Le suore partigiane

Ci furono le otto suore della Sainte-Agonie, a Parigi, guidate dalla superiora Madre Jean, che ospitarono il quartier generale dell’organizzazione partigiana di Claude Arnould, il “colonel Olivier”, e nascosero in sacrestia apparecchi riceventi e trasmittenti. Ci fu Josefa Mack (poi suor Imma) che era novizia delle Sorelle Scolastiche di Nostra Signora, le Arme Schulschwestern von Unseren Lieben Frau, a Frisinga, Germania, e con il nome in codice Mädi visse pericolosamente portando messaggi dentro e fuori dal lager di Dachau, dove tra gli altri erano concentrati centinaia di sacerdoti di tutta Europa. Ci fu suor Maria Restituta Kafka, delle Suore francescane della Carità cristiana, che lavorava come caposala in un ospedale vicino Vienna e non si fece intimidire: scoppiata la guerra, scrisse una poesia anti-nazista che invitava i soldati austriaci alla diserzione e la fece circolare clandestinamente. Arrestata, fu condannata a morte e ghigliottinata. Dopo la guerra, suor Restituta divenne uno dei simboli della resistenza cattolica anti-nazista e nel 1998 Giovanni Paolo ii la proclamò beata.
Successe in tutta l’Europa occupata. In Olanda e Belgio fu imponente l’aiuto agli ebrei perseguitati, fino al caso limite di una suora di Turnhout, vicino Anversa, la quale, per salvare un ebreo dalla deportazione, accettò di sposarlo civilmente. In Italia, a Milano, è nota la vicenda di suor Enrichetta Alfieri anche a causa della sua beatificazione avvenuta nel 2011: operava nel carcere, sezione femminile. Con l’arrivo dei tedeschi, nel 1943, suor Enrichetta organizzò i collegamenti tra l’interno e l’esterno: messaggi, informazioni, beni materiali passano dall’una all’altra parte. Un messaggio però fu intercettato e suor Enrichetta venne arrestata e rinchiusa in cella di isolamento, nei sotterranei del “suo” carcere, in attesa della condanna a morte o della deportazione. Il cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, agendo su uomini vicini a Mussolini, riuscì a salvarla, con la promessa di trasferirla in una sorta di confino.
«Da un impegno vasto di chi dava rifugio a ebrei e profughi, ci sono state nell’Europa occupata alcune suore che hanno fatto un passo più avanti e si sono rese molto attive, soprattutto nel salvaguardare partigiani feriti e nel collaborare con la Resistenza», racconta il professor Giorgio Vecchio, storico, autore del libro Il soffio dello Spirito. Cattolici nelle Resistenze europee che è un’imponente rassegna di episodi.
Tante di queste storie nell’Italia occupata tra 1944 e 1945 sono rimaste ignote o sono state dimenticate con il trascorrere del tempo. Suor Albarosa Ines Bassani ha scritto un drammatico libro, Le suore della libertà, che ricostruisce quel che fecero le Dorotee di Vicenza. Rischiando la vita, nascosero ebrei, soldati sbandati, prigionieri in fuga. Si trasformarono in staffette partigiane dall’ampia gonna nera, ma non fecero mancare l’aiuto ai soldati tedeschi e fascisti se li vedevano feriti: per loro contava soltanto «l’uomo da salvare».
Le Dorotee erano ramificate nella regione del Veneto. Nel piccolo comune di Dolo, vicino Venezia, dove dirigeva una casa per anziani, suor Urbanina ospitò nelle soffitte cinque inglesi fuggiti da un campo di prigionia. Negli ultimi mesi di guerra mandò due sorelle infermiere a un appuntamento con una missione clandestina degli Alleati portando una radio ricetrasmittente nascosta sotto siringhe e garze. Fermate a un posto di blocco tedesco, si salvarono dicendo che correvano a soccorrere un malato grave.
