Il pontificato di Jorge Mario Bergoglio tra viaggi, riforme e documenti

Dodici anni di nuovi dinamismi e di porte aperte

 Dodici anni  di nuovi dinamismi  e di porte aperte  QUO-091
21 aprile 2025

L’impegno per la pace, i poveri e i migranti 
nell’orizzonte della cura e della fratellanza


di Salvatore Cernuzio

È stato primo in tante cose Papa Francesco. Primo Papa gesuita, primo Papa originario dell’America Latina, primo a scegliere il nome di Francesco senza un numerale, primo ad essere eletto con il predecessore ancora in vita, primo a risiedere fuori dal Palazzo Apostolico, primo a visitare terre mai toccate da un Pontefice — dall’Iraq alla Corsica —, primo a firmare una Dichiarazione di Fratellanza con una delle maggiori autorità islamiche. Primo Papa anche a dotarsi di un Consiglio di cardinali per governare la Chiesa, ad assegnare ruoli di responsabilità a donne e laici in Curia, ad avviare un Sinodo che ha coinvolto in prima battuta il popolo di Dio, ad abolire il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali e depennare dal Catechismo la pena di morte. Primo, ancora, a guidare la Chiesa mentre nel mondo non infuria «la» guerra ma tante guerre, piccole e grandi, combattute «a pezzi» nei diversi continenti. Una guerra che «è sempre una sconfitta», come ha ripetuto negli oltre 300 appelli, anche quando la voce veniva a mancare, che hanno occupato tutti gli ultimi pronunciamenti pubblici dopo la deflagrazione delle violenze in Ucraina e Medio Oriente.

Processi


Ma Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, probabilmente non avrebbe voluto che il concetto di “primo” venisse associato al suo pontificato, proiettato in questi 12 anni non a raggiungere traguardi o guadagnare primati, bensì ad avviare «processi». Processi in corso, processi conclusi o lontani, processi probabilmente irreversibili anche per chi gli succederà sul soglio di Pietro. Azioni che generano «nuovi dinamismi» nella società e nella Chiesa — come ha scritto nella road map del pontificato, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium — sempre nell’orizzonte dell’incontro, dello scambio, della collegialità.

Dalla fine del mondo


«Incominciamo questo cammino, vescovo e popolo», sono state le prime parole pronunciate dalla Loggia delle Benedizioni, in una tarda serata del 13 marzo 2013, ad una folla che gremiva piazza San Pietro da un mese sotto i riflettori dopo la rinuncia di Benedetto xvi. A quella folla il neo eletto Papa 76enne, scelto dai confratelli cardinali «dalla fine del mondo», chiese la benedizione. Con la gente volle recitare un’Ave Maria, incespicandosi in un italiano fino a quel momento non esercitato assiduamente, viste le rare visite a Roma del pastore di Buenos Aires, pronto a farsi le valigie subito dopo il Conclave. E alla gente, il giorno successivo, volle rendere un saluto ravvicinato recandosi in auto nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano e poi nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, ringraziando la Salus Populi Romani, protettrice del suo pontificato, a cui ha continuato a rendere omaggio in ogni momento forte. E proprio nella basilica Liberiana Francesco ha espresso la volontà di essere sepolto.

Pastore in mezzo al popolo


La vicinanza al popolo, retaggio del ministero argentino, il Papa l’ha manifestata in tutti gli anni a venire in vari modi: con le visite ai dipendenti vaticani negli uffici, con i Venerdì della Misericordia nel Giubileo straordinario del 2016 in luoghi di emarginazione ed esclusione, con i Giovedì Santo celebrati in carceri, case di cura e centri di accoglienza, con il lungo tour in parrocchie dei sobborghi romani, con visite e telefonate a sorpresa. E l’ha manifestata in ogni viaggio apostolico, a partire dal primo, ereditato dal predecessore, nel luglio 2013 in Brasile per la Giornata mondiale della gioventù, di cui si ricorda il fotogramma della papamobile bloccata in mezzo alla folla.

