Intervista allo storico Lee Mordechai

«Finisca subito
questa carneficina»

 «Finisca subito questa carneficina»  QUO-058
11 marzo 2025

da Gerusalemme
Roberto Cetera

Lee Mordechai è un affermato storico della Hebrew University of Jerusalem. Recentemente ha lavorato anche alla Princeton University sul tema in cui è particolarmente specializzato cioè l’ambiente nel tardo impero bizantino e le sue relazioni nel Vicino Oriente. Nel corso dell’ultimo anno ha studiato, e a sua volta prodotto, una grande quantità di materiale documentario sulla guerra a Gaza, della quale è senz’altro uno dei più attenti osservatori. Hanno fatto molto clamore, e suscitato critiche in Israele, le sue affermazioni circa l’esistenza di un tentativo di genocidio che sarebbe in corso a Gaza.

Professore, perché lei parla con sicurezza di genocidio in corso a Gaza?

Vorrei intanto fare due premesse: innanzitutto, che guardo a questi accadimenti con l’approccio dello studioso storico, scevro da ogni preconcetto politico, e quindi mi riferisco a quanto le convenzioni internazionali stabiliscono in tema di genocidio e agli eventi che è possibile raccogliere pur nella scarsità di informazioni provenienti da Gaza. In secondo luogo, che sono pervenuto a questa opinione solo recentemente; all’inizio rigettavo tale definizione ma la mutazione del mio pensiero è avvenuta nel febbraio del 2024 quando la guerra a Gaza, a mio avviso, ha presentato inequivocabilmente quei lineamenti che la Convenzione internazionale definisce un genocidio. Poi quando nell’ottobre scorso a Gaza nord la guerra è entrata in una seconda e diversa fase, la mia convinzione si è rafforzata.

In cosa è diversa questa seconda fase della guerra? Lei si riferisce a quello che viene chiamato il Generals’ Plan?

Sì. Ho scritto del cosiddetto “piano dei generali” nel dicembre scorso (vedi anche «L’Osservatore Romano» del 7 novembre 2024, ndr). Si tratta di quel piano che prevede di fatto l’espulsione dei palestinesi da tutto il nord della Striscia. Le autorità militari e politiche israeliane negano che si tratti dell’implementazione del piano ideato dal generale Giora Eiland ma a me sembra che quello fosse anche più moderato di quanto si sta ora verificando.

Quali sono gli eventi che secondo lei raffigurano l’esistenza di un genocidio a Gaza?

Penso che già il tragico, altissimo numero di morti e feriti finora registrati costituisca un incontrovertibile evidenza della mia tesi. C’è stata, si sa, una disputa sul numero di morti e feriti, ma credo sia una disputa senza senso: non è che se fossero il 5 o il 10 per cento in meno di quelli dichiarati dai palestinesi le cose cambierebbero di sostanza, anche se è impressionante che il 2 per cento della popolazione complessiva sia stata uccisa e circa il 7 per cento tra morti e feriti siano rimasti vittime dei bombardamenti israeliani. I numeri dunque non sono la sola evidenza ma sicuramente sono un’indicazione dell’estensione. Ci sono poi gli eventi di cui ogni giorno abbiamo notizia. Penso per esempio agli attacchi mirati contro gli ospedali, a quanto accaduto negli ultimi giorni all’ospedale «Kamal Adwan», mettendo praticamente fuori uso l’ultimo avamposto medico rimasto nel nord della Striscia alle poche migliaia di palestinesi che ancora resistono all’evacuazione forzata verso sud (secondo l’Ocha, l’agenzia dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari, a novembre ne erano rimasti nel nord 75.000 su una popolazione di oltre 300.000, ma presumibilmente oggi sono molti meno, ndr). Israele si difende sostenendo che gli ospedali sarebbero collegati ai tunnel e ai rifugi operativi dei guerriglieri di Hamas, ma non ha mai presentato alcuna evidenza di ciò. L’unico ospedale risultato collegato a un tunnel era quello di al-Shifa ma vi trovarono solo uno stanzone vuoto. C’è un’inchiesta molto accurata pubblicata da Associated Press in tal senso il 3 novembre 2024. Ma l’intento genocidario credo risulti ancora più evidente dalle stesse dichiarazioni di esponenti del governo: quando il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, sostiene la legittimità dello starvation, cioè dell’affamamento della popolazione, come arma di guerra non dichiara forse un’intenzione genocidaria?

Eppure le sue posizioni sono fortemente criticate, così come quelle dell’ex ministro della Difesa (dello stesso partito di Netanyahu), Moshe Yaalon, che parla di pulizia etnica in corso.

C’è uno iato abissale tra ciò che avviene realmente e ciò che viene raccontato. Questo anche perché non è consentito l’ingresso di giornalisti a Gaza. Gli israeliani in realtà non sanno cosa veramente succede a Gaza, grazie a un sistema mediatico fortemente condizionato dal governo, tranne poche e nobili eccezioni. Credo che questo dipenda da motivazioni strategiche ed economiche: per esempio alcuni media israeliani scrivono che il 70 per cento del costo della guerra sarebbe stato sostenuto dagli Stati Uniti.

Quindi per lei non ci sono dubbi nel definire quello in corso un tentativo di genocidio?

Penso che come definire quanto sta ora accadendo a Gaza sia in qualche misura secondario. Genocidio, pulizia etnica, crimine contro l’umanità: sono tutte parole a cui possiamo attribuire diversi significati e usi. Avremo tempo per discuterne. La cosa veramente importante oggi è che questa guerra finisca, che termini questa carneficina, che gli ostaggi tornino a casa.