Nel carcere San Biagio di Vicenza, suor Demetria Strapazzon non fece mai mancare una parola di conforto ai detenuti e intanto faceva la staffetta tra i prigionieri politici e i vertici locali del Comitato di liberazione nazionale. Riuscì a salvare dalla fucilazione quattro giovani trovati in possesso di una radio trasmittente e lettere compromettenti. Salvò la vita anche alla madre canossiana Luisa Arlotti, reclusa per aver nascosto e curato dei partigiani feriti.
Intrepida, madre Luisa Arlotti. Il grande lanificio di Vicenza era diventato un centro della Resistenza e le fu chiesto di nascondere due partigiani feriti nell’annesso asilo per bambini che lei dirigeva. Mentre tutti erano in cappella per le preghiere, i due feriti entrarono passando per il rifugio antiaereo e furono nascosti in una stanza all’ultimo piano, la porta occultata con un armadio. In seguito madre Luisa ospitò altri partigiani ed ex prigionieri feriti. Erano informate solo la bidella e la cuoca. Il direttore del lanificio a sua volta mandava il medico e l’infermiere aziendale per le medicazioni. Quando la Casa Madre di Verona scoprì i fatti, trasferì madre Arlotti in un convento di Venezia sperando di sfuggire alla sorveglianza nazista, ma il Comando tedesco fu informato da un delatore e lei venne arrestata.
Nello stesso periodo, in Piemonte, tra le montagne di Biella, c’era all’opera suor Teresina, delle Maddalene, al secolo Luisa Brusa, alle prese con un asilo per bambine povere e orfane, Casa Betania. Era zona di guerra partigiana, il cibo scarsissimo, e suor Teresina entrò in simpatia con un comandante che portava cibo, vesti e scarpe alle bambine, bisognose di tutto. Aveva avuto una formazione da infermiera; si prestò a curare e nascondere alcuni partigiani feriti. In un caso, per portare un partigiano ferito all’ospedale di Torino, lo camuffò da suora.
E poi c’era suor Carla De Noni del Santuario di Santa Lucia, a Villanova Mondovì, Cuneo, la cui storia rocambolesca è stata raccontata dal giornalista Daniele La Corte nel libro Resistenza svelata. Pare che suor Carla addirittura coordinasse il Servizio x, ossia l’intelligence del movimento partigiano della Liguria e del Basso Piemonte, in stretto collegamento con gli agenti britannici.
In Liguria, intanto, nell’Ospedale di Santa Corona a Pietra Ligure, vicino Savona, due suore infermiere allestirono un «reparto fantasma» dove curare partigiani ed ebrei sotto il naso degli occupanti. Suor Artemisia avrà la Medaglia d’Oro al valor militare.
Oltre suor Enrichetta Alfieri, a Milano furono molte le religiose che cooperarono con la Resistenza. Madre Rosa Chiarina Scolari, superiora dell'Istituto della Riparazione in corso Magenta diede ospitalità al comando del Corpo volontari della libertà. Da lì partivano le direttive per la guerra partigiana. Alla sfilata ufficiale per festeggiare i partigiani, il Comitato di Liberazione Nazionale invitò ufficialmente le suore della Casa di Nazareth e a caratteri cubitali il quotidiano cattolico Il Popolo titolò: «Due suore alla sfilata. Cospiratori in clausura».
L’elenco potrebbe essere ancora lungo. Conclude il professor Vecchio: «Sarebbe ora di raccontare meglio l’apporto dei cattolici, anche dei religiosi, alla guerra partigiana. In Francia ci sono stati molti più riconoscimenti: De Gaulle fece fare persino un francobollo per una suora partigiana. In Italia le cose sono andate diversamente: subentrò presto il clima di Guerra Fredda, il movimento comunista monopolizzò quasi il racconto della Resistenza, e direi che da parte di entrambi si tese a far dimenticare la collaborazione».
di Francesco Grignetti
Giornalista «La Stampa»