Primo Papa in Iraq


Quarantasette i pellegrinaggi internazionali del Pontefice argentino, realizzati in base a eventi, inviti di autorità, missioni da compiere oppure a qualche «movimento» interiore, come egli stesso rivelò nel volo di ritorno dall’Iraq. Sì, proprio l’Iraq: tre giorni nel marzo 2021 tra Baghad, Ur, Erbil, Mosul e Qaraqosh, terre e villaggi con ancora evidenti cicatrici di matrice terroristica, con il sangue sui muri e le tende degli sfollati lungo le strade, nel mezzo della pandemia di Covid-19 e di preoccupazioni generali per la sicurezza. Un viaggio sconsigliato da molti per la salute e il rischio attentati; un viaggio voluto a tutti i costi. Il viaggio «più bello», ha sempre confidato Francesco stesso, primo Papa a calpestare la terra di Abramo, là dove Giovanni Paolo ii non riuscì ad andare, e ad avere un colloquio con il Grande ayatollah sciita Al-Sistani.

La Porta Santa a Bangui e il viaggio più lungo nel Sud-Est asiatico e in Oceania


Una buona ostinazione lo spinse in Iraq, uguale a quella che nel 2015 lo portò a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana ferita da una guerra civile che negli stessi giorni della visita lasciava morti per strada. Nel Paese africano, dove disse di voler andare anche a costo di buttarsi «col paracadute», Francesco aprì la Porta Santa del Giubileo straordinario della Misericordia, con una cerimonia commovente che segna, anch’essa, il primato di un Anno Santo aperto non a Roma, ma in una zona tra le più povere del mondo. E si può definire buona ostinazione anche quella che ha animato la scelta di intraprendere a 87 anni il viaggio più lungo del pontificato nel settembre 2024: Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste, Singapore. Quindici giorni, due continenti, quattro fusi orari, 32.814 km percorsi in aereo.

Quattro universi differenti, ognuno a rappresentare i temi portanti del magistero: fratellanza e dialogo interreligioso, periferie ed emergenza climatica, riconciliazione e fede, ricchezza e sviluppo a servizio della povertà.

Da Lampedusa a Juba


E non si può dimenticare, ripercorrendo i viaggi apostolici e le visite pastorali, la primissima trasferta fuori Roma, nella piccola isola di Lampedusa, scenario di grandi tragedie migratorie, con la corona di fiori gettata nel Mediterraneo «cimitero a cielo aperto». Denuncia reiterata anche nel doppio viaggio a Lesbo (2016 e 2021) nei container e tendoni di profughi e rifugiati.

Nella storia del pontificato, anche il viaggio in Terra Santa (2014); in Svezia, a Lund (2016) per le celebrazioni dei 500 anni della Riforma luterana; in Canada (2022) con la richiesta di perdono alle popolazioni indigene per gli abusi subiti da rappresentanti della Chiesa cattolica. E poi Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan (2023), quest’ultima tappa condivisa con il primate anglicano, l'arcivescovo Justin Welby, e il moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia, Ian Greenshields, a voler rimarcare la volontà ecumenica di curare le ferite di un popolo. Le stesse che Francesco aveva implorato di risanare ai leader sud sudanesi, riuniti nel 2019 per due giornate di ritiro a Santa Marta, concluse col gesto dirompente di baciare loro i piedi.

E ancora, Cuba e Stati Uniti d’America (2015), viaggio a suggello dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Un avvenimento storico per il quale Francesco si è speso per mesi, inviando lettere ai presidenti Barack Obama e Raúl Castro, per esortarli ad «avviare una nuova fase». Fu Obama stesso a ringraziare pubblicamente il Pontefice. A L’Avana anche l’incontro con il patriarca ortodosso di Mosca Kirill e la firma di una Dichiarazione comune per mettere in pratica l’«ecumenismo della carità», l’impegno dei cristiani per un’umanità più fraterna. Impegno divenuto, anni dopo, tragicamente attuale e in qualche modo disatteso con lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa.

La firma ad Abu Dhabi del «Documento sulla Fratellanza Umana»


Non ultimo, tra i viaggi, Abu Dhabi (2019) e il Documento sulla Fratellanza Umana siglato insieme al Grande imam al-Tayeb, a coronamento del disgelo con l’università sunnita di Al-Azhar iniziato con un abbraccio a Santa Marta e concluso con la firma di un testo divenuto da subito caposaldo del dialogo islamo-cristiano, recepito pure in diverse Costituzioni.

