Senza cibo e senza acqua aumenta anche il rischio di contrarre malattie. L’allarme dell’Onu

I bambini di Gaza
hanno fame

Palestinian children gesture as they line up to collect a meal at a free food distribution point in ...
11 aprile 2025

di Roberto Paglialonga

Nella Striscia di Gaza oltre 60.000 bambini soffrono di malnutrizione; le mense comunitarie stanno rapidamente esaurendo carburante e rifornimenti, con diverse ong internazionali, come ActionAid, che da giorni hanno annunciato una sospensione nella preparazione dei pasti caldi; le scorte di cibo stanno finendo e fanno aumentare i casi di saccheggio (episodi sono stati registrati a Rafah, Deir al-Balah e Al-Zawaida); la carenza idrica nei campi che ospitano gli sfollati diventa sempre più grave, e la mancanza di acqua, unita all’assenza di prodotti per la pulizia e alla coabitazione con il bestiame, impatta negativamente sulla salute pubblica, accrescendo il rischio di malattie infettive.

È un quadro drammatico quello denunciato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari riguardo alla vita della popolazione di Gaza. Una situazione che, come in tutti i conflitti, colpisce direttamente i più fragili, donne e anziani in primis, e i più piccoli. E che, già allarmante nelle scorse settimane, si è naturalmente aggravata a causa delle ostilità tornate a infuriare con una violenza devastante dalla fine della tregua il 18 marzo scorso, e del blocco continuo all’ingresso delle merci nell’enclave, in vigore da quasi sei settimane. Un ostacolo, questo, che si frappone anche all’accesso delle persone agli aiuti salvavita: in proposito, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha sottolineato come sarebbero almeno 12.500 i pazienti che hanno bisogno di lasciare la Striscia e le sue strutture ospedaliere (ormai ridotte al lumicino), per ricevere trattamenti all’estero.

Anche ieri è stata un’altra giornata di sangue, con un raid aereo israeliano su un edificio civile a Khan Yunis, che ha provocato almeno dieci vittime, tra cui sette bambini. Ma attacchi sono stati compiuti anche a Rafah e Jabalia, mentre l’Idf sta evacuando in queste ore interi quartieri di Gaza City in vista di «un intervento forte». In questo scenario si sposta in avanti il traguardo per un nuovo cessate-il-fuoco, un risultato che tutta la comunità internazionale — e in particolare la popolazione prostrata da questi 18 mesi di combattimenti — sta aspettando. Tuttavia, funzionari israeliani hanno fatto sapere all’emittente Kan che un accordo sarebbe possibile forse già in tempi brevi almeno per quanto riguarda la liberazione di alcuni ostaggi. E anche il presidente degli Usa, Donald Trump, ha dichiarato che «sono in corso trattative dirette sia con Israele che con Hamas». Una proposta egiziana, di cui si è a conoscenza dall’inizio di questa settimana, prevederebbe il rilascio di otto sequestrati ancora in vita e di otto altri corpi, in cambio di una tregua della durata compresa tra 40 e 70 giorni e il rilascio di un numero consistente di miliziani e prigionieri palestinesi. Si vedrà. Più volte sono stati annunciate intese imminenti, poi finite in un nulla di fatto.

Ma è significativa la pressione costante dell’opinione pubblica in Israele: le proteste contro l’esecutivo di Benjamin Netahyanu e la guerra non si arrestano, e nelle ultime ore 23 manifestanti sono stati arrestati durante una dimostrazione a Haifa. Il premier in ogni caso sembra non voler recedere dalle sue posizioni: in un videomessaggio sulla Pesach (la Pasqua ebraica) ha sottolineato che le famiglie degli ostaggi e dei soldati caduti saranno costrette a celebrare questa festività con «sedie vuote», riporta «The Times of Israel». Ma «noi — ha aggiunto — siamo la generazione della vittoria».

La tensione negli ultimi giorni è tornata a salire anche in Libano, facendo temere una nuova escalation. L’Unifil ha registrato spari da sud verso la “Blue line”, la zona cuscinetto tra Israele e il Paese dei cedri, denunciando il rischio di una fine della tregua. Tuttavia — fatto importante per la questione del controllo del territorio e punto sostanziale del cessate-il-fuoco — per la prima volta l’esercito libanese è entrato nelle basi di Hezbollah a nord del fiume Litani e, hanno scritto media locali, ha quasi completato lo smantellamento delle infrastrutture dei miliziani sostenuti dall’Iran. Questi non avevano mai ceduto prima basi ai militari di Beirut.