione regolò anche con precisione il funzionamento dell’apparato centrale della Chiesa nel periodo di vacanza della sede. Oltre ad alcuni interventi significativi nella composizione del collegio dei cardinali (che superarono il numero di 70 stabilito alla fine del ‘500), Giovanni xxiii, con la Summi Pontificis electio del 1962, alla vigilia del Concilio Vaticano ii, intervenne in modo diretto sull’istituto del conclave, con cambiamenti che tendevano a togliere dal quadro complessivo del conclave quell’aspetto, forse un po’ paradossale, di malcelata sfiducia nei confronti del corpo elettorale. Il segreto circa l’andamento degli scrutini, ad esempio, non fu mitigato, ma venne esplicitamente riconosciuta al nuovo Papa la possibilità di consentirne la divulgazione. Fu ripristinata anche la conservazione dei verbali degli scrutini che, chiusi in buste sigillate, sarebbero stati conservati in archivio, consultabili solo con il permesso del pontefice; solo le schede elettorali avrebbero dovuto essere bruciate. Erano così insieme garantite la segretezza e la possibilità, in futuro, di un esame degli avvenimenti. Fu riportata alla tradizionale soglia dei due terzi la maggioranza dei voti necessari all’elezione, eventualmente arrotondata all’unità superiore nel caso il numero dei partecipanti non fosse divisibile per tre (abolendo così il voto in più richiesto da Pio xii) e furono ridotte le situazioni nelle quali i partecipanti al conclave sarebbero incorsi per ciò stesso nella scomunica.

Dopo il Concilio Vaticano ii, significative furono le disposizioni di Paolo vi: il motu proprio Ingravescentem aetatem del 1970 fissò al compimento dell’ottantesimo anno di età la data oltre la quale i cardinali non possono più partecipare al conclave e la costituzione apostolica Romano Pontifici eligendo del 1975, con la quale il Papa intervenne in modo organico sulla questione. Anzitutto ribadì il principio fondamentale che «l’elezione del pontefice romano è, secondo l’antica tradizione, di competenza della Chiesa di Roma, cioè del sacro collegio dei cardinali, che la rappresentano» e non spetta ai rappresentanti della Chiesa universale. Attorno a questo principio, che possiede e conserva una valenza teologica ed ecclesiologica radicata nelle origini stesse del papato, si snodano poi le varie norme per regolare la sede vacante e il conclave. Acquista così un particolare significato il cenno alla partecipazione universale della Chiesa, chiamata tutta a essere unita, spiritualmente e con la preghiera, ai cardinali in conclave: «così l’elezione del nuovo pontefice — recita la costituzione — non sarà un fatto isolato dal Popolo di Dio e riguardante il solo collegio degli elettori, ma, in un certo senso, un’azione di tutta la Chiesa».

Fu rimessa in vigore la maggioranza dei due terzi dei voti più uno (introdotta da Pio xii e abolita da Giovanni xxiii) e soprattutto venne creata la possibilità, dopo oltre trenta scrutini senza esito valido, che i cardinali potessero decidere per l’uso di criteri differenti, come la semplice maggioranza dei voti più uno o il ballottaggio fra due candidati, o la tradizionale forma del compromesso. Rilevante fu anche l’introduzione, dopo tre giorni di scrutini e anche successivamente, di pause di preghiera e «libero colloquio tra i votanti». Tra le novità vanno ancora segnalate l’abolizione, salvo casi affatto eccezionali, dei conclavisti, e la precisazione che l’eletto è immediatamente vero Papa nel momento in cui manifesta il proprio consenso se è già insignito della dignità episcopale, altrimenti deve essere subito consacrato vescovo. Fu inoltre stabilito in centoventi il numero massimo dei cardinali elettori, confermando per gli ultraottantenni l’esclusione dal conclave.

La costituzione apostolica Universi dominici gregis emanata nella festa della cattedra di san Pietro (22 febbraio) del 1996 da Giovanni Paolo ii è quella che regola oggi le procedure per l’elezione del pontefice (con un piccolo ma importante intervento di Benedetto xvi) e i lettori sono certamente già bene informati perché tutti i mezzi di comunicazione ne hanno parlato in questi giorni di sede vacante che precedono il conclave. Ci si limita quindi in questa sede a pochi cenni sugli aspetti più significativi. Anzitutto è interessante osservare un’affermazione posta nella premessa del documento, quella cioè del «dovere» di emanare e aggiornare costantemente le norme che regolano la successione alla Chiesa di Roma al fine di adeguarle ognora alla concreta situazione nella quale vive la Chiesa. Accanto a questa dichiarazione di principio, significativa è anche la sottolineatura che quella normativa entra in vigore nel momento in cui la sede romana è vacante «per qualsiasi motivo». Non è, per sé, un’affermazione nuova. La vacanza della sede apostolica per cause diverse da quella naturale della morte del pontefice si è varie volte presentata nel corso della storia: almeno cinque furono i Papi che diedero le dimissioni e, in tempi moderni, pare che a questa possibilità abbiano pensato anche Pio xii e Paolo vi e soprattutto, come i lettori certamente sanno, il successore di Giovanni Paolo ii, Papa Benedetto xvi, decise di rinunciare al pontificato nel 2013.