Le encicliche


Esperienze, dialoghi, gesti vissuti in questi viaggi sono confluiti nei documenti del pontificato. Quattro le encicliche: la prima, Lumen Fidei, sul tema della fede, a quattro mani con Papa Ratzinger; poi la Laudato si’, grido per invocare un «cambiamento di rotta» per la «casa comune» messa in ginocchio dalla crisi climatica e sfruttamento e stimolare ad un’azione volta allo sradicamento della miseria e all’accesso equo alle risorse del pianeta. La terza, Fratelli tutti, asse portante del magistero, frutto del Documento di Abu Dhabi, profezia — prima della deflagrazione di nuove guerre — della fraternità come unica via per il futuro dell’umanità. Infine la Dilexit nos per ripercorrere tradizione e attualità del pensiero «sull’amore umano e divino del cuore di Gesù» e lanciare un messaggio a un mondo che sembra aver perso il cuore.

Esortazioni apostoliche e Motu propri


Sette, le esortazioni apostoliche: dalla già citata Evangelii gaudium fino a C’est la confiance, per i 150 anni della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino. In mezzo, le esortazioni post-sinodali — Amoris laetitia (Sinodo sulla famiglia), Christus vivit (Sinodo sui giovani), Querida Amazonia (Sinodo per la Regione Pan-Amazzonica) —, la Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, la Laudate Deum, ideale seguito della Laudato si’ per completarne l’appello a reagire per la madre Terra prima di un «punto di rottura».

Quasi sessanta i Motu propri per riconfigurare le strutture della Curia romana e il territorio della diocesi di Roma, modificare il Diritto canonico e l’ordinamento giudiziario vaticano, per emanare norme e procedure più stringenti nella lotta agli abusi. È il caso di Vos estis lux mundi, documento che ha recepito risultati, indicazioni, raccomandazioni del Summit sulla protezione dei minori in Vaticano, nel febbraio 2019. Un vertice che ha rappresentato l’acme del lavoro di contrasto alla pedofilia del clero e agli abusi non solo sessuali; un’espressione della volontà della Chiesa di agire con verità e trasparenza in atteggiamento penitenziale. Con Vos estis lux mundi Francesco ha stabilito nuove procedure per segnalare molestie e violenze e introdurre il concetto di accountability, assicurare, cioè, che vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato.

La riforma della Curia


Processi, quindi. Quelli di riforma sono stati una costante del papato di Francesco, che non ha voluto disattendere le raccomandazioni dei cardinali nelle congregazioni pre-Conclave che chiedevano al futuro nuovo Pontefice la ristrutturazione della Curia romana e in particolare delle finanze vaticane, per anni al centro di scandali. E da subito il Papa ha costituito un Consiglio di cardinali, il c9 (divenuto negli anni c6 e c8 con l’avvicendarsi dei vari membri), un piccolo “senato” per coadiuvarlo nel governo della Chiesa universale e lavorare alla riforma della Curia. Accorpamenti di Dicasteri e altre modifiche di titoli e organigrammi sono stati il segnale del work in progress; step finale è stata la Costituzione apostolica Praedicate evangelium: attesa per anni, è stata promulgata nel 2022, senza preavvisi e preamboli, introducendo significative novità. Tra queste, l’istituzione del nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione, presieduto direttamente dal Pontefice, e il coinvolgimento dei laici «in ruoli di governo e di responsabilità». In questa ondata di cambiamento vanno inquadrate le nomine del primo prefetto laico, Paolo Ruffini, al Dicastero per la Comunicazione, della prima «prefetta» al Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, suor Simona Brambilla, e della prima governatrice dello Stato della Città del Vaticano, suor Raffaella Petrini.

