
di Roberto Paglialonga
Il loro è un carisma “di frontiera”. Da sempre. Una vocazione alla missionarietà intrisa di affezione al prossimo, che fin dalla fondazione si esprime verso migranti e rifugiati. E germoglia in quegli interstizi di mondo nei quali vi sia qualcuno da accogliere, proteggere, salvare, accudire, perché in fuga da guerre, fame, violenze, persecuzioni o vita precaria. Per le suore missionarie di San Carlo Borromeo – le scalabriniane – le persone in mobilità, da “protagonisti” di una semplice, per quanto importante, attenzione o cura, diventano “soggetti” da accompagnare, e con cui camminare, perché il loro sviluppo sia realmente integrale.
Oggi, una delle loro frontiere principali si chiama Tijuana, una linea calda che separa Messico e Stati Uniti, tornata a essere al centro della scena politica internazionale anche per i decreti esecutivi di Donald Trump, che – così come aveva minacciato di fare in campagna elettorale – ha deciso di espellere tutti migranti irregolari presenti sul suolo Usa. «Ora il problema è diventato di cronaca quotidiana. Ma noi qui, in questa terra di confine, ci siamo da 30 anni, io personalmente da cinque», dice media vaticani suor Albertina Pauletti, che nella città della Baja California, separata da San Diego dal cosiddetto “muro della vergogna” (alto più di sette metri e lungo oltre mille chilometri), dirige l’Instituto Madre Asunta, nato per fornire «assistenza a donne migranti e rifugiate, sole o con bambini, in situazioni di vulnerabilità». Quindi, «non è da ieri che facciamo questo lavoro», dice con una punta di soddisfazione. In questo momento nella casa di Tijuana – che come progetto ha vinto a dicembre 2024 il Premio del volontariato internazionale Focsiv – lavorano tre suore, più altri professionisti nel campo psicologico, sanitario e socio-assistenziale, e volontari, tra cui due italiane. «In genere, quelle che arrivano da noi sono per l’80% messicane in fuga dalla violenza del crimine organizzato, da situazioni di grande difficoltà familiare o di abusi subiti da mariti e parenti; tante vengono da Guatemala, Honduras, Salvador, Venezuela… Rimangono un paio di settimane, massimo due mesi, principalmente con l’obiettivo di ottenere l’appuntamento per poter avere il documento di asilo. Ma, adesso, già nel primo giorno di presidenza Trump solo quelle che erano prenotate fino a mezzogiorno hanno potuto andare avanti, le altre no. E questa situazione di incertezza e instabilità è terreno fertile per criminali e sfruttatori che vogliano approfittarne».
Al “Madre Asunta” le donne e i bambini migranti ricevono assistenza di ogni tipo, da quella amministrativa per la compilazione dei documenti, «a quella di tipo psicologico, perché nella quasi totalità dei casi si tratta di persone molto fragili: storie strazianti, per esempio di piccoli che hanno visto la mamma malmenata per anni dal papà, o il papà ucciso dai criminali, o ancora che sono stati violentati da qualche parente e dal genitore stesso». Poi c’è l’aiuto «nello svezzamento dei figli o anche nella costruzione di un legame con loro: è drammatico, ma spesso non c’è un rapporto di affetto, perché magari questi bambini passano le giornate abbandonati davanti allo smartphone mentre la madre è fuori per lavoro». E non manca la proposta spirituale: «Noi non chiediamo la patente di cristianità – sorride dall’altra parte del telefono –, ma vediamo che ciascuna di loro è in qualche modo in cerca di un significato e desidera capire cosa Dio si aspetta dalla loro vita e come Dio risponde al loro desiderio: alla fine, come per tutti, si tratta del bisogno di essere amate e di sapere che si è al mondo per uno scopo. Da noi vogliamo che scoprano di essere persone, e raccogliamo anche bellissime esperienze di conversione». Le suore hanno fissato regole precise e ferree, e chi non le rispetta è invitato ad andarsene: «Chi viene ospitato partecipa alla gestione e alla pulizia della casa, o alla cucina: qui tutti ricevono gratuitamente, ma tutti gratuitamente si devono impegnare per la comunità».
