Appunti per una società della speranza

La Pasqua delle genti

 La Pasqua  delle genti   QUO-090
19 aprile 2025

di Pino Esposito

Nel 1961, un presidente cattolico sottolineava la portata storica del momento: «Solo a poche generazioni» dichiarava John F. Kennedy nel suo discorso di insediamento, «è dato il privilegio di difendere la libertà nell’ora del massimo pericolo». Alla Crisi dei missili di Cuba sarebbe seguita la détente, un’opera di “pazienza” — parola cara al cardinale Agostino Casaroli. Oggi, alla Guerra Fredda è subentrata la “pace rovente” in Ucraina. Alla nostra generazione è affidata una nuova responsabilità: così come in passato si lottò per un mondo libero, ora siamo chiamati a mobilitarci in difesa della speranza sprigionata, dopo il crollo della Cortina di ferro, dal sogno europeo di fraternità.

I pericoli che emergono dall’attuale scenario di guerra richiedono un cambiamento di prospettiva, che sappia volgere lo sguardo dal problema geopolitico al lato teologico della speranza. È opportuno attingere alla sua tradizione novecentesca e a quanto essa ha elaborato in tema di Liberazione, per riconoscerne il valore e le implicazioni nel presente. Conviene ricordare come, nel buio di una prigione nazista, il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer si sentì liberato proprio nel Venerdì santo. In quel giorno, «ci è dato di concepire una grande speranza» — scriveva — riferendosi all’arte della risurrezione, contrapposta all’ars moriendi. Da essa spira un «vento purificatore» (Lettera dal carcere di Tegel, 25 aprile 1943). Con questo animo, nella preghiera del mattino, Bonhoeffer supplicava di essere salvato «dalla disperazione» (Resistenza e resa, edizione postuma).

In una meditazione sulla Pasqua, un coetaneo di Bonhoeffer, Karl Rahner, offriva una profonda valutazione della posta in gioco nella liberazione cristiana: la restituzione alla vita. «La morte — affermava — non potrà ormai più defraudarci della nostra esistenza». Rahner, teologo e consulente al concilio Vaticano ii, è stato più volte citato da Papa Francesco, in particolare nelle omelie per la veglia pasquale del 2022 e del 2024, in riferimento a un Dio che non ci abbandona dinanzi alla «tomba della rassegnazione». Richiamandosi alle sue parole, il Santo Padre ha parlato di un «Dio dell’impossibile», colui che svuota le sepolture (Rahner, Che cos’è la risurrezione? ed. 2005).

La Pasqua è precisamente il momento in cui il Signore «rotola via» per sempre ogni pietra «pesantemente poggiata all’ingresso del nostro cuore, soffocando la vita, imprigionandoci nel sepolcro delle paure, bloccando la via verso la gioia e la speranza» (Omelia del 2024).

Nella stessa generazione di Rahner e Bonhoeffer incontriamo Hans Urs von Balthasar, autore del Mysterium Paschale e promotore di una Teologia dei tre giorni (1969). Di fronte all’Ascensione, von Balthasar descrisse la discesa del Figlio di Dio non solo sulla terra, ma anche nel profondo degli inferi, poiché Cristo, penetrando nell’abisso, lo ha trascorso e superato, ascendendo nei cieli. Gesù prende così il nostro posto all’Inferno. Nel luogo per eccellenza della disperazione, Egli genera la speranza, svuotandolo del peso dei nostri peccati. Con impliciti richiami a questa visione, Papa Francesco ha dichiarato — in un’intervista televisiva del 2024 — di condividere la speranza in un «inferno vuoto»: il sogno di salvezza per tutti, originato dalla Crocifissione. In questo spirito, nel 1986, il teologo svizzero pubblicava Sperare per tutti (Was dürfen wir hoffen?), un’adorazione cristiana della speranza, per una Chiesa che non può e non deve smettere di pregare.

Si sviluppò così una Teologia della speranza. Tra i suoi principali esponenti, nell’ambito della Chiesa riformata, Jürgen Moltmann mise in luce la natura escatologicamente inquieta della Pasqua cristiana. Nel celebre volume del 1964, scrisse: «Chi spera in Cristo [nella risurrezione] non si adatta alla realtà così com’è»; all’opposto di un’attesa meramente consolatoria — in contrasto con la critica marxista che definisce la religione “oppio dei popoli” — chi spera in Cristo «comincia» invece «a contraddirla».

Il tema della speranza è stato recentemente riletto dal filosofo cattolico coreano Byung-Chul Han, nel contesto del fenomeno di «esaurimento/burnout» generato dalla sovrasollecitazione a un ideale di benessere. Apparentemente accessibile, pervasivo, user-friendly, il benessere è reclamato e reclamizzato ovunque. Le società moderne provvedono persino a sedare il dolore, somministrando cure palliative, perché incapaci o indisposte a confrontarsi con esperienze negative o fallimentari. La società senza dolore è, allora, una società della sopravvivenza che non ha mai realmente creduto di poter guarire.

Questo è il filo conduttore delle ricerche di Han, berlinese d’adozione, che da Müdigkeitsgesellschaft (2010), passando per Palliativgesellschaft (2020), fino a Der Geist der Hoffnung (2024), si impegna a disinnescare la modalità di crisi in cui è impostata l’epoca contemporanea. Con quest’ultima opera, egli evoca lo «spirito della speranza» per riaprire un orizzonte di senso. Per ritrovare un futuro, invita a invertire — a convertire — la percezione diffusa di un’umanità che, se non terminale, appare irreversibilmente sfinita, prossima a catastrofi pandemiche, ambientali o nucleari, a cui non resta che il comfort, ma non la salvezza; a cui spettano, forse, un vaccino, un giardino o dei bunker. L’opera di Byung-Chul Han dedicata alla speranza fu pubblicata a pochi giorni dalla Pasqua, anticipando simbolicamente l’Anno santo che, assieme all’apostolo Paolo, proclama: Spes non confundit. Ripensando le parole di Romani 5, 5, la domanda che oggi mi pongo è: quanto tempo ci resta prima di decidere d’integrare nella politica internazionale una cultura della speranza? Quanta strada dobbiamo ancora percorrere prima di abbracciare i valori comunitari incarnati dalle genti di Pasqua?

Il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle lanciò un appello in tal senso già nel 2013, del quale resta memorabile la massima: «Dobbiamo [...] riprenderci la forza della Pasqua». L’attuale pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione riconosceva nella risurrezione l’evento profetico che, attraverso la preghiera, non solo ci mette in cammino, ma nel cammino stesso forma la sua comunità. In tale prospettiva, egli prefigurava una «comunità della speranza» (Gente di Pasqua, Emi).