Le donne


Le donne, un altro filone di questi anni di Bergoglio sul soglio di Pietro, il Papa che più di altri ha affidato a figure femminili ruoli di responsabilità, che ha istituito due commissioni per lo studio delle diaconesse, che non ha mai smesso di ricordare il «genio» femminile e la dimensione materna della Chiesa (che «è donna» perché «è la Chiesa, non il Chiesa»), che ha messo a fianco a cardinali e vescovi sui tavoli dell’ultimo Sinodo sulla Sinodalità, suore, missionarie, professoresse, esperte, teologhe, alle quali ha dato peraltro per la prima volta diritto di voto.

“Tutti, tutti, tutti”


Un’apertura, come tante effettuate da Francesco. Aperture e non strappi, né salti; per alcuni troppo veloci, per altri troppo prudenti. Processi, in realtà, anche questi. Come la concessione dei sacramenti ai divorziati risposati, nell’ottica dell’Eucarestia come «farmaco» per i peccatori e non «nutrimento per i perfetti»; l’accoglienza alle persone Lgbtq+ con l’invito alla vicinanza pastorale, perché all’interno della Chiesa c’è posto per «tutti, tutti, tutti»; la pervicacia nel dialogare con rappresentanti di altre confessioni cristiane e religioni, dopo secoli di pregiudizi e sospetti, in virtù anche dell’«ecumenismo del sangue». Lo sguardo alla Cina, pure, con l’Accordo provvisorio per le nomine dei vescovi, siglato nel 2019 e rinnovato tre volte. Uno spiraglio di dialogo, tra inciampi e riprese, con un «nobile popolo» che ha desiderato per tutti questi anni visitare. Desiderio risalente alle aspirazioni missionarie della gioventù.

Missionarietà e sinodalità


La missione, anche questo tema cardine. Anzi, la «missionarietà», invito ricorrente di testi e omelie, di pari passo con la «sinodalità», altro termine risuonato tante volte in questi dodici anni. Alla «sinodalità» il Papa ha dedicato ben due sessioni del Sinodo (2023 e 2024), rinnovando struttura e funzionamento dell’assise, intuendo la necessità di far partire il cammino sinodale «dal basso» e istituendo pure dieci gruppi di studio per approfondire, dopo i lavori, temi dottrinali, teologici e pastorali.

Poveri e migranti


Di questo pontificato si ricorderanno poi gli assiomi che hanno incapsulato intere realtà ecclesiali, politiche e sociali: «Cultura dello scarto», «globalizzazione dell’indifferenza», «Chiesa povera per i poveri», «Chiesa in uscita», «pastori con l’odore delle pecore», «etica globale della solidarietà». Resterà l’attenzione ai poveri con l’istituzione nel 2017 di una Giornata mondiale loro dedicata, sempre caratterizzata dal pranzo del Papa in Aula Paolo vi al fianco di clochard e senzatetto. Resterà l’insegnamento sui migranti, declinato nei quattro verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare», quali indicazioni programmatiche per affrontare «una delle più grandi tragedie di questo secolo». Resterà pure l’invito a elaborare «onorevoli compromessi» come soluzioni ai conflitti che dilaniano l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa.

L’impegno per la pace


Quei conflitti, assillo degli ultimi anni, denunciati in appelli roboanti e lettere a nunzi apostolici e a popolazioni vittime di violenze, alleviati attraverso video-chiamate — su tutte, quelle quotidiane alla parrocchia di Gaza — o missioni di cardinali e l’invio di beni di prima necessità. «Non pensavo di essere un Papa in tempo di guerra», confidava nel primo e unico podcast con i media vaticani, realizzato per il decennale dell’elezione.

La pace è stato l’obiettivo costante. Per la pace Papa Francesco ha chiesto continuamente preghiere, indetto Giornate di digiuno e orazione — per Siria, Libano, Afghanistan, Terra Santa — che coinvolgessero i fedeli di ogni latitudine; ha consacrato Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria nel 2022; ha organizzato momenti storici come la piantumazione di un ulivo nei Giardini vaticani, l’8 giugno 2014, con i presidenti di Israele, Shimon Peres, e Palestina, Mahmoud Abbas.

Per la pace ha compiuto, il Papa, gesti irrituali come quello di salire in macchina e recarsi, il giorno dopo la prima bomba sganciata su Kyiv, nell’ufficio dell’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev, tentando di avviare contatti col presidente Putin e assicurare la disponibilità per la mediazione.