Paradossalmente, ma non troppo, in questa fase «i migranti ospitati nell’istituto sono solo 18, per una disponibilità però di quasi 90. Il governo messicano infatti ha predisposto la costruzione di un albergo che può ospitare fino a 2.600 persone uscite a causa della deportazione dagli Stati Uniti. Da qui, dopo essere state assistite per alcuni giorni queste persone devono tornare nelle loro località di provenienza. Il governo ha detto di aver assunto la responsabilità solo per i messicani, ma in realtà sembra ve ne siano anche di altri Paesi».
Un duro colpo è arrivato con il decreto con il quale Trump ha tolto le sovvenzioni umanitarie a molte ong e organizzazioni, sospendendone il lavoro per i prossimi tre mesi. «E così di riflesso nemmeno noi riceviamo il loro sostegno, non tanto economico ma di supporto nel lavoro». Allora «mi chiedo, proprio ora che il tema migratorio è sulla bocca di tutti – è si scalda suor Albertina, riprendendo il filone dell’attuale attenzione mediatica –: fino a quando dobbiamo alzare i muri? Basta! Il nostro fondatore diceva che per il migrante la patria è la terra che gli dà il pane».
Le scalabriniane hanno una storia antica. Nate nel 1895 grazie al comasco Giovanni Battista Scalabrini – proclamato santo da Papa Francesco nel 2022 –, che dopo il ramo maschile nel 1887 fondò la Congregazione delle suore missionarie di San Carlo Borromeo, negli anni queste hanno dato vita a una miriade di istituzioni radicate in diversi territori, in particolare dell’America Latina, ma non solo. Oggi sono 111 missioni in 27 Paesi, con oltre 400 religiose. Sempre nel 2022 viene istituita poi la Fondazione Scalabriniane, che collabora attualmente in nove Paesi del mondo con 14 organizzazioni afferenti, tra cui proprio l’Instituto Madre Asunta, impegnate nell’aiuto alle persone in mobilità in Ecuador, Brasile, Honduras, Sud Africa, Italia e altri.
«Il nostro compito – ci spiega Gaia Mormina, scalabriniana laica, segretaria generale della Fondazione – è quello di essere un braccio operativo a supporto dei vari contesti in cui lavorano le suore, che sono sempre situazioni di forte tensione o conflitti. Oggi, oltre al Messico, molto delicato è il caso dell’Honduras, dove solo nel 2024 sono entrati oltre 300.000 migranti irregolari dagli altri Paesi latinoamericani. Ma i nostri legami arrivano naturalmente a tanti organismi internazionali laici, come Unhcr, o d’ispirazione cristiana, come Rede Clamor e Uisg».
La Fondazione al momento interviene soprattutto nella promozione di progetti di accoglienza, educazione e orientamento al lavoro, inclusione e sostegno psicologico; nella protezione umanitaria in emergenza e nello sviluppo di attività di cooperazione internazionale; nonché nella partecipazione a reti di advocacy e generale tutela dei diritti umani. Adesso «un grande problema non è solo il rimpatrio, o la deportazione voluta da Trump, ma anche il fatto che sono state sospese tutte le possibilità di ottenere un appuntamento per fare i documenti di asilo. E queste sono palesi violazioni di diritti umani», avverte, con voce pacata ma ferma, Mormina.
«Considerando tutte le organizzazioni scalabriniane con cui collaboriamo, direi che assistiamo nel complesso circa 67.000 persone all’anno: la quasi totalità sono donne, ma molti sono i bambini, accompagnati o soli, o ragazzi appena maggiorenni. Per esempio in Mozambico ci prendiamo cura dei piccoli che sono stati schiavizzati». Quella delle suore scalabriniane, in conclusione, è una chiamata alla missione che diventa destino: un sì detto a Cristo ogni giorno. «Dovete pensare che queste consacrate lavorano dalla mattina alla sera, senza sosta: per loro lavorare e pregare sono la stessa cosa, e tutto in favore del prossimo», conclude. Ora et labora, come voleva san Benedetto 1500 anni fa, ma calato nel presente, lì dove l’umanità ferita soffre e attende un segno di speranza.
#sistersproject