Un volto, una storia Dall’Armenia, all’Ucraina e all’Italia

Le tre vite di Khanum

 Le tre vite  di Khanum  ODS-032
17 maggio 2025

di Khanum

Mi chiamo Khanum, sono nata in Armenia, un piccolo e antico Paese del Caucaso meridionale, tra Turchia, Georgia, Azerbaigian e Iran. La civiltà armena è una delle più antiche del mondo.

L’Armenia è stato il primo Paese ad adottare il cristianesimo come religione di Stato, nel 301 dopo Cristo. Ha una storia millenaria e un popolo forte e resiliente, che è sopravvissuto al genocidio del 1915. Il 24 aprile si commemora il 110° anniversario del Genocidio armeno: lo sterminio sistematico del mio popolo organizzato dall’Impero Ottomano: oltre un milione e mezzo di persone furono uccise e centinaia di migliaia divennero rifugiati.

Oggi l’Amenia deve affrontare numerose sfide: nel 2020-2023 la guerra scatenata dall’Azerbaigian contro la popolazione dell’Artsakh (il Nagorno Karabakh) ha costretto 150.000 persone a lasciare le proprie case. Oggi in Artsakh non ci sono più armeni.

I villaggi armeni vengono cancellati dalla faccia della terra, le chiese distrutte, trasformate in moschee o la loro storia viene riscritta, spacciandole per chiese albane o udi.

Inoltre, il Paese si trova ad affrontare gravi difficoltà economiche, mentre gli attacchi da parte dell’Azerbaigian e della Turchia continuano a minacciare la sovranità nazionale. Sui social media e nei media locali vengono pubblicati video che testimoniano i continui bombardamenti dei centri abitati armeni da parte dell’Azerbaigian (come, è successo anche il 13 aprile scorso).

Nel 2000 la mia famiglia ha deciso di trasferirsi in Ucraina in cerca di sicurezza e stabilità. È stata una scelta difficile, ma importante. L’Ucraina è diventata per me una seconda casa, il Paese in cui sono cresciuta, ho studiato e mi sono formata come persona. È un Paese bellissimo, con una storia ricca, persone ospitali e uno spirito forte.

Il 24 febbraio 2022, quando è iniziata la guerra, mi trovavo a Kyiv. Il rumore delle bombe, il caos, la paura mi hanno spinta a lasciare la città.

Per fuggire dalla guerra, mi sono trasferita a ovest, nella regione della Transcarpazia, dove sono rimasta per un mese. È stato un periodo di grande incertezza. Alla fine ho deciso di lasciare l’Ucraina e partire per l’Italia. È stato un viaggio difficile, che mi ha messa alla prova sia fisicamente che emotivamente. È successo tutto così in fretta che la mia vita è cambiata nel giro di poche ore. Ancora oggi cerco di comprendere ciò che è accaduto.

Vivo a Roma da tre anni e il mio processo di adattamento in questo nuovo Paese continua. Sto ancora cercando risposte a molte domande e continuo a crescere come persona. So che l’Armenia, mia terra natale, l’Ucraina, il Paese dove sono cresciuta, e l’Italia, il luogo dove ho trovato rifugio, fanno parte di me.

Tre Paesi, tre identità diverse.

Ognuno di essi ha lasciato un segno dentro di me.

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Fa più scandalo un container pieno di automobili bloccato sulla banchina di un porto, piuttosto che milioni di persone alle quali viene impedito di raggiungere un luogo sicuro dove ricominciare a vivere.

Davvero le merci sono più importanti delle persone? Purtroppo, gran parte del dibattito pubblico degli ultimi mesi sembra proprio confermarlo. Si parla di dazi e contro dazi per salvare le bilance commerciali, mentre continuano le guerre in Ucraina, in Palestina, in Israele, nella Repubblica Democratica del Congo e si accendono nuovi focolai di quella che Papa Francesco definiva «la terza guerra mondiale a pezzi». Anzi, senza pudore si parla di riarmo, si inaspriscono le politiche di respingimento dei migranti e si complicano le procedure anziché favorire vie legali di accoglienza e di inclusione.

L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima in oltre 122 milioni — la metà delle quali minori — le persone nel mondo costrette alla migrazione forzata a causa di guerre, violazioni dei diritti, persecuzioni, disuguaglianze e crisi climatiche. Khanum è una di queste. Con la famiglia ha lasciato l’Armenia e si è stabilita in Ucraina. Poi la guerra e la fuga in Italia.

Khanum ha raccontato la sua storia introducendo l’8 aprile la presentazione del rapporto 2025 del Centro Astalli, il braccio italiano del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, che da quarant’anni è impegnato nell’accompagnare, servire e difendere i diritti di chi è in fuga da violenze e non di rado anche dalla tortura (sul sito www.centroastalli.it il testo integrale del rapporto).

Le persone non sono numeri, ma, quando si parla di fenomeni sociali, i numeri sono persone. Perciò, per affrontare seriamente una questione epocale come quella delle migrazioni, occorre che la politica ritrovi il senso di umanità, guardando gli occhi delle persone e ascoltando la loro storia, come ha sottolineato il cardinale Baldo Reina, vicario generale del Papa per la diocesi di Roma, che ha presentato il rapporto insieme con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. Oggi, per tutti noi, sono gli occhi e la storia di Khanum. (piero di domenicantonio)