Meditazioni di padre Pasolini per gli Esercizi spirituali della Curia romana in comunione spirituale con il Papa

Riscoprire la bellezza
della promessa
della vita eterna

 Riscoprire la bellezza  della promessa della vita eterna  QUO-057
10 marzo 2025

«In questa prima domenica di Quaresima, inauguriamo il nostro itinerario di preghiera sul tema della vita eterna». Così il cappuccino Roberto Pasolini, ha introdotto nel pomeriggio di ieri, domenica 9 marzo, in Aula Paolo vi gli Esercizi spirituali per la Curia romana, che si svolgono in comunione spirituale con il Papa, ricoverato in ospedale. Francesco si è comunque unito ai cardinali, arcivescovi e vescovi, membri della famiglia pontificia ecclesiastici e laici, dipendenti della Curia romana e del Governatorato che fino al prossimo 14 marzo stanno ascoltando le meditazioni del predicatore della Casa pontificia sul tema: “La speranza della vita eterna”.
«Perché gli esercizi spirituali portino frutto — ha detto il sacerdote che li predica per la prima volta da quando è stato chiamato a succedere al cardinale Raniero Cantalamessa —, è essenziale ricordare che chi predica è solo una voce: la parola da ascoltare è quella di Dio. Ognuno è chiamato a farla propria, trasformandola in preghiera e lasciandosi interiormente plasmare. L’ascolto della Parola ci conduce anzitutto a rivedere il nostro modo di pensare a Dio e a noi stessi. Chi accetta di intraprendere questo cammino interiore ha già iniziato gli esercizi spirituali. Questa responsabilità assume un significato speciale in questi giorni di preghiera per la salute del Santo Padre, simbolo di ogni persona che soffre a causa della malattia, della guerra o della discriminazione. Il mistero della fragilità umana ci interpella, affidandoci un compito decisivo: riconciliarci con la nostra debolezza e aprirci alla forza dello Spirito, che trasforma l’umanità in fraternità e ci dà la forza di costruire il Regno di Dio nella pace e nella giustizia», ha concluso avviando la prima meditazione incentrata su «la fine sarà l’inizio» di cui pubblichiamo di seguito una sintesi.

La fede della Chiesa, fondata sulla risurrezione di Cristo, ha da sempre offerto al mondo la speranza di una vita oltre la morte. Col tempo, però, questa promessa si è offuscata e oggi non è tanto contestata quanto ignorata. Di fronte a questa indifferenza, i credenti sono chiamati a riscoprire il valore e la bellezza della vita eterna, per restituirle il suo autentico significato. Un compito ancora più urgente in questo anno santo del Giubileo e nel momento di profonda sofferenza che sta attraversando il Santo Padre.

Il cammino di esercizi spirituali sul tema della vita eterna che vogliamo compiere trova il suo fondamento nella rivelazione cristiana. Lo iniziamo attingendo alcune formulazioni sintetiche dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che offre una sintesi accessibile del pensiero teologico. Il Catechismo presenta la morte non come fine, ma come passaggio alla vita eterna, in comunione con Cristo. Questo concetto trova radici nella Lettera ai Romani, dove san Paolo afferma che, attraverso il battesimo, siamo uniti alla morte e alla risurrezione di Cristo, accedendo così a una vita nuova.

La morte, secondo il Catechismo, è il momento in cui si compie il giudizio particolare, valutando l’accoglienza o il rifiuto della grazia di Dio. Tuttavia, la salvezza non è riservata solo a chi ha formalmente conosciuto Cristo: il Concilio Vaticano ii riconosce che chi segue la propria coscienza nella ricerca sincera di Dio può accedere alla vita eterna. Il Catechismo enfatizza che il giudizio finale non si basa su meri atti esteriori, ma sull’amore vissuto, riprendendo il pensiero di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».

Il destino ultimo dell’uomo si articola in tre possibilità: il paradiso, la dannazione eterna (inferno) e la purificazione finale (purgatorio). Il paradiso rappresenta la realizzazione piena dell’essere umano, una comunione eterna con Cristo in cui ciascuno trova la propria vera identità. L’inferno, invece, è descritto come la separazione definitiva da Dio, ma la Chiesa non ha mai dichiarato con certezza che qualcuno vi sia condannato. Il purgatorio, infine, è visto come un processo di purificazione per coloro che, pur in grazia di Dio, non sono ancora pronti per il cielo. E forse proprio in quest’ultimo “destino” troviamo l’originalità della rivelazione cristiana. La possibilità di un ultimo “momento” di purificazione è l’occasione per fare i conti fino in fondo con l’amore infinito di Dio.

La riflessione della Chiesa sull’eternità della vita non intende generare timore, ma alimentare la speranza, sottolineando che il nostro destino dipende dalla libertà con cui scegliamo di vivere nell’amore. La vera purificazione non consiste nel diventare perfetti, ma nell’accettare pienamente se stessi nella luce dell’amore di Dio, superando l’illusione di dover essere “altro” per meritare la salvezza.

Spesso siamo ossessionati dal dover essere perfetti, eppure il Vangelo ci insegna che la vera “imperfezione” non è la fragilità, ma la mancanza di amore. Il purgatorio può essere visto come l’ultima occasione per liberarci dalla paura di non essere abbastanza, per accettare con serenità ciò che siamo, facendone un luogo di relazione e di comunione con gli altri. Il purgatorio può essere inteso come il “momento” in cui finalmente smettiamo di voler dimostrare qualcosa a Dio e ci lasciamo semplicemente amare. L’eternità, dunque, non è solo un premio futuro, ma una realtà che comincia qui, nella misura in cui impariamo a vivere nell’amore e nella comunione con Cristo. Alla fine, il nostro destino non è scritto nel timore, ma nella speranza. La morte non è una sconfitta, ma il momento in cui finalmente vedremo il volto di Dio e scopriremo che la fine… era solo l’inizio.


Giudicati sulla capacità di vivere nell’amore senza calcolo


«La fine di ogni giudizio» è il tema della seconda meditazione del predicatore della Casa pontificia in occasione degli Esercizi spirituali della Curia romana in comunione con il Papa. Pubblichiamo la sintesi delle parole pronunciate dal cappuccino stamattina, lunedì 10 marzo.

La parabola del giudizio finale, narrata nel Vangelo di Matteo e rappresentata nel celebre affresco di Michelangelo, viene comunemente interpretata come un richiamo alla carità. Tuttavia, un’analisi più attenta rivela una prospettiva sorprendente: non si tratta di un giudizio nel senso tradizionale, ma di una dichiarazione che svela la realtà già vissuta da ciascuno. Il criterio dell’accesso al Regno non è l’appartenenza religiosa, ma l’amore concreto verso i fratelli più piccoli, che, nella prospettiva evangelica, rappresentano i discepoli di Cristo. La responsabilità dei cristiani non è dunque primariamente quella di fare del bene, ma di permettere agli altri di farlo. 

Inoltre, la parabola ribalta il senso comune del giudizio: i giusti e gli empi mostrano entrambi stupore di fronte alle parole del Re, segno che il bene compiuto in loro era vissuto con naturalezza e inconsapevolezza. Questo suggerisce che l’accesso alla vita eterna non dipende da una prestazione morale, ma dalla capacità di vivere nell’amore senza calcolo.

Il Catechismo afferma che, alla fine dei tempi, il Regno di Dio si manifesterà pienamente, trasformando l’umanità e il cosmo in “nuovi cieli e nuova terra” (ccc 1042-1044). Questa speranza si radica nella promessa di Cristo, che ci chiama a vivere già ora in questa prospettiva, senza ansia da prestazione, ma con la fiducia che sia Dio stesso a trasformare la nostra umanità a sua immagine e somiglianza, secondo quel disegno d’amore che è fin da principio.

Gesù ha annunciato la vita eterna non come una realtà futura e lontana, ma come una condizione già accessibile a chi ascolta la sua parola e crede nel Padre (Gv 5, 24). Il Vangelo ci invita a riconoscere che la vita eterna è già iniziata: si manifesta nel modo in cui viviamo e amiamo, aprendoci alla presenza trasformante di Dio. La vera sorpresa del giudizio finale sarà scoprire che Dio non aveva aspettative su di noi, se non quella di riconoscerci pienamente come suoi figli, già immersi nella sua eternità.