José Gregorio Hernández

di Pino Esposito
Il recente annuncio della canonizzazione del beato José Gregorio Hernández Cisneros, il 24 febbraio 2025, per approvazione di Papa Francesco, segna un momento di grande compimento per la Chiesa cattolica e per il Venezuela. Nato a Isnotú nell’ottobre del 1864 e scomparso tragicamente a Caracas nel giugno del 1919, Hernández è spesso definito dalla stampa della Santa Sede come un esempio di “fedele laico”, incarnando un ideale equilibrio tra scienza e fede.
Medico e studioso, si perfezionò a Parigi, Berlino, Madrid e New York, specializzandosi in batteriologia. Fu il fondatore del laboratorio di Fisiologia Sperimentale all’Università di Caracas, presso l’ospedale Vargas, una struttura all’avanguardia per l’epoca. Tuttavia, è ricordato soprattutto come medico di base, vicino ai più bisognosi. Nel suo studio, il cartello con il tariffario delle visite riportava una frase emblematica: «Chi ha, metta; chi non ha, prenda». Un’espressione che lo accomuna ad altre figure eminenti della medicina cristiana, come san Giuseppe Moscati.
Durante la pandemia influenzale del 1918, nota come “Spagnola” – di cui la recente emergenza Covid-19 ha riacceso il triste ricordo –, Hernández affermò che, se il virus aveva causato una strage, ciò che aveva davvero “ucciso” (usò il verbo matar) era stata la denutrizione. La fame cronica, che aveva colpito le fasce più deboli delle periferie, aveva infatti preceduto e aggravato l’esito catastrofico dell’epidemia.
Gli venne attribuito l’appellativo di “medico dei poveri”, un’etichetta che, pur benevola, cela una storia ben più alta e intensa. La sua pratica medica univa l’assistenza sanitaria a una visione integrale della persona, riconoscendo nella vita non solo la dimensione fisiologica, ma anche quella sacra. Hernández sottolineava il valore effimero delle vite salvate, se a tale scopo si fosse perduta l’umanità stessa, ciò che i cristiani chiamano “anima”.
Dimostrò una speciale devozione per l’Eucaristia, come testimonia un suo manoscritto giovanile, Modo breve y fácil para oír misa con devoción, ispirato ai testi spirituali dell’epoca. Più volte intraprese il cammino verso il sacerdozio: nel 1908 entrò nel monastero certosino di Farneta, a Lucca, dove prese il nome di Fra Marcello; nel 1909 fu ammesso al Seminario metropolitano di Caracas, intitolato alla mistica domenicana santa Rosa da Lima; nel 1913 si trasferì a Roma presso il Pontificio collegio Pio Latino-Americano. Eppure, sentì il dovere di rimanere medico in Venezuela, spinto dalle emergenze del Paese, di cui avvertì costantemente il richiamo.
José Gregorio Hernández morì il 29 giugno 1919 in un tragico incidente stradale, mentre si recava a piedi a visitare un’anziana malata. Il conducente del veicolo che lo investì dichiarò in seguito di essersi sentito “scelto” dal Cielo. Il giorno del funerale, mentre il feretro veniva portato a spalla dagli studenti della Facoltà di Medicina, migliaia di persone si unirono al corteo, gridando all’unisono una frase che divenne emblematica: «El Doctor Hernández es nuestro».
La sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi. Un secolo prima della sua canonizzazione, il popolo venezuelano già ne preannunciava la santità. D’altronde, fu lui stesso, per primo, a santificare la vita.
Nella figura di José Gregorio Hernández prende forma un modello di medico che vede nel malato il volto di Cristo sofferente. La sua passione per i farmaci e per il valore della cura lo rendono un esempio di adorazione di un “Dio della prossimità”, che, per la nostra salvezza, venne a visitarci — come scrisse l’Apostolo Giovanni: «ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni, 1,14).
La canonizzazione di Hernández non solo eleva a simbolo evangelico del buon samaritano un protagonista della storia della medicina del Ventesimo secolo, ma soprattutto promuove la dimensione umana della riscoperta di Dio in ogni gesto quotidiano di consolazione e compassione. Costituisce, a mio avviso, uno degli esiti più significativi della secolarizzazione del sacerdozio, un processo che la Chiesa accoglie e benedice. In questo si riconosce un nuovo ramo dell’Incarnazione, che schiude l’amore stesso di Dio, il quale – nel Figlio – “si fece carne” e, in un’accezione quasi medica, ne rivelò l’anatomia divina.
In parole più semplici, ma non meno incisive, la canonizzazione del “medico del Cielo” — altro appellativo attribuitogli — restituisce forza alla figura, spesso logorata, banalizzata e persino profanata, dell’uomo giusto e retto. Il medico Hernández è il primo beato del Venezuela, una prova tangibile delle immense risorse spirituali che questa terra possiede.
L’effervescenza ecumenica di questa canonizzazione si riflette in particolare nelle riflessioni dell’arcivescovo Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, conterraneo di Hernández. In occasione della beatificazione, il 2 maggio 2021, egli ne delineò il profilo con un chiasmo significativo: «Fu medico perché amava le persone e amava le persone perché era innamorato di Dio».
Il 26 ottobre 2022, durante un incontro di studi in Scienze della Pace presso la Pontificia Università Lateranense, monsignor Peña Parra ha ulteriormente evidenziato il valore di Hernández, creando un contrasto inusuale ma profondo: alla guerra ha contrapposto il lavoro del medico, che unisce cura fisica e guarigione sociale. Un’interpretazione innovativa, che si inserisce perfettamente nella storia venezuelana del Novecento, una storia umanistica e spirituale insieme, capace di guarire il cuore.