Più volte Francesco ha redarguito capi di Stato e di Governo, ha ammonito i signori della guerra che renderanno conto davanti a Dio delle lacrime sparse tra i popoli, ha stigmatizzato il fiorente mercato delle armi lanciando la proposta di usare le spese degli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che debelli la fame. Ha chiesto di costruire ponti e non erigere muri, ha incitato ad anteporre il bene comune alle strategie militari, talvolta venendo mal interpretato e criticato.

Innovazioni


Critiche non sono mancate in questi anni nei confronti del Papa argentino, che ha commentato cordate e venti contrari sempre con quell’umorismo che è la cosa «che più avvicina alla grazia di Dio». Francesco ha interrogato e stupito, ha fatto forse storcere il naso a qualcuno per la rottura di tabù e lo scombussolamento di protocolli e vecchie consuetudini, o per la rimodulazione dello stesso papato con un diverso abbigliamento, una diversa residenza, una inusuale gestualità e prossemica, un originale stile pastorale. O con l’apparizione in dirette web e programmi tv, con l’uso dell’account x @Pontifex, in 9 lingue, quale canale per veicolare messaggi di necessaria immediatezza e diffusione.

Momenti difficili e problemi di salute


In questi anni sempre densi, con rarissimi momenti di riposo (e la cancellazione delle tradizionali vacanze papali a Castel Gandolfo), non sono mancati momenti difficili, tra processi giudiziari — in testa il lungo e complesso processo per la gestione dei fondi della Santa Sede —, il caso Vatileaks 2, scandali di abusi e corruzione, la pubblicazione di libri privi di «nobiltà e umanità». E non sono mancati i tormenti dati dalla salute tra le operazioni al Gemelli del 2021 e del 2023, il ricovero nel medesimo Policlinico romano, sempre nel 2023, per complicazioni respiratorie, poi i raffreddori, le influenze, i dolori al ginocchio che l’hanno costretto sulla sedia a rotelle negli ultimi tre anni. Infine il ricovero più lungo — 38 giorni — a causa della polmonite bilaterale. Problemi che non gli hanno impedito comunque di farsi presente e vicino alla gente come si è visto in queste ultime settimane, dopo le dimissioni dall’ospedale, con le uscite a sorpresa in piazza San Pietro, nella basilica Vaticana e a Santa Maria Maggiore.

Dati statistici


Tante difficoltà che non hanno mai impedito l’intensa attività o la presenza agli eventi. A darne contezza alcuni dati statistici: oltre 500 udienze generali, dieci Concistori per la creazione di 163 nuovi cardinali che hanno restituito carattere di universalità al volto della Chiesa; oltre 900 canonizzati (inclusi tre predecessori: Giovanni xxiii, Giovanni Paolo ii, Paolo vi); gli “Anni speciali”, tra cui quelli per la Vita consacrata (2015-2016), per san Giuseppe (2020-2021) e per la Famiglia (2021-2022); quattro Giornate mondiali della gioventù: Rio de Janeiro, Cracovia, Panamá e Lisbona. Due Giubilei: quello straordinario sulla Misericordia del 2016 e l’ordinario del 2025, in corso, sul tema “Pellegrini di speranza”.

La Statio orbis durante la pandemia di Covid-19


È stato un Papa, Jorge Mario Bergoglio, che ha ricercato la prossimità con il grande pubblico anche attraverso interviste, libri, prefazioni, autobiografie. Un Papa del quale, forse, più delle tante parole e dei tanti scritti, si ricorderà un’immagine: lui, solo, claudicante, sotto la pioggia, nel silenzio generale del lockdown e l’unico sottofondo delle sirene di un’ambulanza, mentre attraversa piazza San Pietro nel tempo sospeso della pandemia. È la Statio orbis del 27 marzo 2020, con il mondo chiuso in casa a guardare in diretta streaming un uomo anziano che sembrava portare sulle spalle tutto il peso di una tragedia che ha ribaltato quotidianità e abitudini. L’umanità era afflitta ma il Papa parlava di speranza. E di fratellanza: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo tutti chiamati a remare insieme».