Dal Congo al Portogallo
tutte le strade
portano a Francesco

 Dal Congo al Portogallo tutte le strade portano a Francesco  QUO-096
26 aprile 2025

di Maria Helena Sequeira
e Edoardo Giribaldi

«Tutte le strade portano a Roma», si dice. E oggi, nella Città Eterna, il mondo intero sembra farsi pellegrino, percorrendo i sentieri tracciati da un Papa venuto «dalla fine del mondo», che ha camminato consumando le suole di semplici scarpe nere, quelle stesse, consunte, con cui ha chiesto di essere sepolto.

È l’alba. L’ora fragile in cui la notte si attarda e l’aurora, timida, sfiora i palazzi di via della Conciliazione. La luce nuova, riflessa sui marmi e sulle facciate, accende dolcemente i volti dei fedeli, accorsi per l’ultimo saluto a Papa Francesco, tornato alla Casa del Padre lunedì 21 aprile. Alcuni si svegliano ora, stretti nei sacchi a pelo, lungo i marciapiedi.

Le vie intorno alla basilica si fanno fiume di lingue, di dialetti, di bandiere indossate a mo’ di mantelli. Un atlante umano, aperto sotto il cielo. Francesco si sarebbe seduto qui, forse accanto a Beatrice, senzatetto, capelli biondi scoloriti, la schiena appoggiata a un portone, un sacco a pelo arrotolato alle ginocchia. Espira lunghe nuvole di fumo. Delle persone vede solo gambe frettolose, scarpe impazienti. Le osserva con mite disincanto. Sorride, quando a transitare sono i rumorosi adolescenti accorsi a Roma per il Giubileo a loro dedicato.

Tra i vari gruppi presenti, anche le giovani portoghesi della parrocchia di Ericeira e Carvoeira, sicure che la tristezza unirà i fedeli di tutto il mondo e «porterà più adolescenti a Roma in questo anno giubilare», dice Margarida. «Papa Francesco ha unito le persone per il suo messaggio di speranza e di attenzione verso i più bisognosi». «Sì, ha unito cattolici e non cattolici» condividono Manuel e Maria. In effetti, i giovani sentono la fede nella sua concretezza e, come il Papa, desiderano vivere in un mondo migliore. Credono che ora, dall’alto, si prenda cura di tutti e sono felici al pensiero di potergli parlare idealmente: «Vorrei chiedergli di occuparsi dei Paesi in guerra, ancora di più ora che è in cielo, in modo da aiutare le persone che soffrono e dare loro la speranza che manca», aggiunge Margarida. «Spero che Papa Francesco possa aiutarmi a trovare ancora di più la mia fede interiore, aiutarmi ad essere una persona migliore», esclama Diana tra sorrisi sinceri.

Un coro di voci gospel dalla Repubblica Democratica del Congo intona Amazing Grace, intrecciando note e speranza. Il Papa «ci dava forza per andare avanti, nonostante le brutture», sussurra Jeanette, una mano a coprire il pianto. «Abbiamo bisogno che si parli della guerra. Che il mondo sappia», aggiunge Kenneth. I recenti sviluppi parlano di tregua che potrebbe portare a una pace duratura, tanto agognata dal Papa. «Noi speriamo. A Francesco saremo sempre grati». La fine delle ostilità, come unico orizzonte, unisce ogni voce.

Alcune storie vanno cercate, altre vengono incontro. «Siete giornalisti?», domanda Madeleine, occhi segnati dal sonno, due figlie gemelle abbracciate ai fianchi. Viene da Aix-en-Provence, in Francia, e ha percorso centinaia di chilometri per dire grazie. Grazie per una frase che, da anni, custodisce nel cuore: rivolta da Francesco a un bambino, Emanuele, che piangeva un padre ateo e temeva di averlo perso per sempre. «Dio è fiero del tuo papà... Dio ha un cuore di papà. Tuo papà era un brav’uomo. È in cielo, stai sicuro», aveva detto il Papa. Madeleine la ripete, senza tremare, come una preghiera già detta infinite volte. Sorride. Si allontana lieve. Da ogni angolo del mondo ci si è messi in cammino, per il Papa che sapeva parlare ai lontani della fede. E farli restare. Come Sienna, ventiseienne di Berlino, che venerdì scorso, ai media vaticani, aveva raccontato della sua Fomo, quella Fear of Missing Out che oggi si fa fame di presenza. Sarebbe dovuta ripartire. Invece è rimasta. Perché essere qui non è la fine: è un inizio. Come il cammino tracciato da Francesco, capace di unire la fine del mondo al suo centro.

La cerimonia termina, la processione verso Santa Maria Maggiore si muove lenta, come una preghiera che cammina. Un passaggio dello scrittore argentino Jorge Luis Borges,citato spesso dal Papa, oggi suona come un testamento: «Ringraziare voglio... per Whitman e Francesco d’Assisi che scrissero già questa poesia, per il fatto che questa poesia è inesauribile e si confonde con la somma delle creature e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini».