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La giudice Di Nicola: perché è scorretto dire
«ha ucciso la moglie
per raptus di gelosia»

 La giudice Di Nicola: perché è scorretto dire «ha ucciso la moglie per raptus di gelosia»  DCM-003
01 marzo 2025

Gelosia, delusione, paura. Sono sentimenti umanamente comprensibili quando parliamo di amore, ma quando parliamo di violenza maschile contro le donne queste stesse emozioni si trasformano in pretesto, in alibi. Ecco perché la magistratura, secondo il diritto internazionale, è chiamata a cancellare il linguaggio emozionale dalle sentenze, eludendo il rischio di vittimizzazione secondaria. Ne abbiamo parlato con Paola Di Nicola Travaglini, consigliera della Corte di Cassazione e già consulente della Commissione parlamentare sul femminicidio. La prima in Italia a definirsi “la giudice”.

Perché è scorretto dire «Ha ucciso la moglie per raptus di gelosia»?

Parlare di gelosia significa banalizzare, romanticizzare, giustificare e infine lasciare impunito il reato. In tutti i Paesi del mondo è stato riconosciuto che i delitti di violenza maschile contro le donne non sono determinati da ragioni affettive o psicologiche. Sono deliberati delitti di potere.

Quale è il compito della magistratura?

Attenersi ai fatti, analizzando le prove emerse. Il pre-giudizio, l’atteggiamento moralistico o compassionevole non sono dati che appartengono alla sfera del diritto. Pensateci, di un delitto di mafia diremmo che è stato determinato da sentimenti di antipatia o di rabbia? No.

C’è una relazione tra le sentenze e la cultura di un Paese?

Le sentenze non si limitano a stabilire chi ha torto o ragione, ma stabiliscono l’ordine sociale ritenuto legittimo in nome dello Stato. Il ricorso al linguaggio emozionale nei crimini contro le donne impedisce alle istituzioni, alla società e alle realtà educative di cogliere la vera radice del reato e di produrre un cambiamento.

Riscontra disparità di genere anche nella narrazione dei sentimenti?

Sì. Di una donna uccisa dal marito sappiamo solo che voleva chiedere il divorzio ma non sappiamo perché, non conosciamo le violenze che subiva. Del marito invece sappiamo che era dispiaciuto o frustrato. Questa disparità sul piano emozionale e psicologico non deve rilevare perché si giudicano solo i fatti.

Chiudiamo sul linguaggio emozionale, con una parola: fragilità.

C’è un doppio pregiudizio di genere. Le donne sono fragili, cioè deboli e passionali. Gli uomini sono forti e razionali. Questi pregiudizi nei processi si invertono: l’uomo si infragilisce di fronte a una donna che, superando barriere sociali, pretende di essere libera. Ecco allora che per gli uomini questo diventa un affronto da punire e che li giustifica senza alcun fondamento giuridico e di fatto.

di Carmen Vogani
Giornalista e autrice