L’attentato più grave dal 2000 compiuto dai ribelli nel territorio indiano conteso

Strage di turisti
nel Kashmir: 28 morti
Nuove tensioni
con il Pakistan

epa12048500 Family members grieve during the funeral of Adil Hussain Shah in Hapatnur, Anantnag ...
23 aprile 2025

di Paolo Affatato

Un attacco terroristico nel Kashmir indiano riaccende le tensioni tra India e Pakistan. Il 22 aprile un gruppo di ribelli armati ha fatto strage di turisti nella pittoresca località turistica di Pahalgam, uccidendo 28 persone e alimentando i timori di un’escalation tra India e Pakistan, da 70 anni in disputa per la regione contesa. L’attacco, il più grave dal 2000 per il numero di vittime, è avvenuto nel pieno della stagione turistica, che vede migliaia di persone, soprattutto indiani, recarsi nella regione, che resta attraversata dalla ribellione armata.

Il ministro degli Interni indiano, Amit Shah, insieme con i massimi vertici della sicurezza nazionale, è giunto in Kashmir, e il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha interrotto la sua visita in Arabia Saudita per tornare a New Delhi e presiedere un summit di emergenza.

Pahalgam, che in lingua kashmiri significa «valle dei pastori», è una località verdeggiante nota come “mini-Svizzera”, una delle destinazioni turistiche più visitate della regione, situata a circa 50 chilometri dalla città principale, Rinagar. Gli aggressori hanno aperto il fuoco indiscriminato su un prato affollato di turisti, colti di sorpresa dall’improvvisa raffica di proiettili. Le vittime erano quasi tutte civili, professionisti giunti da vari Stati dell’India (Haryana, Andhra Pradesh, Karnataka, Odisha, Uttar Pradesh, Kerala) e un cittadino straniero, originario del Nepal.

Una dichiarazione rilasciata dal Fronte di Resistenza — ritenuto una branca del gruppo terrorista Lashkar-e-Taiba, con sede in Pakistan — ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Secondo gli esperti la risposta del governo potrebbe includere una forma di ritorsione contro il Pakistan. «Questo è un atto di guerra», ha asserito Tara Kartha, direttrice del Centre for Land Warfare Studies (Claws), un think-tank con sede a New Delhi. «Solo se il Pakistan condannerà l’attacco con la massima fermezza e prometterà di agire tempestivamente contro i terroristi, si eviterà una grave crisi».

La tensione, che era stata congelata nella regione contesa dopo che Pakistan e India hanno stabilito un confine provvisorio noto come “linea di controllo”, è tornata a salire negli ultimi anni da quando, nel 2019, il governo indiano ha revocato lo status dell’autonomia al Kashmir, trasformandolo in territorio federale. La mossa ha intensificato le tensioni politiche nella regione e ha aperto la strada al rilascio di permessi di soggiorno ai non kashmiri, precedentemente vietati. La regione nell’India nordoccidentale è l’unico Stato indiano a maggioranza musulmana (il 68%, su una popolazione locale di 14,5 milioni di abitanti). Con l’amministrazione diretta del governo federale, tramite un rappresentante dell’esecutivo, è cresciuto il malcontento tra la popolazione locale. Questo ha aumentato l’instabilità interna e i rischi di radicalizzazione violenta, specialmente tra i giovani, in un’area in cui i gruppi estremisti già in passato hanno organizzato attentati. Qui, dalla metà degli anni Ottanta a oggi, la guerriglia pakistana e la repressione indiana hanno causato più di 40.000 morti, riportano fonti ufficiali.

Il territorio del Kashmir è conteso tra New Delhi e Islamabad già dal tempo immediatamente successivo all’indipendenza dall’impero britannico: la prima guerra indo-pakistana scoppiò nel 1947-1948; quindi quelle nel 1965 e nel 1971 in relazione al controllo del territorio.

Nello Stato esiste anche una piccola comunità cattolica, la diocesi indiana di Jammu-Srinagar, con 7.000 fedeli: è una comunità impegnata, soprattutto tramite l’istruzione, in una delicata missione di mediazione e riconciliazione sociale e culturale.