La prima grande novità della Universi dominici gregis è che il luogo dell’elezione è fissato in Vaticano e più precisamente nella Cappella Sistina, un tempio «dove tutto aiuta ad alimentare la coscienza della presenza di Dio». Nuova è anche la determinazione del luogo in cui i cardinali dimoreranno durante il conclave, non più in alloggi provvisori ma negli ambienti della Domus Sanctae Marthae; non essendo questa adiacente alla Cappella Sistina, i cardinali vi si possono recare a piedi o vi devono essere trasportati da alcuni autobus attraverso percorsi che garantiscano la prescritta clausura. Di rilievo è anche la soppressione dei due tradizionali metodi della “ispirazione” e del “compromesso” e l’unico sistema elettorale rimasto in vigore è lo scrutinio, cioè il voto segreto espresso per iscritto singolarmente da ogni elettore. Sono state perfezionate le norme già introdotte nel 1975 sull’alternanza di giorni di pausa, destinati alla preghiera e al «libero colloquio» tra gli elettori, e giorni di votazione. Nei primi trentaquattro scrutini (che si debbono svolgere entro dodici giorni) è obbligatorio raggiungere la tradizionale maggioranza dei due terzi, con arrotondamento all’unità superiore nel caso di numero totale non divisibile per tre. Dal tredicesimo giorno di conclave i cardinali possono, a maggioranza assoluta (ma non necessariamente unanime), decidere come continuare le votazioni, che in ogni caso dovranno avvenire per scrutinio scritto e segreto. Si potrebbe continuare alla ricerca del consenso dei due terzi oppure si potrebbe optare per il ballottaggio fra chi ha ottenuto il maggior numero di voti oppure potrebbe essere richiesta solo la maggioranza assoluta. Nonostante si tratti di un’ipotesi relativamente remota, considerato che da molto tempo non si svolgono più tanti scrutini, con la Universi dominici gregis di Giovanni Paolo ii nacque la possibilità che un pontefice potesse essere eletto con un numero di voti inferiore ai due terzi, maggioranza sempre mantenuta da quando Alessandro iii la fissò nel 1179.

Su questo punto è intervenuto Benedetto xvi con due documenti, la Lettera apostolica De aliquibus mutationibus in normis de electione Romani Pontificis dell’11 giugno 2007 e la Lettera apostolica Normas Nonnullas del 22 febbraio 2013 (una settimana prima delle sue dimissioni), che hanno ripristinato in modo assoluto la necessità della maggioranza dei due terzi degli elettori anche nel caso, previsto, che il Collegio dei Cardinali decida di proseguire nella forma del ballottaggio fra due soli candidati. Infine si deve ricordare che Francesco non è intervenuto nella legislazione del conclave, ma ha introdotto varie modifiche nell’Ordo Exsequiarum.

Dopo quasi venti secoli da quando Pietro di Betsaida ricevette da Gesù di Nazaret il compito di guidare la Chiesa, molte cose sono cambiate. Il corpo elettorale, cioè l’insieme di coloro che scelgono il Papa, si è molto modificato nel corso del tempo, e dalle elezioni da parte dell’intera (e all’origine esigua) comunità cristiana di Roma si è passati a quelle affidate a un gruppo ristretto di elettori, i cardinali, talvolta solo ad alcuni fra loro. Si sono notevolmente differenziate anche le procedure, e da una pubblica discussione di tipo assembleare si è giunti alle norme, più o meno rigidamente applicate, del conclave. E tutto questo attraverso contrasti talvolta molto vivaci, con l’intervento di varie forze estranee, con elezioni di candidati imposti da imperatori o signori potenti e altre svoltesi nell’assoluta libertà degli elettori; vi sono stati Papi eletti all’unanimità e periodi in cui Papi e antipapi si sono contesi l’obbedienza della Chiesa. I secoli trascorsi lasciano alle spalle una storia di numerosi e travagliati cambiamenti delle forme di elezione del Papa, ma affidano al futuro il senso della costante e immutata missione di Pietro e dei suoi successori, guidare la Chiesa verso un nuovo incontro con il suo Signore.